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Una prima importante occasione per Branzi, Corretti, Deganello, Morozzi e Natalini studenti dell’Università di Firenze appena laureati sarebbe stata la mostra “Superarchitettura” organizzata a Pistoia nel 1966 e a Modena nel 1967. Nate dalla collaborazione tra il gruppo Archizoom, formato da Branzi, Deganello, Morozzi e Corretti, con Natalini che si era dato lo pseudonimo di Superstudio e che solo in un secondo momento si sarebbe unito a Toraldo di Francia. Intanto in mostra venivano esposti prototipi di arredamento e progetti di architettura redatti ancora in sede universitaria come “Luna Park a Prato”, di Branzi, , “Centro Culturale nel Castello dell’imperatore a Prato” di Morozzi e “Teatro serra a Poggio a Caiano” di Corretti. Per l’occasione era stato anche redatto un manifesto della Superarchitettura che recitava: “La Superarchitettura è l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del superman e della benzina super. La Superarchitettura accetta la logica della produzione e del consumo e vi esercita una azione demistificante”11. Il linguaggio usato, chiaro e diretto, era quello tipico dei giovani e della cultura pop, cui si faceva riferimento esplicito: “Il fenomeno pop ed il suo contesto vitale, un maggior approfondimento sulla civiltà dell’immagine, il superamento della moralistica insita negli ultimi progetti, contribuiscono a sbloccare la situazione proponendo un’architettura che aveva il grande pregio di non avere remore culturali in presupposti critici, ma partecipazione diretta ad un mondo di immagini e comportamenti ricchi di disinvoltura, spregiudicatezza e gusto dell’invenzione”12.    

La realtà contraddittoria dell’epoca, secondo i giovani architetti, poteva essere compresa e risolta solo se i suoi falsi miti venivano accettati e demistificati. I mezzi per farlo erano offerti dalla stessa cultura pop. Andrea Branzi in un articolo delle Radical Notes su “Casabella” del 1973 trovava che il mezzo più utile allo scopo appena citato fosse l’uso di media internazionali ed omogenei. L’archetipo di tali media, secondo Branzi si poteva identificare nel rock’n’roll di Elvis Presley e scriveva “Lui e tutti quei fenomeni che lo hanno seguito, dai Beatles a Bob Dylan, dalla pop art, all’underground, vengono generalmente raccolti dagli storiografi in una sorta di storia secondaria che scorre parallela ad altri fenomeni considerati diversi e più importanti di natura sociale, come la contestazione giovanile, il maggio francese, i movimenti extraparlamentari, i grandi scioperi… (…) è però altrettanto vero che esiste tra questi fenomeni un legame di natura particolare, non di causa effetto, ma piuttosto direi di natura psico-fisica”13. Secondo Branzi, infatti, il compimento di gesti liberatori come il ballo scatenato rock o pop, l’accorciamento della gonna, il riconoscimento del

                                                                                                                         

11  "Superachitettura",  manifesto  della  mostra,  Pistoia  1966.   12  Ibidem  

sesso come atto comunicativo spontaneo, creavano nella società anche una nuova libertà di giudizio. “Questi fenomeni di largo consumo che così profondamente possono agire nella società e sul suo sviluppo verso l’autodeterminazione non propongono un modello culturale da raggiungere, non possiedono un messaggio ideologico in codice, ma gli fanno compiere alcune azioni, alcuni movimenti che di per sé sono terapeutiche”14.

Gli anni immediatamente successivi alla laurea per gli architetti italiani sarebbero stati carichi di entusiasmo: “Dal ’65 al ’68 - scrivevano su “Casabella” gli esponenti del Superstudio – abbiamo lavorato con la convinzione che l’architettura fosse un mezzo per salvare il mondo”15. Lo scopo di questa sorta di nuova avanguardia era quello di scuotere i fruitori a non essere più massa, ma a differenziarsi, non in termini sociali o economici, ma in termini di scelte. Ognuno avrebbe dovuto scegliere secondo le proprie necessità ed i propri gusti, senza lasciarsi fagocitare dal turbine del consumismo e delle sue spire ingannevoli che altro non erano che i primi sostegni di una logica imperialista.

Questo “socialismo” nella giovane avanguardia italiana derivava in parte dagli interessi politici di alcuni dei suoi rappresentanti. Durante gli studi universitari,infatti, Morozzi era entrato a far parte di lntesa, gruppo che riuniva cattolici di sinistra, mentre Deganello militava ugualmente in gruppi della sinistra; entrambi, inoltre, assieme a Branzi e Corretti partecipavano alle attività promosse da intellettuali gravitanti attorno alle riviste “Quaderni Rossi” e “Classe Operaia”, in cui si teorizzava la fine della cultura borghese e l’avvento di una cultura laica, priva di gerarchie sociali ed economiche. Così sin dagli anni dell’università, architettura e politica formavano il nucleo teorico peculiare del futuro impegno progettuale dei gruppi italiani. L’idea stessa dello spazio di coinvolgimento, su cui si era basato il corso retto in Università da Savioli e che avrebbe portato all’elaborazione del modello spaziale del Piper, presupponeva l’uso da parte di un fruitore privo di definizione sociale.

