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Le atmosfere controllate e modificate

Trattamenti disinfestanti contro gli artropodi Marianna Adamo, Massimo Cristofaro

4.1 Metodi fisic

4.1.3 Le atmosfere controllate e modificate

Il metodo delle atmosfere controllate o modificate consiste nel variare i normali rap- porti tra i gas generalmente presenti nell’aria, originando condizioni incompatibili con la vita degli organismi aerobi.

Di solito l’atmosfera si dice controllata quando la concentrazione di azoto (N2) aumenta

oltre il 99% e quella dell’ossigeno (O2) scende al di sotto dell’1%, mentre l’atmosfera

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re anche una atmosfera con alte concentrazioni di azoto e anidride carbonica, ma con basso livello di ossigeno.

È possibile generare quindi negli insetti condizioni di anossia mediante la riduzione della concentrazione di ossigeno o di ipercarbia grazie all’aumento di anidride carbo- nica. Entrambe le situazioni, pur agendo in modo diverso, riducono la fosforilazione os- sidativa provocando la morte dell’organismo: l’ipossia limita la disponibilità di ossigeno quale accettore finale degli elettroni nel ciclo di Krebs, mentre l’ipercarbia inibisce gli enzimi coinvolti nel ciclo stesso (Chiappini et al., 2009). In termini generali, in condi- zioni di scarsità di ossigeno, a determinare la morte degli insetti non è il soffocamento ma la perdita di acqua attraverso gli spiracoli tracheali. Normalmente queste aperture tegumentali (attraverso le quali gli insetti respirano) situate lungo il torace e l’addome appaiono poco dilatate per consentire l’ingresso dell’ossigeno ed evitare la perdita di vapore acqueo ma, quando l’ossigeno è reso minimo nell’aria esse vengono aperte al massimo per aumentare la respirazione; si determina così la perdita di acqua corporea per evaporazione con conseguente morte dell’insetto per disidratazione (Selwitz & Maekawa, 1998). La sottrazione di acqua non può essere controbilanciata dall'umidità esterna in quanto l’epicuticola che ricopre gli spiracoli è cerosa ed essendo pertanto im- permeabile ne impedisce l’ingresso.

Le atmosfere controllate o modificate sono in grado di eradicare qualsiasi specie di in- setto, o altro artropode, e ogni suo stadio vitale (uova, larva, pupa, adulto) mentre ri- sultano praticamente inefficaci nei confronti dei microrganismi. Infatti questi ultimi possiedono notevoli capacità adattative sia per fronteggiare la carenza di ossigeno sia l’aumento della concentrazione di azoto; l’atmosfera modificata in caso di contamina- zione microbica può essere utilizzata unicamente per rallentarne l’attività biologica esplicando un effetto prevalentemente fungistatico e/o batteriostatico. Ne consegue quindi che i microfunghi, così come i batteri sporigeni, dopo un periodo di quiescenza saranno in grado di germinare nuovamente non appena verranno a ritrovarsi in condi- zioni ambientali idonee (Matè et al., 2004; Berti et al., 2005; Capizzi & Zanelli, 2008). La concentrazione dell’ossigeno può essere ridotta allo 0,1-0,2% mediante:

- utilizzo di captatori di ossigeno per oggetti di piccole dimensioni (trattamento sta- tico);

- sostituzione dell’ossigeno con anidride carbonica o con gas inerti quali azoto, argon o elio (trattamento dinamico). In genere per interventi su beni di grandi dimensioni si preferisce usare l’anidride carbonica mentre per quelli di piccole dimensioni si ri- corre all’azoto o all’argon, che funzionano altrettanto bene anche se sono più costosi dell’anidride carbonica;

- uso di captatori e gas inerti per il trattamento di oggetti di grandi dimensioni (trat- tamento misto).

Trattamento statico. I captatori di ossigeno vengono utilizzati principalmente per il

trattamento di oggetti di piccole dimensioni. Tra quelli più usati ricordiamo l’Ageless® prodotto in Giappone, l’Atco® di produzione francese e il FreshPax® americano. Di ognuno sono disponibili vari tipi e la scelta viene fatta in funzione del grado di permea- bilità delle pellicole utilizzate per il confezionamento e della quantità di ossigeno da as- sorbire (Hatchfield, 2002).

L’Ageless® è generalmente il più utilizzato perché estremamente efficace nel rimuo- vere l’ossigeno dall’ambiente. Consiste in sacchetti contenenti, in una membrana per- meabile ai gas e al vapor d’acqua, sali ferrosi che, per reazione con l’ossigeno atmosfe- rico e l’umidità, si trasformano in ossidi ferrici. I captatori di ossigeno, imballati in- sieme al bene da trattare con materiale plastico e impermeabile all’ossigeno stesso, sot- traggono quest’ultimo tramite fenomeni di ossidazione.

