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L’articolo 81 del Trattato CE Il divieto delle intese restrittive della concorrenza e l’autorizzazione in deroga.

CONCORRENZA E DEL MERCATO: LE FATTISPECIE RILEVANT

4.5 L’articolo 81 del Trattato CE Il divieto delle intese restrittive della concorrenza e l’autorizzazione in deroga.

L’articolo 81 proibisce le intese restrittive della concorrenza, ove per intese si intendono gli accordi tra imprese, le decisioni e le pratiche concordate che possono pregiudicare il commercio tra gli Stati membri o impedire, restringere o falsare la concorrenza all’interno del mercato unico.

E’ da notare innanzitutto come questa norma risenta, come già accennato, e d’altra parte inevitabilmente, dell’obiettivo primario che si ponevano i fondatori della Comunità: superare le barriere doganali e creare un unico mercato che favorisse l’espansione economica degli Stati membri senza che si generassero nuovi conflitti tra nazioni.

Per quanto concerne il termine “accordo”, esso si riferisce principalmente (ancorché non esclusivamente) alla presenza di un contratto giuridicamente vincolante fra le parti, ossia a manifestazioni di volontà che pongono in essere obbligazioni giuridiche. Affinché vi sia un accordo è sufficiente che le imprese in questione abbiano espresso la volontà di comportarsi in un determinato modo, limitando reciprocamente la propria libertà di azione sul mercato, sia nel caso di un vero e proprio vincolo contrattuale sia nel caso in cui tra le parti vi sia una costrizione od un qualche vincolo economico o morale circa i rispettivi comportamenti da tenere sul mercato. Tra i vincoli di natura economica, particolare rilevanza assumono i legami tra imprese atti a portare, anche indipendentemente dalla volontà delle parti, al coordinamento dei loro comportamenti; per ciò che riguarda invece gli accordi assunti per il tramite di un impegno moralmente vincolante, l'esempio che viene proposto più di frequente è quello del gentlemen's

agreement, in cui l'esistenza di un accordo può in tal caso dedursi da circostanze di

304Corte di Giustizia, sentenza del 17 febbraio 1993, causa C-159-61/94, Poucet e Pistre. 305Corte di Giustizia, sentenza del 4 maggio 1988, Bodson.

fatto e può consistere anche nella persistenza di relazioni e legami commerciali fra le parti307.

Da un punto di vista sostanziale questa categoria di intese non sempre è facilmente distinguibile dai comportamenti posti in essere da un’impresa nei confronti di altre, cui l’art. 81 non è applicabile ricadendo invece nel potenziale campo di applicazione del successivo art. 82. Vi sono infatti casi in cui un’ impresa “impone” alle altre una determinata condotta in forza della dipendenza economica delle seconde verso la prima, come spesso accade nei rapporti tra produttori e distributori in cui i primi vincolano i secondi a determinate strategie di prezzo (tipicamente vietando loro di praticare sconti) senza che vi sia la volontà dei rivenditori di aderire a tale strategia308.

Anche le decisioni delle associazioni di imprese sono ricondotte espressamente nella categoria delle intese. La ragione della loro esplicita inclusione fra gli atti suscettibili di restringere la concorrenza risiede principalmente nella constatazione che l'obiettivo del coordinamento fra imprese indipendenti può essere raggiunto anche attraverso la “copertura” delle associazioni di categoria309.

La figura della pratica concordata, terza e ultima casistica, assume quindi la portata di una nozione generale e residuale, comprensiva di tutte le ipotesi nelle quali, pur mancando una formalizzazione del consenso (accordi palesi), ovvero una decisione di associazione di imprese, si è comunque in presenza di una concertazione relativa alle condotte di due o più imprese. La giurisprudenza comunitaria ha affermato a questo proposito che la nozione di pratica concordata corrisponde a “una forma di coordinamento dell'attività delle imprese che, senza spingersi fino all'attuazione di un accordo, costituisce una consapevole collaborazione fra le imprese stesse a danno della concorrenza”310. In altri termini, si consuma una pratica concordata qualora i comportamenti delle imprese difettino di autonomia; tuttavia la presenza di un mero comportamento parallelo non è condizione sufficiente a dimostrare l’esistenza di una pratica concordata. Se invece le imprese, che si suppone

307I. Van Bael e F.Basis, op.cit., p. 154 ss.

308Sentenza della Corte di Giustizia C-74/04 del 13 luglio 2006, Volkswagen II. 309A. Frignani-M. Waelbroeck, op. cit., p. 89 ss.