Branzi a molti anni di distanza avrebbe scritto che il significato politico del Piper era evidente, infatti quel modello spaziale “consisteva in una sorta di immersione in un fluido continuo di immagini, lampade stroboscopiche, musica stereofonica ad altissimo volume, fino a raggiungere una sorta di straniamento totale del soggetto che ballando perdeva progressivamente il controllo dei propri freni inibitori, avanzando verso una sorta di liberazione psicomotoria. Essa non significava per noi una integrazione passiva nei consumi sonori e negli stimoli visivi, bensì una liberazione di tutti i potenziali creativi dell’individuo”16. Anche nel caso del Piper si poteva, dunque parlare di opera aperta in cui l’utente poteva essere fruitore e ricevitore allo stesso tempo. L’invenzione,

                                                                                                                         

14  Ibidem  

15  Superstudio,  Le  dodici  città  ideali,  in  "Casabella",  n.  361,  1972.   16  A.Branzi,  La  casa  calda,    Idea  Books,  Milano  1984,  p.55.  

secondo Adolfo Natalini era quel fattore che si poteva riscoprire tramite i processi pop e che poteva portare allo scardinamento dei vecchi modelli di comportamento per suggerirne dei nuovi. “Inventare - scriveva Natalini sulle pagine di “Casabella” – vuol dire fare ogni oggetto col più alto grado di creatività possibile (…) Durante il corso ci si proponeva di definire un’ipotesi di spazio interno come matrice di comportamenti. Uno spazio interno che non fosse più il negativo dell’architettura, un dentro contrapposto ad un fuori, ma un oggetto spaziale generatore di esperienze (…) Lo spazio interno acquista una nuova dimensione esistenziale capace di coinvolgere totalmente il suo fruitore ponendosi come campo di esperienza”17. I metodi pop di cui parlava Natalini erano lo spaesamento, la traslazione di scala, l’assemblaggio, il montaggio, la scomposizione. Secondo Navone e Orlandoni dietro questa operazione vi era uno studio del lavoro svolto oltremanica dagli Archigram. In particolare essi si riferivano all’abitudine di restare in ambito progettuale, scindendo quest’ultimo dall’edificabilità e dall’uso della tecnologia. In realtà il punto di maggior discordanza tra i progetti degli inglesi e quelli italiani sarebbe stata proprio l’idea di tecnologia ed il suo uso. Infatti se per gli Archigram vi era l’esaltazione della tecnologia come celebrazione della macchina, negli italiani, essa invece era solo un mezzo considerato nella sua capacità produttiva e non un fine.

Tra 1970 e 1972 gli Archizoom progettavano ad esempio No – Stop City che voleva essere una risposta a quell’atteggiamento secondo il quale l’architettura della civiltà tecnologica doveva essere un’architettura tecnologica, fatta come una macchina. Il progetto, infatti mostrava un luogo in continua espansione in cui non esisteva facciata architettonica e tutto il territorio era omogeneo, cablato e climatizzato. Il modello cui si guardava con intento critico era quello del supermercato per via della sua spazialità anonima. Gli Archizoom stessi nel presentare il progetto sulle pagine di “Casabella”, lo definivano come un gesto di utopia critica, strumentale in quanto ipotesi critica del sistema.

Appena un anno prima, dunque nel 1969, Superstudio progettava il Monumento continuo, che presupponeva idee diverse da quelle espresse da Archizoom. Infatti, se entrambi i progetti si basavano sul dato dell’omogeneità, il progetto di Superstudio proponeva una forte presenza dell’architettura che in questo caso constava in un enorme struttura in vetro trasparente che avrebbe abbracciato tutta la terra, lasciando emergere da grandi asole, città realmente esistenti18.

                                                                                                                         

17  A.  Natalini,  Spazio  di  coinvolgimento,  in  "Casabella"  n  326,  1968,  p.  36  

18  Proprio  a  questo  tipo  di  progetti  che  non  avevano  finalità  costruttiva,  come  era  atteggiamento  tipico  del  radical,    si  

riferiva  Gillo  Dorfles  nel  1973  quando  elaborava  il  concetto  di  “riduzione  al  progetto”  ossia  il  progetto  senza  oggetto   che  si  limita  all’atto  della  creazione  senza  giungere,  perché  non  intende  farlo,  all’atto  di  realizzazione.