• Non ci sono risultati.

Anche l’opera del gruppo Strum puntava dunque alla distruzione della città, un tema che nel corso dello stesso anno veniva ampiamente trattato nelle pagine di “In” (che al tema dedicava vari numeri  

pubblicati tra maggio e ottobre di quell’anno; nello specifico i numeri 5, 6, 7).

I numeri della rivista che affrontavano l’argomento abbandonavano la grafica asciutta e la scrittura scientifica per farsi invece ricchi di fumetti e fotomontaggi, testi poetici e racconti biografici. Gargiani interpreta tale cambiamento come l’espressione “della fase di delirio raggiunta da

avanguardie ormai incapaci di procedere oltre i criteri sperimentati negli anni sessanta, ignorate dalla critica ufficiale, osteggiate da quella di sinistra e prossime alla dissoluzione”14.

I vari numeri contavano sui contributi Superstudio e Archizoom, ma anche di Sottsass jr., i 9999, Coop. Himmelblau, Ugo La Pietra, Max Peintner, Jim Burns, Archigram, Jencks, Dalisi, il Gruppo Strum, Salz der Erde e Gianni Pettena.

Pier Paolo Saporito sull’editoriale del n. 5, primo numero dedicato all’argomento, scriveva che la distruzione della città veniva vista come unica soluzione rispetto al fatto che all’interno di essa ogni struttura era tesa all’induzione al consumo e non a fornire risposte ai bisogni veri dell’individuo, portato ormai alla nevrosi. Il primo intervento era poi quello di Superstudio che dal suo Libro degli esorcismi estraeva i “Salvataggi di centri storici italiani, propiziatori alla fortuna delle vostre città”. Si trattava di soluzioni ironiche a problemi che affliggevano varie città. Il testo si apriva con un passo tratto dal Vangelo di Luca, in cui Gesù dal Monte Oliveto presagiva in una visione la rovina e la distruzione cui era destinata Gerusalemme, e si chiudeva con un brano tratto dalle Mille e una notte, dove la descrizione di un giardino fiorito e profumato sostituiva la visione apocalittica del brano di apertura15. L’unico modo per salvare l’uomo dalla prigionia della città, sommersa dal fiume della storia e contaminata da liquami tossici, era, secondo Superstudio, distruggerla per potersi successivamente aprire “alla gioia dei prati, allo sterminato mistero del mare, alle fatiche vitalizzanti dei monti, alle prospettive infinite dei cieli”16. Solo passando dalla distruzione della città, dapprima casa ma poi sepolcro dell’uomo, sarebbe potuto nascere l’uomo nuovo, che si sarebbe affacciato al mondo come un bambino “libero finalmente di ricominciare, di sperare, di lottare, sbagliare, correggersi e ancora sbagliare”.

Dopo questo breve scritto, tramite una serie di schede si vagliavano le possibilità di salvataggio delle città, in realtà non erano altro che proposte che portassero alle definitiva distruzione di queste. Si trattava di una sorta di itinerario per le città d’Italia, che narrava in maniera sfacciatamente cruda gli errori che venivano compiuti nella gestione dei paesi. Gli interventi proposti da Superstudio, sebbene chiaramente inapplicabili, non erano altro che una sorta di utopia negativa, un atto di distruzione finale a completamento di un processo di distruzione operato sulle città dal sistema capitalistico stesso. La prima città presa in esame era Napoli, ridotta a luogo mitico dall’immaginario comune, una sorta di Paese di Bengodi che bisognava preservare dalla realtà e trasformare in una sorta di mega-circo all’interno del quale poter racchiudere e rappresentare tutti i

                                                                                                                         

14  S.  Gargiani,  Archizoom,  op.  cit.,  p.  43.  

15   Gregotti   e   Branzi   avrebbero   mosso   delle   critiche   al   gruppo   causa   del   linguaggio   usato.   Gregotti   in   I.D.   Story   in  

“Casabella”,  n.  372,  1972  accusava  il  gruppo  di  praticare  un  terrorismo  religioso;  Branzi,  invece,  ne  L’Africa  è  vicina,  in   “Casabella”,  n.  364,  1972,    criticava    la  scrittura  sincretica  che  accostava  l’uso  di  una  terminologia  fantascientifica  ad   un  tono  evangelico.  

