Capitolo 3 Aspetti di conservazione preventiva
3.1 Sistemi di prevenzione e controllo degli infestant
Ogni archivio fotografico, come del resto ogni realtà che ospiti un bene culturale, ha il compito di gestire e curare le proprie collezioni garantendone la fruizione con criteri di conservazione preventiva, tenendo principalmente in considerazione le condizioni am- bientali. L’“Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funziona- mento e sviluppo dei musei” (D.Lgs. n. 112/98, art. 150, comma 6 - Gazzetta Ufficiale n. 244 (supplemento), 19 ottobre 2001, fascicolo 238, Ambito IV, Roma), è il documento che a livello nazionale fornisce indicazioni generali sulle azioni di conservazione pre- ventiva da intraprendere e pur essendo specificatamente rivolto ai musei, viene rece- pito anche da archivi e biblioteche.
Corrette procedure di gestione e di manutenzione consentono un adeguato manteni- mento dei beni e delle strutture in cui sono conservati con una ricaduta in termini di migliore gestione economica delle risorse. A tal fine è necessario impostare una meto- dologia di analisi che permetta una ricognizione complessiva dello stato di fatto delle strutture nel loro insieme e delle opere in esse contenute, tenendo conto dell’involucro edilizio, degli spazi interni ed esterni, delle condizioni microclimatiche/ambientali, dei sistemi impiantistici, dello stato di conservazione dei beni e degli apparati decorativi. Propedeutica in un programma generale di conservazione preventiva, è una ispezione generale delle strutture degli edifici nel loro insieme e dei locali adibiti ad accogliere la documentazione con una raccolta di dati che possa costituire una base fondamentale per evidenziare eventuali criticità, stabilire priorità ed individuare gli obiettivi da rag- giungere a breve, medio e lungo termine.
Rilevamento dei parametri termoigrometrici e delle radiazioni luminose, monitoraggio degli inquinanti presenti nell’aria (chimici e biologici) ed eventuale predisposizione di impianti di climatizzazione o di dispositivi utili ad effettuare un condizionamento pas- sivo, alloggiamento in arredi, contenitori e involucri a norma, manipolazione e movi- mentazione secondo criteri definiti, depolveratura e igiene dei locali e dei materiali, sono gli interventi basilari che caratterizzano un programma di conservazione preven- tiva.
Momenti importanti sono anche le periodiche attività ispettive che consentono l’individuazione tempestiva dei danni (soprattutto nel caso in cui si tratti di un danno di tipo biologico) e la programmazione di interventi di manutenzione e di restauro. Nell’ambito di tali attività si inserisce la prevenzione dagli infestanti, sovente sottova- lutata e che si basa sulla conoscenza dei costituenti i beni e degli organismi deteriogeni, su una sorveglianza accurata dei locali, su una rimozione e ispezione dei materiali, su una depolveratura e scrupolosa igiene di tutte le superfici.
Il piano IPM deve essere correlato all’edificio, ai materiali ivi conservati e alle varie at- tività svolte; deve basarsi su competenze e capacità disponibili e inoltre deve essere pratico e perseguibile. Fase iniziale per ogni programma di IPM è un’attenta ispezione delle strutture dell’edificio (si deve considerare infatti che le superfici murarie degra- date sia esterne sia interne possono fornire innumerevoli cavità o punti di appog- gio/entrata per artropodi e roditori), degli ambienti adibiti a conservazione e delle colle- zioni per riportare lo stato di eventuali infestazioni passate e presenti, nonché per se- gnalare la potenzialità di quelle future. La maggiore difficoltà di tali ispezioni, nel mo- mento in cui venga registrato un danno biotico, si riscontra nel diagnosticare se tale danno si riferisca ad una vecchia infestazione (e quindi l’organismo infestante non sia più presente), oppure ad una nuova (ancora attiva o in diapausa) che necessiti quindi di un immediato intervento di disinfestazione, di controllo e di monitoraggio.
Aspetti di conservazione preventiva
zione della causa (popolazione dell’organismo infestante).
Solo l’attivazione di personale altamente qualificato, associata ad una gestione basata su un programma di monitoraggio che preveda l’impiego di trappole, possono dare una risposta a tale quesito e individuare le eventuali dimensioni del problema nonché la strategia di diffusione dell’organismo dannoso. Accertata la presenza del problema, si deve immediatamente passare alla fase del riconoscimento tassonomico del/degli orga- nismo/i implicato/i nell’infestazione e della loro distribuzione spaziale nel locale di con- servazione.
La strategia di colonizzazione adottata dagli organismi infestanti può variare da specie a specie ed è sempre relazionata alla distribuzione del substrato alimentare. Vi sono infatti alcuni insetti con una strategia che segue un andamento di tipo “a macchia d’olio”, ovvero partendo dal punto “sorgente dell’infestazione”, mano a mano si allar- gano in tutte le direzioni seguendo il gradiente “cibo”; altri, invece, che colonizzano l’ambiente seguendo un sistema a “macchia di leopardo”, con una distribuzione irrego- lare. Questo ultimo tipo di infestazione è noto soprattutto in specie che temono la com- petizione larvale intraspecifica (larve che competono per il substrato alimentare o che possono persino mostrare in casi di sovrappopolamento forzato un comportamento di cannibalismo nei confronti di uova/larve/pupe della stessa specie).
