costituzionalmente al quale non corrisponde un’adeguata disciplina.
5 Sentenza della Corte europea in relazione ai “fatti genovesi”.
5.1 Sentenza della Corte europea in relazione ai “fatt
genovesi”: l’esito della Corte.
Prendendo atto delle vie giurisdizionali interne, la Corte di Strasburgo ha sostenuto che i maltrattamenti subiti dal ricorrente durante l’irruzione della polizia nella scuola Diaz-Pertini debbano essere qualificati come “tortura” nel senso dell’articolo 3 della Convenzione. Infatti, nella presente causa, la Corte non può ignorare che, secondo la Corte di cassazione, le violenze nella scuola in questione, di cui è stato vittima il ricorrente, erano state esercitate con finalità “punitiva,
vendicativa e diretta all’umiliazione ed alla sofferenza fisica e mentale delle vittime” e che le stesse potevano definirsi «tortura» ai sensi
dell’articolo 1 della Convenzione contro la tortura e le altre pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti e inoltre rileva l’assenza di
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un qualsiasi nesso di causalità tra la condotta del ricorrente e l’uso della forza da parte degli agenti di polizia.
In relazione a quest’ultima affermazione della Corte è necessario specificare come “ la sentenza di appello espone che non è stata
fornita alcuna prova circa i presunti atti di resistenza da parte di alcuni degli occupanti, prima o dopo l’irruzione della polizia”385.
La Corte ha inoltre sostenuto, ai fini dell’attuazione del divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, che “quando un
individuo sostiene in maniera difendibile di avere subito, da parte della polizia o di altri servizi analoghi dello Stato, un trattamento contrario all’articolo 3, tale disposizione, combinata con il dovere generale imposto allo Stato dall’articolo 1 della Convenzione di «riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà definiti (...) [nella] Convenzione», richiede, per implicazione, che vi sia un’inchiesta ufficiale effettiva”. L’inchiesta appena menzionata,
conformemente alla giurisprudenza della Corte, deve poter portare all’identificazione e alla punizione dei responsabili.
In relazione, invece, alla sanzione penale per i responsabili di maltrattamenti, la Corte rammenta, inoltre, che non ha il compito di pronunciarsi sul grado di colpevolezza della persona in causa386 o di
determinare la pena da infliggere, in quanto queste materie rientrano nella competenza esclusiva dei tribunali penali interni. Tuttavia, in virtù dell’articolo 19 della Convenzione, e conformemente al principio che “pretende” che la Convenzione garantisca dei diritti non teorici o illusori ma concreti ed effettivi, la Corte deve assicurarsi che lo Stato adempia come si deve all’obbligo di tutelare i diritti delle persone che rientrano nella sua giurisdizione. Di conseguenza, la Corte “deve
mantenere la sua funzione di controllo e intervenire nel caso esista una evidente sproporzione tra la gravità dell’atto e la sanzione inflitta, altrimenti, il dovere che hanno gli Stati di condurre un’inchiesta effettiva perderebbe molto del suo senso387” .
La Corte ha anche dichiarato che, in materia di tortura o di maltrattamenti inflitti da parte di agenti dello Stato, l’azione penale non dovrebbe estinguersi per effetto della prescrizione, così come l’amnistia e la grazia non dovrebbero essere tollerate in questo
385 Paragrafo 71 della medesima sentenza.
386 Sentenza Natchova e altri c. Bulgaria 26 febbraio 2004. 387Gäfgen c. Germania, sentenza del 30 giugno 2008.
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ambito in quanto l’applicazione della prescrizione dovrebbe essere compatibile con le esigenze della Convenzione. Lo stesso principio si ha nel caso della sospensione condizionale dell’esecuzione della pena e della liberazione anticipata.