luoghi comuni ad essa legati. Seguiva Pisa, definita una città interessante solo per gli storici dell’arte e nota nel mondo per l’inclinazione della Torre; si proponeva, allora, di raddrizzare la Torre e inclinare tutti gli altri edifici per trasformarli in luoghi di ricezione turistica, in modo da far provare agli utenti il brivido di vivere in un mondo inclinato. Venezia, invece, sarebbe stata salvata dall’inabissamento solo se i canali fossero stati prosciugati e al loro posto si fossero gettate colate di vetrocemento che avrebbero formato strade tradizionali attraversabili tramite un mezzo su ruote che simulava la forma della mitica gondola e attraverso le quali in trasparenza sarebbe stato possibile vedere la città sommersa. Per Milano si era pensato, invece, ad un progetto che la rinchiudesse in un cubo in modo da non disperdere lo smog. Per Roma, afflitta dall’urgenza della conservazione dei monumenti, la soluzione migliore sarebbe stato l’interramento sotto una colmata di rifiuti; in questo modo sarebbe stato possibile edificare una nuova Roma, e se in futuro si fossero trovati i fondi ed i mezzi per il restauro ed il mantenimento dei monumenti allora con semplici operazioni di scavo si sarebbe potuta trovare memoria della città eterna, ma anche le testimonianze della civiltà contemporanea di allora., I Superstudio infine avevano pensato a Firenze, la cui più grande fortuna negli ultimi secoli, veniva detto ironicamente, era stata l’alluvione che l’aveva sommersa, ma che aveva anche portato denaro e attenzione sulla città. Si era pensato allora ad una alluvione perenne, la quale avrebbe portato alla città nient’altro che benefici, come l’aumento del turismo e lo sfruttamento della presenza dell’acqua come fonte di energia. A questa scheda veniva, inoltre, aggiunta una nota nella quale si diceva che con i fondi raccolti dopo l’alluvione del ’66 si era riusciti persino a compiere il ripristino di edifici mai esistiti, come parte del Chiostro di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Si trattava chiaramente di una critica esplicita alle operazioni di restauro eseguite, in questo caso si rimproverava una eccessiva tendenza alla ricostruzione, una tematica che in quegli anni aveva sollecitato numerosi dibattiti e creato discordie tra due delle più importanti scuole di restauro italiane, quella romana di Cesare Branzi e quella fiorentina di Baldini.

In conclusione, il lavoro di Superstudio non presentava delle proposte, bensì delle critiche ed affrontava, quasi profeticamente, tematiche che con il passare degli anni si sarebbero rivelate problematiche urgenti che avrebbero afflitto molte città, a partire dalla sostenibilità turistica fino alle questioni legate alla manutenzione e al restauro dei beni artistici, e alle questioni di salvaguardia ecologica.

Per il terzo numero dedicato al tema (n.7), Superstudio presentava, invece, un saggio dal titolo Utopia, Antiutopia, Topia. Nell’articolo con un tono profetico venivano denunciati i meccanismi del potere che era riuscito ad inglobare in sé le utopie, aveva infatti sempre ingannato il popolo con false promesse di un futuro migliore e di un mondo diverso e offrendo all’uomo l’illusione della concretizzazione del magico Eldorado, di Antilia felice, delle grasse contrade di Cuccagna o dei

campi sereni di Armonia era riuscito ad ottenere il consenso e aveva ancora una volta limitato l’uomo nella sua possibilità di scegliere e di esprimersi liberamente.

Per quel che riguarda gli Archizoom, i progetti presentati all’interno del primo numero dedicato all’argomento (n. 5) affrontavano la tematica della distruzione della città, considerando la città come un sistema neutro. Vagliavano, inoltre, la possibilità di applicare il modello del Gazebo a scala paesaggistica e presentavano ulteriori stralci della Non- stop city. Per il terzo ed ultimo numero dedicato al tema (n.7) presentavano il saggio La città amorale, in cui la città si diceva caratterizzata dal dominio del modello della fabbrica, specchio del sistema, ed in cui si invitavano gli architetti a considerare la città come luogo di incontri e di coesione sociale, improntato allo sviluppo della creatività per la creazione dei beni loro necessari, senza far ricorso all’opera di intellettuali, che piuttosto che imporre modelli, dovevano sforzarsi di creare città che stimolassero le capacità e la libertà degli utenti.