3 La previsione in negativo dell’articolo e gli obblighi positivi a carico degli Stati.
3.3 Obblighi positivi a carico degli Stati: obbligo procedurale di inchiesta e le sue caratteristiche.
L’individuazione, da parte della Corte europea, dell’obbligo procedurale a carico degli Stati è conforme con l’enunciazione del medesimo obbligo posto in essere da parte della Convenzione di New
119 Sentenza del 18 gennaio 1978, affare Irlanda c. Regno Unito.
120 Corte, Tomasi cit. par. 108-111; Corte, 28 luglio 1999 Selmouni c. Francia. 121 Fermo di polizia, custodia cautelare, esecuzione di una pena detentiva.
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York122 ai sensi del suo articolo 12 in cui dispone che: “Ogni Stato
parte provvede affinché le autorità competenti procedano immediatamente ad un’inchiesta imparziale ogniqualvolta vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione”.
Attraverso quest’ultimo enunciato, ratificato da 139 Stati123, si evidenzia il sentimento comune e diffuso nella Comunità Internazionale di procedere ad un’inchiesta volta ad accertare se la violazione denunciata sia stata effettivamente commessa.
L’obbligo degli Stati Membri, di svolgere un’indagine ufficiale finalizzata ad accertare le cause e ad individuare i presunti responsabili della lesione di un diritto riconosciuto dalla Convenzione, fu affermato per la prima volta dalla Corte nella sentenza relativa all’affare McCann124 con riferimento al decesso di una persona causato da un agente dello Stato.
In relazione al caso sopracitato, la Corte ha ritenuto che l’assenza di un’indagine ufficiale desse luogo ad una “violation procédurale” dell’articolo 2125 della CEDU che tutela il diritto alla vita.
La Corte ribadì la necessità di dar luogo ad un’inchiesta ufficiale anche nel caso Aksoy126, in cui la vittima era stata sottoposta ad atti di
tortura ad opera di ufficiali di polizia nel corso degli interrogatori e nel caso Assenov127 in cui il soggetto sosteneva si essere stato sottoposto
ad atti di tortura imputabili ad un’agente dello Stato. In relazione all’ultimo caso appena citato, la Corte aveva giustificato la necessità
122 Convenzione di New York 10 dicembre 1984 contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.
123 Numero di Stati che hanno ratificato la Convenzione fino al 24 novembre 2004. Dato fornito dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.
124 Sentenza del 27 settembre 1995, caso McCann e altri c. Regno Unito. 125 Articolo 2 CEDU: 1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla
legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena. 2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; (b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; (c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione. 126Affare Aksoy c. Turchia 26 novembre 1996.
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dell’obbligo in esame sostenendo che “S’il n’en allait pas ainsi,
nonobstant son importance fondamentale, l’interdiction légale générale de la torture et des peines aux traitements inhumains ou dégradants serait inefficace en pratique et il serait possible dans certains cas à des agents de l’Etat se fouler aux pieds, en jouissant d’une quasi-impunité, les droits de ceux soumis à leur contrôle”128. Dalle sentenze appena citate e da altre, la Corte desume, inoltre, i caratteri che devono contraddistinguere l’inchiesta effettiva che può avere inizio a seguito di una denuncia da parte della persona lesa o ex officio. Questa deve essere condotta da un’autorità indipendente ovvero che non sia influenzabile dall’individuo accusato dell’atto di tortura o di maltrattamenti per subordinazione gerarchica o istituzionale o di fatto; deve essere svolta in modo diligente, completo e approfondito con il fine di individuare il presunto autore (o i presunti autori) del reato curando di raccogliere le prove e di verificare la concordanza di testimonianze, dichiarazioni e altri elementi utili alla ricostruzione degli avvenimenti.
Di fondamentale importanza, inoltre, è il ruolo che la Corte attribuisce allo Stato il quale è tenuto ad esercitate un controllo pubblico sullo svolgimento delle indagini in modo da fugare ogni dubbio circa la sua complicità o tolleranza per gli atti di tortura o maltrattamenti e deve rendere pubblico il risultato cui sono pervenute le autorità competenti al termine delle indagini129.