È necessario, inoltre, sottolineare come la condizione preliminare di un’inchiesta effettiva nella pratica sia costituita da delle disposizioni di diritto penale, promulgate dallo Stato, che puniscono le pratiche contrarie all’articolo in questione, in quanto l’assenza di una legislazione penale sufficiente per prevenire e punire effettivamente gli autori di atti contrari all’articolo 3 può impedire alle autorità di perseguire le offese a questo valore fondamentale delle società democratiche, di valutarne la gravità, di pronunciare pene adeguate e di escludere l’applicazione di qualsiasi misura che possa alleggerire eccessivamente la sanzione, a scapito del suo effetto preventivo e dissuasivo.
Conseguentemente, sempre all’interno di tale sentenza, la Corte considera la legislazione penale italiana, applicata al caso di specie388, inadeguata rispetto all'esigenza di sanzionare gli atti di tortura in questione e al tempo stesso mancante dell'effetto dissuasivo necessario per prevenire altre violazioni simili dell'articolo 3 in futuro. Tenuto conto di tali constatazioni, la stessa ritiene che le varie misure adottate dalle autorità interne non abbiano pienamente soddisfatto la condizione di un’inchiesta approfondita ed effettiva, come esige la sua giurisprudenza.
La circostanza appena menzionata è inoltre determinante ai fini dell'eccezione sollevata dal Governo relativamente alla perdita della qualità di vittima del ricorrente in quanto, all’interno della sentenza in esame, i giudici hanno già riconosciuto la violazione in causa nell'ambito del procedimento penale ed hanno accordato una riparazione all'interessato.
In conclusione, in relazione alla posizione assunta dal Governo italiano, è di fondamentale importanza indicare come la Corte, in più occasioni, abbia dichiarato che il riconoscimento di un indennizzo alla vittima non sia sufficiente a porre rimedio alla violazione dell’articolo 3. In effetti, s’indica nella sentenza che “se le autorità potevano
limitarsi a reagire in caso di maltrattamento deliberato inflitto da agenti dello Stato accordando un semplice indennizzo, senza
388 Paragrafi 88-102 della sentenza.
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adoperarsi nel perseguire e punire i responsabili, gli agenti dello Stato potrebbero in alcuni casi violare i diritti delle persone sottoposte al loro controllo praticamente in totale impunità, e il divieto della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti sarebbe privo di effetto utile a scapito della sua fondamentale importanza”. Per tale ragione, la
possibilità per il ricorrente di chiedere e di ottenere un indennizzo per il danno che il maltrattamento gli ha causato oppure il versamento, come nel presente caso, da parte delle autorità di una certa somma a titolo di provvisionale costituiscono soltanto una parte delle misure necessarie.
In conclusione, dunque, in caso di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione, l’obbligo di riconoscere una riparazione a livello interno si aggiunge all’obbligo di condurre una inchiesta approfondita ed effettiva volta ad identificare e a sanzionare i responsabili e non si sostituisce ad essa, le vie di ricorso esclusivamente risarcitorie, infatti, non possono essere considerate effettive in base a tale disposizione. La Corte conclude la sua pronuncia affermando sia che lo “Stato
convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44, II comma della Convenzione quarantacinquemila euro, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale”sia che
nel nostro Paese è necessaria una fattispecie ad hoc del reato di tortura per sanzionare le condotte che si possono identificare nel reato appena menzionato.
A sottolineare ulteriormente l’insufficienza del solo risarcimento come risposta italiana ai fatti genovesi, riporto un commento rilasciato dallo stesso ricorrente in merito “I soldi non risarciscono il
male che è stato fatto. E' vero, è un primo passo quello di oggi, ma mi sentirò davvero risarcito solo quando lo Stato introdurrà il reato di tortura. Oggi ho 75 anni, ma non cancellerò mai l'orrore vissuto. Ho visto il massacro in diretta, ho visto l'orrore con il volto dello Stato. Dopo quindici anni, le scuse migliori sono le risposte reali, non i soldi. Il reato di tortura deve essere introdotto nel nostro ordinamento”389. 389 Riv. LA REPUBBLICA, G8 Genova, Corte Strasburgo condanna l’Italia: “alla Diaz fu tortura, ma colpevoli impuniti”, 4 luglio 2015.
