Un’occasione di confronto tra arti figurative ed architettura era stata la manifestazione “Campo urbano: interventi estetici nella dimensione collettiva urbana”, organizzata da Luciano Caramel a Como nel 1969. Il comunicato stampa recitava: “la manifestazione è nata dall’esigenza di portare l’artista a diretto contatto con la collettività di un centro urbano, con gli spazi con cui essa
3 L’attenzione per l’utente, ricordano Orlandoni – Navone, era anche presente nel progetto per la riorganizzazione del
sistema museografico fiorentino di Titti Maschietto, co-‐fondatore degli UFO, Amirpour, Rodolfo Bracci e Gorelli. I quali presentavano su “Marcatrè” una serie di attrezzature per il consumo dell’opera d’arte, che prevedeva il superamento dell’atteggiamento contemplativo da parte del fruitore a favore dell’intervento diretto del pubblico: “Noi vogliamo abbattere questo altare sociale, permettere all’utente di toccare ed entrare nel gioco della creazione (…) La comunicazione di ordine didattico dell’opera non scenda da una cattedra, ma sia ristabilita a livello dei discendenti e della loro partecipazione diretta” .
4 P. Navone, B. Orlandoni, Architettura radicale, op. cit., p. 54. Non bisogna, inoltre dimenticare che un processo di
contaminazione e di intreccio tra le discipline era andato, infatti, lentamente aumentando a partire dagli anni Cinquanta, quando gli artisti figurativi mostravano di guardare sempre più all’architettura, ma anche a forme di spettacolo teatrale, alla musica e alla danza, dalla cui ibridazione nascevano happening e performance.
quotidianamente vive, con le sue abitudini, le sue necessità”6. Si sottolineava che ai partecipanti era stato chiesto esplicitamente di non preordinare un intervento, ma di ricercare l’improvvisazione e il rapporto diretto con gli abitanti della città. All’evento avrebbero partecipato una quarantina di artisti, musicisti, attori e architetti7. Tra gli artisti Luciano Fabbro presentava domanda di cessione di un terreno demaniale in cui poter coltivare il proprio e il necessario; il gruppo di Boriani, Colombo, De Vecchi ricreava un temporale con luci ad intermittenza e pompe antincedio; il gruppo Art Terminal versava il suo cachet ad un orfanotrofio locale affinché sostituisse il malandato cancello d’ingresso; Grazia Varisco si tuffava nel traffico cittadino con i suoi scatoloni per creare un percorso a zig-zag; Giuseppe Chiari trasformava con la sua musica la città in un teatro. Tra gli architetti Gianni Pettena dava un tocco di colore al centro cittadino circondando la Piazza del Duomo di panni stesi, dalle lenzuola alla biancheria; Bruno Munari realizzava una Proiezione a luce polarizzata che così veniva descritta da Munari stesso in un breve dattiloscritto pubblicato all’interno del catalogo: “Dal balcone del Broletto, con un proiettore di diapositive vengono proiettate delle lastrine preparate per la luce polarizzata. I colori mutevoli sono visibili dall'interno e dall'esterno di uno schermo composto da venti ombrelli bianchi che si spostano cambiando forma allo schermo stesso”8; Ugo La Pietra con un lungo tunnel nero impediva la vista dei negozi, mettendo in atto una sorta di intervento di riappropriazione della città, e dell’isola pedonale totalmente asservita al sistema commerciale.
L’evento, come raccontava Tommaso Trini su “Domus”, non avrebbe riscosso particolare successo, anzi, la cittadinanza, sebbene coinvolta, non aveva capito gli interventi e si era dimostrata innervosita. Trini stesso era piuttosto critico nei confronti dell’iniziativa che definiva singolare e valida, ma fallimentare sin dai suoi intenti. Scriveva, infatti: “Cosa possono fare gli artisti oggi per la città? Niente (…). Como ha certamente vissuto un’esperienza singolare, ma vuoi per la disparità degli intenti e delle soluzioni estetiche, vuoi per le caratteristiche di un tessuto urbano tetragono a una reale ricettività, tale singolarità resta nell’ordine degli umori, dell’epidermide, del non estetico (…). A non essere preparati, erano gli stessi artisti, attori, ecc.. Alcuni di essi lo hanno ammesso,
6 Campo urbano:interventi estetici nella dimensione collettiva urbana, catalogo della mostra a cura di L. Caramel
(Como, luoghi vari, 21 settembre 1969), Editrice Nani, Como 1969.
7 Si trattava di: Edilio Alpini. Enrico Baj, Thereza Bento, Valentina Berardinone, Ermanno Besozzi, Carlo Bonfà, Inse
Bonstrat, Davide Boriani, Annarosa Cotta, Giuseppe Chiari, Enrico Collina, Giuliano Collina, Gianni Colombo, Dadamaino, Vincenzo Dazzi, Gabriele De Vecchi, Antonio Dias, Mario Di Salvo, Luciano Fabro, Carlo Ferrario, Giuseppe Giardina, Ugo La Pietra, Renato Maestri, Libico Maraja, Attilio Marcolli, Armando Marrocco, Livio Marzot, Paolo Minoli, Bruno Molli, Bruno Munari Giulio Paolini, Ico Parisi, Franca Sacchi, Paolo Scheggi, Gianni Emilio Simonetti, Davide Sprengel, Francesco Somaini, Tommaso Trini, Grazia Varisco, Giacomo Veri, Arnaldo Zanfrini.
giustificati dall’impotenza dei loro mezzi e dalla contraddittorietà dei rapporti sociali, che nel campo urbano hanno mille maschere”9.
Lo stesso Caramel in catalogo avrebbe scritto che molti artisti si erano rapportati alla città con una sostanziale rinuncia alla possibilità di intervenire realmente su di essa e di modificarla o di proporne una modifica, tanto che, scriveva: “non di rado si è addirittura avuta l’impressione che la città divenisse unicamente uno sfondo, solo più grande di quelli offerti dalle gallerie o dai teatri”10. L’esperienza della manifestazione, secondo Caramel, non faceva altro che confermare lo stato difficoltà e contraddizione in cui versava l’attività estetica “sì tesa ad un inserimento diretto nei problemi dell’uomo d’oggi, ma sempre in sostanza costretta ai margini a causa sia dei timori, dei dubbi, delle debolezze degli artisti e del loro disagio ad uscire dai confini circoscritti in cui normalmente agiscono, sia fondamentalmente dei modi in cui la società è strutturata, che naturalmente si ripercuotono sugli artisti, da essi di necessità in diverse misura condizionati ed impediti ad assumere un ruolo non subordinato”.