La Corte ha inoltre evidenziato la rilevanza del ruolo assunto dal procuratore nell’intero sistema giudiziario nel caso in cui, nonostante egli disponga di tutti gli strumenti giuridici per lo svolgimento dell’inchiesta, il suo atteggiamento si riveli deferente verso i membri delle forze di polizia o di sicurezza nel reperire le prove relative a presunti casi di tortura loro imputabili130.
128 Sentenza 28 ottobre 1998 affare Assenov e altri c. Bulgaria par. 102. 129 SCIACOVELLI, Divieto di tortura e obbligo di inchiesta sulle sue violazioni
secondo la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e il diritto internazionale generale, pp. 273- 275.
130 Es. sentenza del 18 dicembre 1996, affare Aksoy c. Turchia par. 95 o la sentenza del 18 ottobre 2001, affare Indelicato c. Italia par. 21 e 37. In quest’ultimo caso, il procuratore della Repubblica di Livorno aveva ridimensionato l’allarme contenuto nel rapporto redatto dall’Amministrazione penitenziaria della Toscana e la preoccupazione espressa dal giudice di sorveglianza del Tribunale di Livorno per i maltrattamenti denunciati da alcuni detenuti nel carcere di Pianosa.
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In tal caso, la Corte sostiene che la violazione del volet procedurale è ascrivibile al procuratore, il cui comportamento superficiale è suscettibile di comportare gravi deficienze nell’esito dell’inchiesta preliminare, pregiudicando, al tempo stesso, l’esito del ricorso civile o amministrativo finalizzato alla riparazione del danno131. La Corte ha inoltre formulato un apposito elenco dei requisiti che deve avere un’inchiesta penale svolta da un procuratore sostenendo che tale organo è tenuto sia ad interrogare i presunti autori e la vittima che a cercare i testimoni132; deve inoltre accertarsi che gli esami medici richiesti siano diretti a verificare che la vittima abbia realmente subito atti di tortura o di maltrattamenti e siano svolti da personale medico competente e indipendente e in assenza di persone appartenenti alla polizia133. Il procuratore, infine, se le circostanze lo richiedano, deve recarsi sul luogo del reato per confrontarne lo stato con la versione fornita dalle parti ed è inoltre tenuto a controllare la veridicità dei documenti relativi alla detenzione di persone134.
Un’ulteriore specificazione dell’obbligo procedurale connesso all’articolo 3 della Convenzione ha riguardato la durata dell’inchiesta svolta nei confronti dei presunti autori del reato in esame. A causa dell’assenza normativa di procedere ad un’inchiesta in caso di
131 Nella sentenza del 13 giugno 2002, affare Anguelova c. Bulgaria par. 162 la Corte, pur prendendo atto dell’esistenza nell’ordinamento statale della Bulgaria di un ricorso contro gli atti di tortura e i maltrattamenti, ha condannato quest’ultimo Stato per la negligenza imputabile alle autorità statali nello svolgimento dell’inchiesta penale.
132 Nella sentenza del 12 ottobre 2004, affare Bursuc c. Romania par. 85, la Corte ha constatato che la vittima degli atti di tortura non era mai stata interrogata dalle autorità giudiziarie le quali, peraltro, non avevano formulato alcun capo d’accusa nei confronti dei presunti responsabili, nonostante l’instaurazione di un’azione penale a loro carico e sebbene nel referto medico era stato accertato l nesso di casualità fra le lesioni trovate sul corpo della vittima e gli atti di tortura da quest’ultimi denunciati.
133 Sentenza del 3 giugno 2004, affare Bati e altri c. Turchia par. 143, la Corte ha affermato che il mancato svolgimento di esami medici complementari, richiesti dallo stesso personale medico e rivolti all’accertamento degli atti di tortura e maltrattamenti, costituisce non solo una deficienza nello svolgimento dell’inchiesta ma, in particolari circostanze, anche un trattamento inumano e degradante.