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5.2 Sentenza della Corte europea in relazione ai “fatti
genovesi”: i terzi intervenienti.
All’interno della sentenza Cestaro390, una posizione di rilevante
importanza è stata assunta dai terzi intervenienti che richiamano le conclusioni della sentenza di appello391, secondo le quali l’irruzione nella scuola Diaz-Pertini sarebbe stata finalizzata non tanto a cercare elementi di prova e a individuare gli autori dei saccheggi del giorno 21 luglio 2001, quanto piuttosto a procedere ad arresti numerosi e indiscriminati.
Gli stessi, inoltre “appoggiano anche le affermazioni della Corte di
Cassazione secondo le quali le violenze perpetrate dalla polizia nella scuola in questione sarebbero state di una gravità assoluta in quanto commesse in maniera generalizzata in tutti i locali della scuola e contro persone evidentemente disarmate, addormentate o sedute con le mani in alto”392.
In relazione al caso di specie i terzi intervenienti sottolineano l’inadeguatezza del nostro sistema affermando che “da quasi venti
anni, il Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, la CAT e il CPT continuano a stigmatizzare, nei loro rispettivi ambiti di competenza, l’assenza del reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano, e a raccomandare alle autorità l’introduzione di una disposizione penale ad hoc, che preveda pene che siano non solo proporzionate alla gravità di tale crimine, ma anche effettivamente eseguite”393. Essi, infatti, sottolineano come il Governo italiano, nonostante le numerose raccomandazioni sopracitate, non abbia ancora posto in essere una fattispecie penale ad hoc per il reato in questione e che si sia semplicemente limitato a ricondurre la sanzione di tale delitto alle previsioni di altre disposizioni presenti nel codice penale non offrendo così una tutela e una repressione adeguata in relazione al divieto di tortura.
In conclusione quindi, i terzi intervenienti contestano, in particolare, la tesi secondo la quale i vari reati già presenti nel c.p. permetterebbero di sanzionare adeguatamente ed effettivamente gli 390Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 7 aprile del 2015. Cestaro c. Italia. 391 Paragrafi 64 e 68 della sentenza Cestaro. 392 Paragrafi 77 e 79 della sentenza Cestaro. 393 Paragrafi 112-116, 118, 120 sentenza Cestaro.
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atti di tortura, di qualsiasi natura essi siano e, gli stessi, obiettano a tale proposito che le pene massime previste dal c.p. per i reati in questione sono generalmente di lieve entità e che, per di più, i giudici penali tendono a infliggere il minimo della sanzione prevista dalla legge. Per i terzi intervenienti, tale scelta italiana è considerata come una frammentazione della qualificazione degli atti di tortura per uno o più reati di “diritto comune” e la lieve entità, a loro parere, delle pene previste per ciascuno di tali reati, comporterebbe inoltre l’applicazione di termini di prescrizione troppo brevi rispetto al tempo necessario per condurre delle indagini approfondite e giungere a una condanna definitiva all’esito del procedimento penale. In aggiunta, essi ritengono che i responsabili di atti che rispetto al diritto internazionale sarebbero definiti “tortura” possono beneficiare, in assenza di un reato corrispondente nel diritto interno, e dunque di condanna a questo titolo, di un’amnistia, un indulto, una sospensione condizionale e varie altre misure che, secondo loro, “riducono
l’effettività della sanzione penale e permetterebbe ai carnefici di sentirsi liberi di agire con la convinzione di godere di una impunità quasi assoluta”.
Attraverso quindi tale intervento si conclude ancora una volta come il nostro Paese violi gli obblighi che deriverebbero non solo dalla Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, ma anche dall’articolo 3 della Convenzione europea.
6 Il tentativo di “conciliazione amichevole” del
Governo italiano per evitare un’ulteriore
condanna da parte della Corte europea.