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Tale reazione è esotermica e per limitare la produzione di calore, è opportuno creare il vuoto nei captatori che non vanno mai posti a diretto contatto con il bene. Poiché l’incremento di temperatura potrebbe determinare un aumento di umidità relativa, è consigliabile inserire insieme agli assorbitori anche prodotti tampone o carta da filtro (Hatchfield, 2002). Una volta inseriti i dispositivi all’interno della confezione, è oppor- tuno introdurre anche uno o più indicatori di ossigeno al fine di verificare la reale con- centrazione del gas all’interno dell’involucro reso anossico e di accertare contempora- neamente la buona riuscita del trattamento. Generalmente la concentrazione di ossi- geno viene controllata tramite idonei congegni o al momento dell’immissione dell’atmosfera modificata negli involucri oppure posizionando all’interno degli imbal- laggi appositi indicatori che cambiano il loro colore in relazione alla concentrazione presente di ossigeno (virando al rosso con valori <0,1% e al blu con valori >0,5%). Per eliminare tutti gli stadi degli insetti infestanti occorrono almeno tre settimane di trattamento ad una temperatura di 25 °C (Pinniger, 2001).

Trattamento dinamico. Il trattamento effettuato in eccesso di anidride carbonica,

usato già da molti anni nel settore agro-alimentare, può essere eseguito in autoclave o con l’ausilio di un qualsiasi contenitore sigillato purché i materiali siano confezionati con pellicole impermeabili all’ossigeno (ad esempio polietilene ad alta densità, polie- stere, laminato di alluminio). Pellicole con basso rateo di diffusione di ossigeno sono da preferire in caso di conservazione a lungo termine. Poiché l’anidride carbonica è isolata termicamente in contenitori a temperature molto basse, è necessario prestare atten- zione, al momento dell’immissione, che il flusso del gas non danneggi a causa del raf- freddamento gli oggetti da trattare. Si può ovviare a questo inconveniente utilizzando dispositivi connessi tra gli erogatori e le confezioni in grado di far evaporare il gas scal- dandolo alla temperatura voluta.

Dopo aver creato il vuoto nella confezione, si immette il gas preriscaldato a 20-25 °C (alla concentrazione del 60-80%) che dovrà essere tenuto in movimento per impedirne la stratificazione verso il basso (essendo più pesante dell’aria) e per garantire quindi l’efficacia dell’intervento. L’effetto biocida dell’anidride carbonica è maggiore in presen- za di ossigeno ed è pertanto controproducente usare livelli superiori al 90% (Pinniger, 2001). Infatti in un ambiente saturo di anidride carbonica, gli organismi sviluppano le loro capacità di autodifesa tanto da esaltare l’effetto narcotizzante del gas a scapito di quello asfissiante (Capizzi & Zanelli, 2008). Per completare con successo il trattamento risulta necessario monitorare in continuo oltre la concentrazione del gas anche l’umidità relativa e la temperatura, in modo da intervenire tempestivamente qualora si dovessero modificare le condizioni prestabilite. Al fine di evitare la formazione di acido carbonico (che potrebbe causare una variazione del pH dei beni) è opportuno mantenere i valori dell’umidità relativa tra il 50% e il 55%. La durata del trattamento è in genere di tre settimane (o anche più) correlandola a variabili quali la tipologia di specie infe- stante e le dimensioni del bene da bonificare.

Anche nel caso in cui si utilizzi l’azoto (più economico rispetto all’argon o all’elio), il trattamento deve essere eseguito con bassi livelli di ossigeno (<0,3%) e in camere spe- ciali impermeabili a quest’ultimo gas. La velocità di trattamento è in funzione della specie infestante e della temperatura. Temperature di 25 °C o superiori dovrebbero es- sere sufficienti a uccidere i vari stadi di tutte le specie di insetti dopo due o tre setti- mane di esposizione (Pinniger, 2001).

Il gas (contenuto in bombole o prodotto da generatori che, attraverso sistemi di filtra- zioni multiple, lo estraggono dall’atmosfera) deve essere riscaldato ma soprattutto umidificato prima dell’immissione nelle confezioni per evitare che un eccessivo abbas- samento dell’U.R. possa disidratare i materiali con conseguenti danni irreversibili (co-

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me ad esempio la rottura e la formazione di rigonfiamenti su superfici policrome o l’infragilimento di pitture ad olio). L’uso di umidificatori durante il trattamento risulta quindi indispensabile per mantenere l’umidità ai valori iniziali. I bassi livelli di ossi- geno possono essere raggiunti abbastanza rapidamente nelle confezioni piccole mentre per quelle più grandi è necessario ripetere più lavaggi con il gas e aspirare ogni volta l’aria residua per rendere il procedimento più veloce ed economico; l’immissione dell’azoto viene arrestata quando la concentrazione dell’ossigeno scende ad una percen- tuale dello 0,1-0,2%. Per effettuare un trattamento ottimale la temperatura deve essere compresa tra 20-25 °C e l’umidità relativa tra 50-55%.

La specie infestante e la dimensione dei materiali da trattare determinano il tempo di esposizione che può oscillare dalle tre settimane a un mese (Montanari, 2007).

