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b Valori termoigrometrici per la conservazione dei materiali fotografic

Capitolo 3 Aspetti di conservazione preventiva

3.2 Azioni di conservazione preventiva

3.2.1. b Valori termoigrometrici per la conservazione dei materiali fotografic

Per l’archiviazione a lungo termine delle fotografie, da un punto di vista chimico-fisico, esistono precisi valori di riferimento emanati da organismi internazionali (norme ISO - International Organization for Standardization), a seconda delle tipologie di materiali (tab. 3.1), che devono essere rispettati. Tali normative forniscono definizioni e specifi- che relative alla conservazione dei materiali fotografici tradizionali; attualmente sono in corso simili iniziative anche per i materiali digitali. Per una migliore comprensione, nel capitolo 8, sono presentate alcune note riassuntive ed esplicative delle varie tecni- che fotografiche citate nella tabella sottostante e nei capitoli precedenti.

Tab. 3.1 - Temperature massime ed intervalli di umidità relativa per la conservazione dei materiali fotografici monocromi e a colori*

PROCESSI MONOCROMI T °C max** U.R.%***

Dagherrotipi, ambrotipi e ferrotipi 18 30-40

Stampe su carte ad immagine argentica1 18 30-50

Lastre di vetro alla gelatina 18 30-40

Pellicole in

poliestere2

Processi ad immagine argentica (vedi ISO 18901:2010) Procedimenti termici (vedi ISO 18919:1999)

Procedimenti vescicolari (vedi ISO18912:2002)

21 15 10 20-50 20-40 20-30

Pellicole in nitrato di cellulosa3 2 20-30

Pellicole in esteri di cellulosa (triacetato di cellulosa, acetato butirrato di

cellulosa e acetato propionato di cellulosa) (vedi ISO 18901:2010)

7 5 2 20-30 20-40 20-50 PROCESSI A COLORI T °C max U.R.% Stampe

su carta

Polaroid (diffusion transfer) a sviluppo istantaneo Kodak Dye-Transfer (imbibition) a imbibizione di coloranti

Processi ai pigmenti (processo carbro, gomma bicromata) 18 30-50

Stampe su carta a sviluppo cromogeno4 2 30-40

Pellicole cromogeniche in esteri di cellulosa (triacetato di cellulosa,

acetato butirrato di cellulosa e acetato propionato di cellulosa)5

˗3

˗10 20-40 20-50

Cibachrome (silver dye bleach)6 21 20-50

Pellicole diazo in poliestere7 (vedi ISO 18905:2002) 2 20-30

* (ISO 18918:2000, ISO 18909:2006, ISO 18911:2010, ISO 18920:2011).

** Le variazioni di temperatura non devono eccedere ±2 °C in un periodo di 24 h. *** Le variazioni di umidità relativa non devono eccedere ±5% in un periodo di 24 h.

1 Per stampe non argentiche al platino e palladio sono consigliate: T max di 18 °C e U.R. tra 40% e 50%.

2 (ISO 18911:2010).

3 Per pellicole poco degradate vengono consigliati anche -10 °C e 50% di U.R., per pellicole molto degradate ˗16 °C e 50% di U.R. o ˗5 °C e 30% di U.R. (Adelstein, 2002).

4 (ISO 18909:2006).

5 (ISO 18911:2010). 6 (ISO 18911:2010). 7 (ISO 18911:2010).

Aspetti di conservazione preventiva

Come è possibile constatare, per alcune tipologie di tecniche fotografiche sono pre- scritte temperature relativamente miti come 18 °C max (fotografie storiche montate in cornici o astucci, stampe, lastre di vetro e alcuni tipi di pellicole), altre necessitano invece di ambienti freddi e/o con valori di U.R. bassi (Reilly, 1993; Wilhelm, 1993). In generale è da tenere in considerazione che le fluttuazioni di temperatura possono determinare stress termici, causando fenomeni di dilatazione e contrazione e che luoghi troppo secchi possono comportare per alcuni manufatti fotografici deformazioni e infragilimenti (pellicole e carte, compresi i cartoni di montaggio), deformazioni delle pellicole in acetato di cellulosa e contrazioni della gelatina con possibili distacchi. Per materiali quali i nitrati di cellulosa è importante che il locale di conservazione sia ben ventilato, con una umidità relativa non troppo alta e una temperatura bassa (anche sotto lo zero), sia per rallentare al massimo la cinetica di decomposizione sia per assorbire il calore generato da questa reazione. Si parla infatti di materiali molto critici (autocomburenti) che possono andare incontro a decomposizione per idrolisi (promossa da acidi o basi presenti nella pellicola); i prodotti gassosi generati, in particolare se non vengono prontamente allontanati, sono in grado di far procedere ulteriormente il deterioramento del nitrato nel corso di reazioni secondarie. Tutti i prodotti della decomposizione del nitrato di cellulosa sono aggressivi nei confronti degli altri materiali fotografici, sia cartacei, plastici o metallici, e anche nei confronti degli alogenuri d’argento dello strato immagine. Il processo di decomposizione del nitrato di cellulosa è autocatalitico, ovvero autoaccelerante e produce come accennato un’elevata quantità di calore. Per questo motivo le pellicole in nitrato di cellulosa devono essere alloggiate separatamente dagli altri materiali in contenitori idonei (Adelstein, 2002; Ploye, 2005). Inoltre si deve considerare che i prodotti della degradazione possono de- terminare nell’uomo irritazioni agli occhi, alle vie respiratorie, nausea, rash, vertigini ecc. (Geiger & Cox, 2012). Anche gli acetati di cellulosa affetti dalla sindrome dell’aceto (vinegar syndrome), meccanismo degradativo che conduce a comparsa di acidità, odore di aceto, restringimenti, infragilimenti, depositi cristallini, bolle, ammorbidimento della emulsione, sbiadimenti dei colori, se conservati a temperature e umidità relative basse (tra 4 °C e -4 °C e 30% di U.R.) hanno aspettative di vita - LE (Life Expectancy) più lunghe che si attestano intorno ai 1500 anni (Reilly et al., 1991; Adelstein et al., 1992, 1997; Reilly, 1993).