Dato che a Strasburgo pendono i ricorsi di trentuno manifestanti che furono sottoposti - come hanno riconosciuto anche le sentenze italiane - a «trattamenti degradanti e inumani» a Bolzaneto e della quarantina di no global selvaggiamente picchiati nella scuola Diaz, in un articolo del Corriere della Sera del gennaio 2016394 si riporta come
394 Riv. CORRIERE DELLA SERA, Erika Dellacasa, Offerta del governo per
Bolzaneto «Alle vittime 45 mila euro» G8, lettera alla Corte europea per tentare la conciliazione. Molti non ci stanno. A Strasburgo pendono i ricorsi di 31 persone e di un’altra quarantina per i fatti della Diaz, 10 gennaio 2016.
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quindici anni dopo il G8 di Genova il governo italiano, attraverso una lettera del ministero degli Esteri inviata alla Corte europea per i diritti dell’uomo, abbia offerto un risarcimento alle vittime delle violenze nella caserma di Bolzaneto.
Il ministero degli Esteri, infatti, a nome del governo italiano, ha inviato una lettera alla Corte europea per i diritti dell'uomo, proponendo, in base art. 39 della Convezione europea sui diritti dell'uomo395, una 'conciliazione amichevole' sotto forma di risarcimento per danni
morali alle vittime di Bolzaneto, che hanno fatto ricorso alla Corte stessa per le violenze commesse all'interno della caserma di polizia nei giorni del G8 del 2001. Nella lettera alla Corte europea si sottolinea di non voler sminuire “la serietà e l’importanza degli episodi che si sono verificati nella caserma di Bolzaneto” e si riconosce che i “gravi e deplorevoli crimini commessi dagli agenti di polizia costituiscono dei crimini» a cui «lo Stato italiano ha reagito nel modo adeguato”. Nonostante ciò, una buona parte dei
ricorrenti ha già manifestato l’intenzione di respingere l’offerta ritenendo che, come ha sostenuto l’avvocato Dario Rossi, “lo Stato
non ha mai mostrato segnali di ravvedimento per i pestaggi”, non ha
“mai chiesto scusa” e avrebbe il solo obiettivo di evitare altre condanne396.
Appare quindi evidente come attraverso tale “conciliazione
amichevole”, che secondo alcuni dei ragazzi massacrati a Bolzaneto
costituisce una “proposta indecente”397, il Governo italiano voglia sia
395 Articolo 39 Conciliazione amichevole: 1. In ogni momento della
procedura, la Corte si mette a disposizione degli interessati al fine di pervenire a una conciliazione amichevole della controversia che si fondi sul rispetto dei diritti dell’uomo quali sono riconosciuti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. 2. La procedura descritta al paragrafo 1 non è pubblica. 3. In caso di composizione amichevole, la Corte cancella il ricorso dal ruolo mediante una decisione che si limita a una breve esposizione dei fatti e della soluzione adottata. 4. Tale decisione è trasmessa al Comitato dei Ministri che sorveglia l’esecuzione dei termini della composizione amichevole quali figurano nella decisione.
396 La stessa posizione è stata presa dall’avvocato Barbara Randazzo, che assiste due persone, l’ha definita «una proposta indecente» e dall’avvocato Riccardo Passeggi assieme ai professori Valerio Onida (ex presidente della Corte costituzionale) e Barbara Randazzo.
397 MARCO PREVE. Una lettera del Ministro degli Esteri alla Corte europea
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chiudere il primo ricorso collettivo398 con 45 mila euro per manifestante che evitare un’altra sentenza di condanna europea per la tortura.
In relazione alla somma di risarcimento indicata è necessario ricordare come si tratti della stessa cifra che l’Italia è stata condannata a pagare nell’aprile scorso da Strasburgo ad Armando Cestaro, uno dei manifestanti picchiati durante l’irruzione della polizia alla Diaz, definita “una macelleria messicana” nella testimonianza dell’allora vicequestore Michelangelo Fournier.
