Questi giovani rappresentanti della neo-avanguardia architettonica, una volta usciti dall’Università si dedicavano anche al settore del design. Anche in questo caso come in quello dell’architettura, si sarebbe trattato per lo più di operazioni di natura teorica, sebbene in molti casi all’ipotesi progettuale sarebbe poi seguita una concreta realizzazione, spesso in edizioni limitatissime e dal costo decisamente non accessibile a chiunque. Questo avrebbe portato parte della critica a porre in risalto (come per esempio in numerose occasioni fanno Anty Pansera o Maurizio Vitta) una contraddizione di fondo seconda la quale sebbene si invocassero i principi dell’antiserialità e dell’anticonsumismo, la battaglia contro il consumismo finiva per diventare l’esaltazione dell’oggetto come elemento di costume19. Questo è vero solo in parte, infatti obiettivi primari del design radicale erano quelli di provocare e dimostrare un’ipotesi critica; di offrire occasioni di riflessione sui miti negativi della società contemporanea, come affermava Franco Raggi; ma anche portare la massa di consumatori a svegliarsi da un certo torpore e porsi loro stessi come promotori di nuovi modelli. In quegli anni il modello cui si faceva riferimento, come scriveva l’Anonima Design su “Casabella” era “quello del designer – artista che con un ruolo culturale d’avanguardia crea nuove sollecitazioni secondo un procedimento di novità e provocazioni tipico delle arti figurative”20. Insomma il design recuperava i metodi delle arti figurativi e li faceva propri, caricando l’oggetto di significati che andavano ad li fuori dei limiti della cultura tradizionale borghese21.
Per il design di quegli anni sembra essere indovinata la definizione dell’oggetto data da Cettina Lenza, secondo la quale esso è caratterizzato da due finalità, una immediata ed osservabile che
19 Anche Gregotti si occupava della critica del design radicale con una rubrica pubblicata sui numeri 370, 371, 372 del
1972 di “Casabella” e intitolata I. D. Story 1945-‐1951; I. D. Story 1952-‐1964; I.D. Story 1965-‐1971. Qui affrontava il problema della valutazione della cosiddetta tesi alternativa della giovane generazione e dichiarava apertamente la contraddizione, o meglio il divario, esistente fra la teoria di questa, basata sul tema della distruzione dell’oggetto suggerita simbolicamente o proiettata sul piano della utopia, e la relativa traduzione pratica di tale teoria, ovvero la produzione di oggetti polemicamente eccentrici, e caratterizzati da una disperata ricerca della diversificazione, destinata molte volte a far loro perdere qualsiasi parvenza di credibilità.
20 Anonima design, “Casabella”, n. 379, 1973.
21 Franco Raggi dalle pagine di “Casabella”, nel suo articolo Radical story, scriveva che non erano altro che “gli aspetti
commercialmente assorbibili dal mercato (…) ma sono solamente e neanche le punte più aguzze e incisive dell’iceberg che ha come dato originale comune lo stato di disagio politico esistenziale (…) è l’espressione più istintiva e immediata della crisi generale dei valori, in cui si dibatte la coscienza della società moderna, tutta protesa attraverso la religione dei consumi e della produzione, all’autodistruzione e all’annullamento”; cfr. “Casabella”, n. 382, 1973.
coincide con la sua funzione, una mediata e non osservabile che corrisponde con un livello simbolico e metaoperativo, cioè capace di far scaturire il compimento di operazioni.
L’oggetto di design, dunque, sfuggiva dal mero funzionalismo assumendo un atteggiamento di tipo comunicativo e di stimolo all’interazione.
Questo tipo di procedimento formale risaliva agli anni Cinquanta quando il filosofo Etienne Souriau aveva studiato il terreno di confine tra l’opera d’arte e l’oggetto prodotto industrialmente, confine che tra l’altro era già stato esplorato in arte dall’opera di Duchamp ed in generale dalle successive avanguardie, in particolare da futurismo e surrealismo. Nel 1962 su questo tema veniva organizzata al Museo di arti decorative di Parigi la mostra “Antagonisme II” in cui artisti e designer erano invitati a ideare oggetti d’uso dalla forte carica comunicativa. In Italia intanto negli stessi anni L’Officina Undici, formata dagli artisti Fabio de Santis e Ugo Sterpini, elaborava vari progetti di mobili e nel 1963 sceglieva di realizzare ventisette di questi. Il progetto veniva accolto caldamente dal mondo dell’arte, meno dal mondo della progettazione architettonica che lo criticava per le forme ardite, più vicine al multiplo d’arte che all’arredamento e per la scelta di un vocabolario kitsch, che alla fine del decennio sarebbe stato teorizzato da Gillo Dorfles.
Numerosi erano, dunque, i casi di avvicinamento tra design e arte, inoltre tra anni Sessanta e Settanta il travaso del pop nel design non faceva altro che confermare l’influenza reciproca tra le due materie. Ma questa trasposizione come era avvenuta? Filiberto Menna nel 1965 si occupava proprio di questo argomento e indicava due modalità. La prima si attuava secondo le modalità di un abbandono della progettazione globale dell’ambiente e tendeva “alla definizione e talvolta all’oggettivazione, del panorama urbano, mediante una serie di interventi particolari ossia, con la realizzazione di oggetti e immagini che escludono dalle proprie finalità sia la cosmesi dello styling che la forma assoluta e mirano piuttosto al conseguimento di una tipicità caratteristica, ottenuta mediante una rigorosa impostazione dei problemi funzionali e il ricorso a sottolineature individualizzanti di ordine simbolico o, a volte, perfino ironico, che facilitano l’inserimento dell’oggetto nell’ambiente sollecitando la simpatia e la complicità psicologica del fruitore. L’oggetto, in questo caso, si affida ad un tipo di comunicazione basato non tanto sull’effetto immediato, quanto su un assorbimento ritardato che dovrebbe consentire al fruitore di scoprire per suo conto il messaggio”22.
La seconda modalità riguardava, invece, oggetti più esplicitamente pop, che facevano ricorso all’uso di plastiche e di materiali pneumatici e in alcuni casi avevano come punto di riferimento iconografico le culture extraoccidentali adottate dai Figli dei Fiori .