Nelle fotografie a colori il degrado, che si manifesta sotto varie forme (macchie, varia- zioni di densità, cambiamenti e viraggi di colore), è il risultato di complesse reazioni chimiche accelerate da valori alti di temperatura e umidità relativa e dalla luce ma che si evidenziano anche se il materiale è conservato al buio (Wilhelm & Brower, 1993; Reilly, 1998; Quintric, 2006; Allitta et al., 2013). Ciò si verifica in maniera particolare per i materiali a sviluppo cromogeno che presentano una fragilità intrinseca dovuta all’instabilità dei coloranti dell’immagine. Comunque anche in questo caso è fondamen- tale una archiviazione alle basse temperature unitamente ad un controllo dell’umidità relativa, che deve mantenersi entro valori di sicurezza compresi tra 25% e 50%, as- sociata ad una conservazione al buio come del resto per tutti i materiali fotografici. A parte i singoli valori specifici per le diverse tipologie di tecniche fotografiche, è dove- roso considerare che, per una conservazione ottimale, i vari materiali richiedono solu- zioni diversificate e per questo è opportuno predisporre ambienti separati e dedicati; un alloggiamento dunque che tenga in considerazione le varie tipologie materiche. Una conservazione di tal genere, definita nell’uso corrente di tipo “segregata”, deve essere assolutamente predisposta per i nitrati e per gli acetati. Ove non sia possibile allestire ambienti al freddo, è essenziale preparare almeno locali, ben ventilati, freschi e asciutti. Inoltre è necessario rimuovere i contenitori metallici che non permettono la fuoriuscita delle sostanze prodotte dalla degradazione e adottare contenitori idonei fo-

SULLE FOTOGRAFIE DANNEGGIATE

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rati o in cartone, avendo cura eventualmente di sistemare al loro interno assorbitori specifici. Certamente in tali ambienti ove sono imposte le basse temperature, lo svi- luppo degli insetti è più difficoltoso e le possibilità che si possano verificare delle infe- stazioni sono minori.

Spesso vengono messi in opera sofisticati sistemi di monitoraggio ambientale senza at- tuare le più semplici misure preventive come la pulizia dei locali conservativi e soprat- tutto di quelli limitrofi, ritenendo erroneamente che il problema sia esattamente circo- scritto a quel determinato ambiente. Un altro errore ricorrente è quello di lasciare ac- catastati materiali o arredi non più in uso, impedendo in tal modo le normali operazioni di pulizia o le ispezioni che dovrebbero essere svolte per monitorare lo stato del locale adibito alla conservazione. A tale proposito, è fondamentale assicurarne uno stato igienico mediante la frequente rimozione dei depositi di polvere e di inquinanti, tra cui spore di microrganismi, uova e frammenti di insetti, insetti e acari allo stato vitale e insetti molto piccoli (come ad esempio gli Psocotteri, che riescono facilmente ad essere trasportati dalle correnti d’aria) al fine di impedire che possano tornare in circolo per azione degli impianti di ventilazione. Queste operazioni, spesso sottovalutate e tralasciate a favore di programmi più complessi e onerosi, consentono non solo di “disturbare” il ciclo vitale degli insetti, ma rappresentano anche un momento importante di verifica dello stato dei materiali conservati, permettendo di individuare così l’insorgenza di deterioramenti in fase iniziale. Inoltre si deve considerare che polvere e detriti rappresentano una fonte trofica e di rifugio per alcuni infestanti e possono creare un microambiente tale da favorirne lo sviluppo e la presenza. Infine, i detriti organici possono agevolare la crescita di microfunghi, i quali a loro volta possono richiamare altri insetti che si nutrono di essi. La presenza quindi di questi ospiti occasionali, che spesso non induce una reale preoccupazione, deve essere invece attentamente valutata perché fonte di possibili future problematiche.