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Note sulle principali tecniche fotografiche: schede di riferimento Barbara Cattaneo, Donatella Matè

C ARTA A S VILUPPO ALLA

GELATINA

Supporto - carta baritata o fiber based e carta politenata o resin coated (RC).

Il supporto cartaceo nelle carte RC è rivestito da ambo i lati con polietilene addizionato con ossido di titanio che ha rapidamente sostituito il solfato di bario.

Legante - gelatina.

Sostanza fotosensibile - AgCl e AgBr.

Aspetto, texture - superficie liscia, aspetto matt, satinato o brillante, le fibre

della carta non visibili a causa dello spesso strato di barite.

Le gelatine a sviluppo pur avendo una buona stabilità possono presentare sbiadimenti e ingiallimenti. Lavaggi finali insufficienti sono in grado di provo- care solfurazioni con progressivi sbiadimenti dell’immagine. Spesso presente è lo “specchio d’argento” (prodotto di una catena di reazioni di ossidoriduzione e solfurazione con effetto dirompente a livello superficiale) che si manifesta con l’apparizione di un velo lucido di aspetto metallico, generalmente blu, a volte con sfumature gialle, verdi e viola. Tale manifestazione è più evidente nelle basse luci (massimo della densità argentica) piuttosto che nelle medie e questo per via della concentrazione dell’argento; la sua localizzazione segue per lo più un pattern tipico che può essere lungo i bordi, per esempio quando i margini sono esposti alla circolazione dell’aria e degli inquinanti, e/o al cen- tro, quando l’immagine è conservata in contenitori non idonei. Le fotografie più recenti risentono molto meno di questa degradazione rispetto a quelle storiche.

Tonalità - grigio-neutra in assenza di viraggio. Le prime carte matt non bari-

tate presentavano tonalità neutre o blu-nere.

Periodo di utilizzo

Note sulle principali tecniche fotografiche: schede di riferimento

8.2.2 Procedimenti a colori 8.2.2.a Autocromia

L’autocromia (fig. 8.30) fu il primo procedimento di fotografia a colori in tricromia pro- dotto industrialmente. I fratelli Lumière impiegarono fecola di patata impregnata dei tre colori fondamentali come base per un'emulsione che veniva stesa su una lastra di vetro preventivamente trattata con una vernice a base di caucciù. Lo strato di emul- sione era molto sottile, in modo tale che i singoli granuli colorati risultassero giustappo- sti. Venivano aggiunte particelle di carbone più fini dei granuli per chiudere eventuali interstizi che potessero lasciar filtrare la luce bianca. La superficie era poi accurata- mente livellata e coperta con una vernice impermeabile a base di resina Dammar di- sciolta in benzene, con lo scopo di evitare la migrazione dei coloranti e ottenere una mi- glior gamma di trasparenze. Al di sopra di tutto veniva stesa un’emulsione fotografica argentica, in bianco e nero, pancromatica. Si poneva davanti all’apparato di ripresa un filtro giallo per diminuire la sensibilità al blu dell’emulsione argentica e caricando la lastra in senso inverso, in modo che la luce colpisse prima lo strato colorato e poi lo strato sensibile. Le lastre sviluppate venivano protette da un doppio vetro fissato lungo i bordi con bande gommate nere. Le autocromie spesso erano vendute già montate nel loro dispositivo di visione storico, il Diascopio, un contenitore di legno o in metallo in cui l’autocromia, inserita in una slitta inclinabile, veniva osservata riflessa in uno spec- chio. L’osservazione corretta è dal lato opaco.

AUTOCROMIA Supporto - vetro e successivamente celluloide.

Legante - gelatina e fecola di patata. Sostanza fotosensibile - AgX.

Aspetto, texture - a piccolo ingrandimento si distinguono nettamente i

granuli colorati. Fenomeni di ossido-riduzione a carico dell’argento si manifestano con macchie circolari color arancio, mentre la presenza di macchie verdi indica una migrazione di coloranti dovuta a fenomeni di umidità.

Tonalità - generalmente poco satura. Periodo di utilizzo

1903-1933. Periodo di maggiore diffusione 1907-1931. La fabbricazione delle lastre fu sospesa nel 1932 e sostituita da Filmcolor, Lumicolor e Alticolor su supporto flessibile.

8.2.2.b Positivi, negativi e diapositive a sviluppo cromogeno

Le stampe a sviluppo cromogeno (figg. 8.31-8.34) consistono in immagini argentiche che in fase di sviluppo vengono sostituite da coloranti organici. Ogni casa produttrice ha of- ferto prodotti via via perfezionati, attraverso la ricerca su copulanti di colore più stabili e carte più semplici da processare, grazie a parametri standardizzati. Le diciture pre- senti sul verso delle carte è fondamentale per una loro identificazione completa. Sotto forti ingrandimenti (500x) sono visibili i coloranti, disposti a piccole macchie.

SULLE FOTOGRAFIE DANNEGGIATE

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Fig. 8.31 - Stampe a sviluppo cromogeno Kodak, 1960-1970

Fig. 8.32 - Stampa a sviluppo cromogeno, anni 1960, con tipica dominante dovuta a deterioramento dei coloranti

Note sulle principali tecniche fotografiche: schede di riferimento

Fig. 8.33 - Prove di stampa dello stesso soggetto, su varie carte a colori con diverse finiture

Fig. 8.34 - Prove di stampa dello stesso soggetto, fotografate in luce radente, su varie carte a colori con diverse finiture

Introdotti dalla Agfa nel 1939, i negativi su supporto flessibile a sviluppo cromogeno si diffusero in Europa soltanto dopo la fine della guerra. Il Kodacolor apparve invece sul mercato americano nel 1942. Per la loro realizzazione viene utilizzata la tecnologia del colore cromogeno, già adottata per le diapositive a partire dal 1935. I coloranti giallo, magenta e ciano si formano durante la fase di rivelazione cromogena; subito dopo, un bagno di sbianca permette di eliminare l’argento, necessario nelle emulsioni come agente fotosensibile. Le pellicole sviluppate presentano una colorazione aranciata: si tratta di una mascheratura funzionale al controllo del contrasto in fase di stampa. Da- gli anni Ottanta vengono commercializzate pellicole a sviluppo cromogeno in bianco e nero, stampabili su carte cromogeniche o carte tradizionali b/n ai sali d’argento.

SULLE FOTOGRAFIE DANNEGGIATE

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Nate nel 1935, utilizzate per la fotografia e per il cinema, le diapositive a sviluppo cro- mogeno (fig. 8.35) sono a rischio di deterioramento per via dell’instabilità dei coloranti (fanno eccezione le pellicole a copulanti non incorporati, come le Kodachrome) e per il degrado del triacetato (sindrome acetica), supporto utilizzato almeno fino agli anni ’90. Quando non sono verniciate, le Kodachrome e alcune pellicole recenti sono riconoscibili per via dell’immagine a rilievo, ben visibile sul lato emulsione; tutte le altre, invece, hanno il lato emulsione regolare e omogeneo. Le diapositive sono montate in telaietti.