Tale iniziativa italiana è stata definita dal p.m. Andrea Ranieri Miniati, che ha sostenuto con Patrizia Petruziello l’accusa nei processi su Bolzaneto, come un “segnale di maggior comprensione” su quanto avvenuto nel 2001 e, lo stesso p.m., in relazione al problema della mancanza del reato di tortura ha affermato come loro abbiano “cercato di compensare il vuoto appellandosi alla Convenzione
europea sui diritti dell’uomo e introducendo il concetto di abuso d’ufficio relativo ai trattamenti degradanti e inumani cui furono sottoposti gli arrestati e, non potendo applicare il reato specifico, molte delle accuse contro le forze dell’ordine sono cadute in prescrizione prima del termine dei processi”. Fu proprio a causa della
problematica relativa alla mancanza di sanzioni penali e disciplinari contro i responsabili delle violenze che i no global si sono rivolti alla Corte di Strasburgo; del resto l’articolo 34 della CEDU indica che “La
Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, (..) che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto”. commesse all’interno della caserma di polizia nel 2001: le reazioni in riv. La Repubblica. Genova.it del 9 gennaio 2016. 398Il primo dei due ricorsi presentati a nome di 31 persone contro il Governo italiano per la mancata punizione dei responsabili delle violenze a Bolzaneto.
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CAPITOLO 6.
Il sistema penitenziario italiano, il problema del
sovraffollamento e i diritti del detenuto in
relazione all’articolo 3 della CEDU
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SOMMARIO: 1. La situazione carceraria in Italia e le regole minime O.N.U. –
1.1 Situazione carceraria in Italia e le regole di detenzione per l’Europa. – 2. Il conflitto tra trattamento penitenziario e diritti fondamentali. La sua origine e la sua evoluzione. – 2.1 Il conflitto tra trattamento penitenziario e diritti fondamentali. Il riconoscimento ai detenuti di diritti tutelabili in sede giudiziaria. – 3. La responsabilità dello Stato e dei suoi organi per violazione delle norme poste a tutela dei detenuti. – 4. L’attuale realtà carceraria italiana e europea. – 4.1 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: la violenza fisica. – 4.2 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: i regimi speciale di detenzione. – 4.3 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: le perquisizioni personali. – 4.4 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: le limitazioni alla socialità del detenuto. – 4.5 L’attuale realtà carceraria italiana e europea. Le violazioni dei diritti fondamentali: la durata del trattamento penitenziario, l’ergastolo e la detenzione di soggetti in età avanzata o in precarie condizioni di salute. – 5. Le condizioni di fatto delle detenzione. – 5.1 Le condizioni di fatto delle detenzione: due casi di specie. – 6. La Magistratura di Sorveglianza come garante dei diritti dei detenuti e la sua composizione. – 6.1 Il Magistrato di Sorveglianza e il controverso carattere di vincolatività delle sue decisioni. – 6.2 Il Magistrato di Sorveglianza, il contenuto delle disposizioni da questo impartite e la possibilità di disporre un risarcimento a favore dei detenuti per le lesioni subite. – 7. La necessità di una protezione effettiva ed adeguata dei diritti dei detenuti e l’intervento della Corte EDU. – 8. Le decisioni del legislatore italiano in relazione alla problematica del sovraffollamento: deflazione processuale. – 8.1 Le decisioni del legislatore italiano in relazione alla problematica del sovraffollamento: “ripensamenti” sulla custodia cautelare. – 9. Lo “straniero” e il carcere in Italia. Le iniziative legislative. – 9.1 Lo “straniero” e il carcere in Italia. La detenzione amministrativa nei Centri di identificazione ed espulsione. – 9.2 Lo “straniero” e il carcere in Italia. La detenzione amministrativa nei Centri di identificazione ed espulsione: la legittimità costituzionale. – 9.3 Lo “straniero” e il carcere in Italia. La detenzione amministrativa nei Centri di identificazione ed espulsione: la legittimità convenzionale.