Il metodo più ricorrente per l’individuazione delle infestazioni attive e per la identifica- zione/valutazione dei sistemi di controllo utilizzati è l’impiego di trappole entomologi- che distribuite nell’ambiente da sorvegliare. Tali trappole vanno distinte in due gruppi: generaliste e specifiche. Le prime si fondano su sistemi di cattura basati su attrattivi generici, come ad es. la luce nelle trappole luminose o il colore giallo nelle trappole cromototropiche (fig. 3.1), oppure semplicemente la colla nelle trappole adesive o pareti lisce nelle trappole a caduta. Invece, le trappole specifiche sono innescate da sostanze attrattive (feromoni o alimenti) il più possibile associate alla specie infestante (fig. 3.2). Le trappole generaliste quindi sono più adatte per realizzare monitoraggi di tipo pre- ventivo (senza sapere quali specie infestanti siano eventualmente presenti in alcune aree dell’ambiente adibito a deposito), le seconde invece sono più idonee nel valutare l’efficacia della strategia di lotta usata per uno specifico organismo infestante di cui si conosce già l’identità e – approssimativamente – le dimensioni della popolazione. Le trappole devono essere collocate in punti referenziati e controllate periodicamente da personale specializzato. I vari tipi di trappole verranno trattati nel paragrafo 5.1.1.
Fig. 3.1 - Trappola generalista cromotropica Fig. 3.2 - Trappola specialistica ad imbuto che viene innescata con feromone
SULLE FOTOGRAFIE DANNEGGIATE
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Sebbene vi siano da seguire linee guida già definite per conservare (dal punto di vista fisico-tecnico) i beni culturali, mettendo in atto “adeguate condizioni microclimatiche”, non è possibile estrapolare la problematica generale di una corretta conservazione da quella che è la realtà specifica italiana, dove le collezioni e gli archivi sono molto spesso ospitati in edifici storici che non posseggono i requisiti fisici-strutturali richiesti (art. 6 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 - Supplemento Ordinario n. 28).
Pertanto, qualsiasi intervento strutturale non può prescindere da tre variabili indi- pendenti: struttura dell’edificio ospitante, tipologia dei materiali storici archiviati e personale/visitatori fruitori.
1. Edificio ospitante. Questo è collocato in uno specifico contesto ambientale e climatico che necessita di interventi per determinare condizioni microclimatiche interne in grado di proteggere i beni da danni biotici e abiotici. Purtroppo l’edificio (e/o la zona in cui esso è collocato)risulta spesso soggetto a vincoli artistici che non consentono (o perlomeno rendono estremamente difficile) qualsiasi forma di “messa a norma” per l’uso come “archivio di beni culturali”.
2. Materiali storici archiviati. Oltre a quelli costitutivi i beni archivistici e librari, nei locali di conservazione sono presenti anche altri materiali propri della struttura dell’ambiente. Ognuno di questi potrebbe essere soggetto a danni biotici e abiotici specifici e quindi dovrebbe essere considerato ed eventualmente trattato singolar- mente. Inoltre è necessario valutare attentamente la storia pregressa di ogni bene, intervenendo in caso di necessità con un adeguato restauro e – soprattutto – con un periodo di “quarantena e decontaminazione” prima che possa essere collocato nel lo- cale di conservazione.
3. Personale/visitatori fruitori. Si deve dare la possibilità al personale addetto di avere accesso alle collezioni, sia per la manipolazione e consultazione sia per la necessaria attività tecnica di supporto/monitoraggio/gestione. La consultazione della documen- tazione dovrebbe essere effettuata in appositi locali, possibilmente non troppo di- stanti dall’ambiente conservativo (anche per ottimizzare la movimentazione), predi- sposti per lo scopo e con criteri di manipolazione ben definiti, a seconda delle varie tipologie di materiali.
Non sempre è possibile predisporre un edificio o un locale ad hoc per la conservazione dei materiali e spesso, dopo aver effettuato approfondite verifiche tecniche, si deve cer- care solo di migliorare una situazione preesistente. Si possono cioè adottare interventi preliminari volti al risanamento del locale eliminando tutte quelle carenze strutturali che potrebbero compromettere nel tempo la sicurezza dei beni. In generale non sono comunque da tenere in considerazione tutti quei locali non adeguatamente coibentati o dotati di grandi vetrate, di aperture e finestre, per via della dispersione termica e per l’irraggiamento (radiazioni UV e IR) eccessivo che potrebbero ricevere. Anche i piani terra, seminterrati o interrati, sebbene freschi, sarebbero da evitare perché possono es- sere caratterizzati da valori elevati di umidità relativa e/o esposti al rischio di allaga- menti, e/o soggetti a risalite capillari di umidità e quindi in grado di favorire lo svi- luppo di eventuali inquinanti e infestanti. Sconsigliati anche i sottotetti, in quanto non sufficientemente coibentati e difficili da climatizzare, poiché possono risentire di elevati sbalzi termici e di possibili infiltrazioni di acque meteoriche.
I rischi di un attacco da insetti e roditori sono connessi sia alle caratteristiche del manufatto sia a quelle dell’ambiente conservativo (struttura, ubicazione geografica e clima). Nel caso in cui ad esempio un archivio fosse disposto in un ambiente strutturato con travi in legno risulterebbe opportuno adottare alcuni accorgimenti come
Aspetti di conservazione preventiva
l’isolamento delle testate dalle murature, la realizzazione di apposite nicchie di alloggiamento delle travi per consentire una migliore aerazione (possibilmente con pareti in mattoni pressati) e un più facile assorbimento e cessione dell’umidità o l’inserimento di materiali isolanti sulla base di appoggio delle travi. stesse (Liotta,
2001).