Trattamento misto. Esistono anche sistemi di trattamento misto per la disinfesta-

zione di oggetti di grandi dimensioni che affiancano all’uso del gas inerte i captatori di ossigeno. In tal modo è possibile non solo stabilizzare la concentrazione di ossigeno vo- luta ma anche assorbire la sua lenta perdita nella confezione che potrebbe favorire la sopravvivenza dell’insetto. Ovviamente per ognuno dei trattamenti citati esistono pro- cedure ben codificate da seguire.

In termini generali si può affermare che l’efficacia di un intervento eseguito con atmo- sfere controllate o modificate è strettamente correlata alla temperatura e all’umidità relativa, ad esempio un aumento della temperatura accelera le funzioni vitali dell’organismo velocizzando la risposta al trattamento mentre un aumento della umi- dità relativa potrebbe consentire l’attivazione di spore fungine con possibili danni an- che in condizioni di anossia (Pinzari et al., 2003). Al contrario una temperatura troppo bassa durante il trattamento può provocare uno stato di diapausa dell’insetto che, a causa della respirazione ridotta, paradossalmente diventa più resistente alla disidrata- zione (Johnson, 2010).

Le numerose esperienze indicano che per un trattamento di anossia i parametri consi- gliati sono: ossigeno <0,1%, T>20 °C, U.R. 50% (Gunn et al., 2007). Temperature infe- riori ai 20 °C sono sconsigliate perché comportano un protrarsi eccessivo del tratta- mento (Pinniger, 2001). Infatti, a questa temperatura, esposizioni più lunghe (quattro o cinque settimane) possono essere richieste per debellare ad esempio Anobium puncta-

tum, insetto notoriamente tollerante a bassi valori di ossigeno e ad alti valori di ani-

dride carbonica.

L’utilizzo di gas compressi implica la movimentazione di grandi quantità di bombole ad elevata pressione (200 atmosfere) con relativi problemi di trasporto, logistica e di sicu- rezza. All’esterno delle camere di fumigazione deve essere sempre controllata la compo- sizione dell’aria in quanto errori procedurali o anche una perdita inavvertita di ani- dride carbonica nell’area di trattamento potrebbero determinare incidenti anche mor- tali (una persona muore se esposta a condizioni atmosferiche con concentrazioni di os- sigeno inferiori all’8%). Si consideri, inoltre, che manovre errate nella apertura dei ri- duttori di pressione possono fare convogliare nella confezione un flusso di gas ad altis- sima velocità la cui energia cinetica è in grado di causare seri danni agli oggetti inve- stiti.

Per ottenere un’atmosfera controllata/modificata e utilizzarla al meglio, oltre a disporre della strumentazione che permette di generare e controllare la composizione della mi- scela, è necessario assicurarsi anche che non si verifichino scambi tra l’ambiente sigil- lato e quello esterno. Di fondamentale importanza risulta, quindi, la scelta della pelli- cola da usare per il confezionamento che necessariamente dovrà essere impermeabile all’ossigeno e al vapore acqueo per consentire il mantenimento delle condizioni presta- bilite.

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Generalmente si preferiscono film multistrato costituiti da uno strato esterno di polie- stere o polipropilene ad alto punto di rammollimento, uno strato intermedio di allumi- nio, ceramica, etilvinilalcool (che costituisce la vera e propria barriera) e uno strato in- terno di polietilene a bassa densità con basso punto di rammollimento. Eseguito l’imballaggio, la pellicola va sigillata mediante pinze termosaldanti.

I trattamenti possono essere svolti in situ inserendo i materiali nelle camere di fumiga- zione generalmente costituite da contenitori di acciaio o da involucri - bubble gonfiabili. I primi, a tenuta perfetta, risultano molto costosi e non trasportabili; le seconde, invece, pur avendo una tenuta minore, sono di semplice impiego essendo facilmente smonta- bili, pieghevoli e quindi trasportabili.

Si cita a titolo d’esempio il sistema VELOXY®, un brevetto italiano, basato sull’utilizzo di azoto a bassa pressione e ad umidità controllata. L’azoto viene preparato sul posto sfruttando la differente viscosità dei gas che compongono l’atmosfera e inducendo la lo- ro “filtrazione” attraverso capillari che fungono da setacci molecolari. In tal modo gli oggetti, chiusi in involucri di polietilene/poliestere a una concentrazione di ossigeno <0,2%, possono essere trattati direttamente nell’ambiente di conservazione. Per l’applicazione di tale metodo non occorrono patentini o autorizzazioni particolari in quantoil gas utilizzato non è compresso (Gialdi, 2014). Un limite di questa tecnologia potrebbe essere costituito non solo dai costi elevati e dai tempi lunghi di trattamento ma anche da inconvenienti tecnici come la possibile perforazione degli imballaggi (nel caso il trattamento viene inficiato) e la difficoltà nel mantenere bassa la concentrazione di ossigeno per la continua emissione di questo gas da parte dei beni stessi.