134 Sentenza 27 settembre 1997, affare Aydin c. Turchia par. 92 e 106, la Corte ha ritenuto singolare lo scarso numero d’interrogatori risultante dal registro custodito nella gendarmeria in cui sono stati commessi atti di tortura da parte di agenti delle forze di sicurezza.
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denuncia di atti di tortura o di maltrattamenti, all’interno della Convenzione, non si ha l’indicazione dei termini in cui questa debba esser svolta. Per colmare il vuoto normativo appena citato, la Corte ha, in un primo momento, fatto riferimento all’articolo 6 paragrafo 1135 della Convenzione sostenendo, nell’affare Tomasi, che la durata delle indagini e del processo penale a carico dei presunti responsabili fosse irragionevole.
In un secondo momento, invece, di fronte al moltiplicarsi delle doglianze relative all’eccessiva durata delle inchieste e dei processi per tortura e maltrattamenti, la Corte nelle pronunce relative agli affari Labita136 e Indelicato137, ha precisato che la celerità nello
svolgimento delle attività processuali menzionate costituisce un obbligo autonomo inerente alla protezione procedurale accordata dall’articolo 3 CEDU.
Si ha, inoltre, una violazione procedurale per eccessiva durata delle indagini e/o del processo138 sia quando il reato cade in prescrizione nel corso del processo che quando, pur evitandosi la prescrizione, il processo sia svolto con negligente lentezza imputabile alle autorità giudiziarie.
In conclusione quindi, secondo la Corte, la celerità nello svolgimento di un’inchiesta ufficiale è implicita nella stessa nozione di inchiesta ed è essenziale per preservare la fiducia del pubblico nell’operato delle istituzioni dello Stato al fine di rispettare il principio di legalità e di
135 Art 6 paragrafo 1 CEDU: 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.
136 Sentenza 6 aprile 2000, affare Labita c. Italia. 137 Sentenza 18 gennaio 2001, affare Indelicato c. Italia.
138 La Corte nel caso Bati e altri c. Turchia del 3 giugno 2004 ha affermato che il reato che cade in prescrizione durante il processo è espressione dell’inefficacia dello stesso ricorso penale.
65 non far presumere complicità o tolleranza statale verso i responsabili dei reati in esame. 3.4 Obblighi positivi a carico degli Stati: l’assenza di un ricorso effettivo e la natura della sua autorità competente.
L’assenza, nell’ordinamento giuridico dello Stato convenuto, di un ricorso effettivo a disposizione di chi subisca atti di tortura e maltrattamenti è stata spesso oggetto di questioni sottoposte all’attenzione della Corte. In tal ambito, l’articolo 13 della Convenzione, prevedendo espressamente l’esistenza di tale istanza, sancisce che ogni persona sottoposta alla giurisdizione degli Stati convenuti ha diritto di disporre di un ricorso effettivo in caso di violazione di un diritto sancito nella CEDU139.
La Corte ha affermato che il diritto riconosciuto dall’articolo 13 della Convenzione, riguarda anche l’articolo 3 in quanto “quant à la
violation alléguée, ledit recours” deve essere “à la fois relatif aux violations incriminées, disponible éd adéquat”140.
La Corte ha, inoltre, specificato le caratteristiche di tale ricorso141, in
relazione alla violazione dell’articolo 3, in quanto esso deve essere idoneo a perseguire l’individuazione e la punizione dei responsabili142; deve essere accessibile e sufficiente ad ottenere la riparazione della violazione denunciata; in caso di accertamento della violazione, la riparazione deve anche consistere nel versamento di un’indennità alla vittima; il suo impiego non deve essere ostacolato in modo ingiustificato da atti o da omissioni dello Stato convenuto143; ai fini di
un ricorso effettivo le autorità statali devono svolgere indagini effettive e approfondite e infine la vittima deve essere informata dell’esito delle indagini in parola. Un’ulteriore argomento su cui la Corte si è ampliamente soffermata, riguarda la natura dell’autorità statale competente a ricevere il ricorso 139 Sul richiamo dell’articolo 13 della Convenzione in relazione al divieto di tortura e di maltrattamenti v. sentenza del 26 novembre 1996, affare Aksoy c. Turchia e sentenza del 3 giugno 2004 affare Bati e altri c. Turchia. 140 Sentenza del 26 novembre 1996 affare Aksoy c. Turchia par. 98. 141 SCIACOVELLI, Divieto di tortura e obbligo di inchiesta sulle sue violazioni
secondo la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e il diritto internazionale generale, pp. 280-282.
