Un fenomeno che tra anni Sessanta e Settanta iniziava ad influenzare particolarmente le giovani generazioni era quello della moda. In questi anni essa iniziava a non essere più univoca, ma si moltiplicavano più e più mode. Il mito delle maison di haute couture sembrava cadere e la moda si faceva per le strade, ognuno aveva la sua propria identità che dimostrava tramite l’abbigliamento. Il fenomeno non sfuggiva agli Archizoom che tra 1972 e 1973 iniziavano ad occuparsi di dressing design. Se da un lato Branzi studiava le possibilità industriali per la produzione di abiti componibili, dall’altro i coniugi Bartolini riscoprivano la realizzazione artigianale dell’abito, a partire dalle sue fasi preliminari, quindi il reperimento e la realizzazione delle fibre. La ricerca era, comunque, nata già nel 1970, quando il gruppo aveva iniziato a pensare agli oggetti per la vita nella loro città utopica. Tra questi c’erano anche un abito per uomo e per animali, ma soprattutto un sistema di abbigliamento per il clima artificiale della loro città (si ricorda che la Non- stop city era interamente climatizzata). Il nome del progetto era Nearest Habitat System. Per Archizoom il dressing design non era altro che un’esperienza di progettazione urbana, dove era possibile sperimentare la nuova dimensione di una cultura collettiva”98. gli Archizoom per affermare questo partivano dall’assunto di Adolf Loos, che nel 1911 nel suo saggio Architektur faceva un parallelo tra architettura e sartoria, egli infatti, pensava al progetto architettonico non come atto di costruzione, ma atto appartenente all’ambito della abitazione.
97 Ibidem.
Inoltre, ciò che il gruppo apprezzava era il fatto che la moda fosse un aspetto della cultura materiale e un luogo creativo autonomo. La moda rappresentava, dunque, un settore della decorazione e dell’estetica della città, ma anche un modo per tentare una comunicazione sociale: “un oggetto figurativo, in cui i valori fondamentali sono costituiti dal colore, dall'effetto ottico del tessuto, e dalla immagine complessiva che riesce a comunicare”99.
Nel 1970 gli Archizoom per sancire l’inizio della loro ricerca nel campo della moda scrivevano una sorta di manifesto: Proposta per un programma di progettazione di un "sistema razionale di abbigliamento" . Anche in questo caso l’obiettivo era quello di trasportare l’idea della superficie neutra dall’ambito urbano o domestico a quello del vestiario., la proposta prevedeva Infatti un ampio intervento da parte dell’utente che poteva creare il suo abito in base alle sue esigenze, innanzitutto fisiche, infatti gli abiti che si intendeva progettare non avevano taglie e poi creative. Perché questo diventasse possibile era necessario l’intervento dell’industria, la quale avrebbe avuto il compito di impostare la produzione sullo sfruttamento razionale delle possibilità tecniche dei nuovi tessuti, della colorazione industriale e della tessitura.
Prodotto d’abbigliamento neutro per eccellenza, secondo Archigram, erano i jeans che consentivano la creazione dei più diversi abbinamenti e stili e rispondevano alle necessità più diverse: “Essi sono un esempio di ciò che può essere un vero e proprio prodotto industriale nel campo dell'abbigliamento: studiati funzionalmente per quanto riguarda i processi produttivi essi hanno superato per la prima volta il concetto del pantalone elegante, con piega e risvolto; nati in settori specializzati come quello dell'abbigliamento per il lavoro, per la caccia, per il movimento sportivo, hanno costituito, una volta introdotti nel vestiario, una grossa rivoluzione sui piano del comportamento. I giovani vi hanno riconosciuto spontaneamente uno strumento di libertà e di invenzione. I blue-jeans infatti, proprio perche prodotto industriale, non hanno creato una moda ma piuttosto un modo nuovo di capire la moda, molto più personale e libera. Risolvendo infatti il problema del vestiario in maniera la più tecnica possibile, la più funzionale possibile, hanno spostato l'intervento individuale, creativo e comunicativo, sulle possibilità di combinazione, d'uso, di accessori ecc. altrimenti impossibile”100.
Lo scopo dell’introduzione di un sistema razionale di abbigliamento era, dunque, quello di inserirsi nella moda come creazione intellettuale di massa. In questo caso incontrare la massa significava non incontrare il gusto di essa ma generare un gusto nel pubblico.
99Archizoom, Proposta per un programma di progettazione di un "sistema razionale di abbigliamento”, tratto da S.
Gargiani, Archizoom associati…op. cit, n. 71, p. 89.
In quello stesso anno la ditta Brevetti Bernè, specializzata in abbigliamento ortopedico e sanitario, incaricava il gruppo di elaborare dei costumi bagno. Ciò che ne veniva fuori erano dei body unisex in lycra prodotti in vari colori, dalla sgambatura pronunciata e dotati di bretelle di collegamento tra slip e reggiseno, di colletti, di bottoni e di cinture.
Il Nearest habitat, nato da questi modelli er, invece pensato in plastica, e voleva indicare l’abito come prima casa dell’uomo. Delle vignette raffiguravano il progetto, in cui il sistema d’abbigliamento era indossato da uomini e donne all’interno di stanze vuote, essi indossavano tute, pellicce, body con decorazioni pop, per esempio note musicali o bibite.
Due anni dopo, nel 1972 Archizoom continuava la propria collaborazione con la Brevetti Bernè e ne iniziava una nuova con il Maglificio Morgan, entrava in contatto con Elio Fiorucci, stilista che basava le proprie collezioni sulla libertà di abbinamento da parte dell’utente e che avrebbe acquistato parte dei modelli di Archizoom dalle due ditte, per metterli in vendita presso i suoi negozi.
In questo stesso anno venivano elaborati due capi importanti: un body prodotto dalla prima ditta ed una tuta prodotta dal maglificio, entrambi erano nuove elaborazioni dei costumi del 1970 e del sistema Nearest . II body, aderentissimo, era dotato di bottoni, colletto, taschini, mezze maniche, maniche lunghe e collo alto, diventando ogni volta a seconda della volontà dell’utente un capo diverso; la tuta poteva essere corta o lunga e non aderiva al corpo; i due capi potevano essere indossati assieme e ad entrambi potevano essere aggiunti altri capi: una camicia in garza dotata di cintura, una pelliccia, dei leggings o pantaloni variamente decorati. Questi abiti venivano presentati sulle pagine di “Uomo Vogue” ed immortalati da un servizio di Oliviero Toscani allestito in un ambiente che riecheggiava la stanza vuota del MOMA. Alla stessa rivista gli Archizoom dichiaravano “noi concepiamo il design come una terapia d’urto: distruggere le categorie imposte dal sistema e sviluppare la capacita creativa dell'individuo”101. Tenevano, inoltre, a sottolineare che il loro obiettivo non era quello stilistico di creare un nuovo tipo di vestito, ma di concepire una maniera diversa di usare l’abbigliamento. La moda non doveva essere un atto passivo ma piuttosto creazione da parte dell’uomo stesso che deve essere indirizzato verso il vestire e non l’essere vestito. Per questo motivo gli abiti di Archizoom venivano definiti da loro stessi come oggetti piuttosto amorfi, basici tanto da richiedere una continua invenzione.