142 Sentenza del 27 luglio 2004, affare Slimani c. Francia par. 32. 143Sentenza del 26 novembre 1996 affare Aksoy c. Turchia par. 95.
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di cui non ne viene fatta menzione all’interno dell’articolo 13 della Convenzione.
Nell’esaminare i casi Aksoy144, Aydin145, Kurt146 e Mehmet Emin Yuksel147, la Corte ha evidenziato una grave lacuna dell’ordinamento
della Turchia, a seguito dell’adozione del decreto numero 285 del 10 luglio 1987, in materia di lotta al terrorismo, applicato nella regione del sud est turco, che derogava un profilo del volet procedurale dell’articolo 3 CEDU consistente nel diritto della vittima di atti di tortura ad un’inchiesta imparziale e indipendente nei confronti dei presunti responsabili148.
Nonostante il codice turco reprima il reato di tortura ai sensi degli articoli 243-245 e l’articolo 153 del codice di procedura penale turco attribuisca al procuratore la competenza di aprire un’inchiesta preliminare sugli illeciti penali dei quali è informato, il decreto numero 285 attribuiva la competenza di decidere in merito all’iniziativa penale contro membri dell’amministrazione o delle forze di sicurezza ai Consigli amministrativi.
Secondo la Corte, l’attribuzione ai Consigli amministrativi dell’iniziativa in esame non rispettava i criteri di imparzialità e indipendenza richiesti implicitamente dagli articoli 3 e 13 della CEDU, in quanto essi sono organi subordinati al prefetto e a quest’ultimo spetta la direzione delle operazioni compiute dalle forze di sicurezza nella Turchia, le quali sono spesso sospettate degli atti di tortura denunciati.
In conclusione quindi, la valutazione della liceità di tali operazioni affidata ai Consigli amministrativi locali non presentava alcuna garanzia di imparzialità e indipendenza, specie nel caso in cui le indagini sugli illeciti compiuti da tali forze venivano svolte da gendarmi appartenenti alle medesime unità sospette149. 144 V. nota 53. 145 Sentenza del 27 settembre 1997, affare Aydin c. Turchia par.102. 146 Sentenza del 12 giugno 2003, affare Kurt c. Turchia par.93. 147 Sentenza del 20 luglio 2004, affare Mehmet Emin Yuksel c. Turchia par. 93. 148 SCIACOVELLI, Divieto di tortura e obbligo di inchiesta sulle sue violazioni
secondo la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e il diritto internazionale generale, pp. 282-284.
149 Sentenza del 14 febbraio 2002, affare Orak c. Turchia par. 29-48. Il problema, come dimostra la sentenza del 13 giugno 2002 affare Anguelova c. Bulgaria par. 138, riguarda anche altri Stati.
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Un’ulteriore analoga situazione si è verificata, in Romania, nei casi Barbu Anghelescu e Bursuc150 in quanto la legge n. 26 del 12 maggio 1994, all’epoca vigente, prevedeva che i reati commessi dagli agenti della polizia, i quali appartenevano all’apparato militare, fossero sottoposti alla giurisdizione di procuratori militari, anch’essi subordinati alla gerarchia militare. Secondo la Corte, anche in tal caso, non erano rispettati i principi di indipendenza e imparzialità dell’autorità statale competente a svolgere l’inchiesta e a condurre il processo penale degli atti di tortura.
Di fondamentale importanza è, infine, indicare come il carattere dell’effettività del ricorso interno fu escluso riguardo ai ricorsi amministrativi che, nonostante dessero luogo ad una riparazione pecuniaria del danno cagionato da un funzionario dello Stato, non permettevano l’individuazione dei responsabili del reato di tortura o di maltrattamenti. La situazione appena descritta interessa i casi Aydin e Krastanov151.