310

Sentenza della Corte di Giustizia del 14 luglio 1972, Ici; nel caso di specie, pur non esistendo evidenza diretta di un accordo esplicito, le due imprese (Solvay e ICI) continuavano intenzionalmente a ripartirsi il mercato, ciascuna non entrando nel mercato dell’altra per evitare ritorsioni sul proprio, configurando così una forma di collusione tacita.

essere agenti razionali, assumono comportamenti che sarebbero difficilmente spiegabili nel contesto di mercato in cui operano, ipotizzando una situazione di competizione, si può pensare che le parti abbiano consapevolmente scelto di non competere, comunque sicure di ottenere un guadagno dalla loro concertazione e pertanto applicare la norma di cui all’art. 81.

Per dimostrare l’esistenza di una pratica concordata è stato invece ritenuto sufficiente provare “un qualsiasi contatto diretto o indiretto avente lo scopo di influire sul comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un concorrente il comportamento che l'interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul mercato”311

L’approccio della Comunità tende comunque a ridurre al minimo gli aspetti formali della fattispecie rilevante, concentrandosi invece su quelli sostanziali; in questo senso gli organi comunitari hanno spesso ritenuto di non dovere esaminare con particolare rigore a quale categoria ricondurre l'atto anticompetitivo, tant'è che in numerose decisioni viene affermato che la cooperazione fra imprese «costituisce un accordo o quanto meno una pratica concertata», ammettendo quindi che le due forme di cooperazione possano coesistere, senza che sia necessario ricondurre la fattisispecie ad una categoria piuttosto che all’altra312. La distinzione rilevante è infatti fra comportamento collusivo e comportamento non collusivo e quindi tra applicabilità o meno della norma, mentre la classificazione di un'intesa nell'una piuttosto che nell'altra figura non riveste importanza pratica, qualora venga comunque dimostrata la violazione del divieto di intese.

Il divieto di intese

Ai sensi dell’art. 81 le intese, per essere vietate, devono avere come oggetto od effetto l’impedimento o la restrizione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

Il disposto di tale norma impone una valutazione articolata in due fasi: innanzitutto deve essere esaminato, attraverso una valutazione obiettiva, l'oggetto

311 Sentenza della Corte di Giustizia del 16-12-1975, Sunker Unie; il caso riguardava un caso di collusione tra varie imprese europee operanti nel settore della produzione saccarifera per limitare la produzione destinata ai mercati italiano, tedesco e olandese.

312La prima decisione che esplicita questa lettura della norma si riferisce al caso Polipropilene (decsione della Commissione del 23 aprile 1986).

dell'accordo: se l’evidente causa di un'intesa è quella di restringere o falsare la concorrenza, significa che il suo oggetto è restrittivo ai fini dell'applicazione della disciplina; rilevando quindi un eventuale diversa intenzione delle parti al momento della stipula dell’accordo, ovvero l’esistenza di altre finalità in capo all’accordo stesso. In seconda istanza, qualora l'oggetto di un accordo non risulti palesemente anticompetitivo, è necessario verificare i suoi effetti, onde stabilirne la liceità sotto il profilo concorrenziale; chiaramente tali effetti devono essere giudicati con riferimento alla situazione concorrenziale che vi sarebbe (o vi sarebbe stata) in assenza dell'accordo in questione313. Dal punto di vista dell’efficienza, peraltro, la distinzione tra oggetto ed effetto dell’accordo ha scarsa rilevanza in quanto una valutazione di efficienza deve considerare la capacità reale della fattispecie concreta di imporre una restrizione o una distorsione della concorrenza effettiva e potenziale, a prescindere dalla sua natura formale di accordo esplicito ovvero di pratica concordata.

Il significato di restrizione o distorsione della concorrenza, a sua volta discende dalla nozione di concorrenza accolta dalle autorità preposte alla tutela della stessa. In linea teorica, e come esposto precedentemente314, se si facesse riferimento ad un modello di concorrenza perfetta di stampo neoclassico bisognerebbe concludere che ogni intesa tra due parti, in quanto limitante la loro libertà d’azione e atta a modificare, direttamente o indirettamente, la posizione dei terzi, è di per sé idonea a restringere il gioco della concorrenza sul mercato. Come già evidenziato non è possibile, né desiderabile tutelare un tale tipo di concorrenza; si deve invece fare riferimento al modello di concorrenza efficace o effettiva (workable). Vi sarà pertanto un intervento sanzionatorio solamente nel caso in cui, per effetto delle condotte delle imprese, il tenore concorrenziale di un mercato rischi di deteriorarsi in modo sostanziale. La nozione di efficienza utilizzata in questa fase della valutazione è pertanto di tipo allocativo, mentre nella fase di eventuale concessione dell’esenzione saranno tenuti in considerazione gli aspetti di efficienza produttiva e dinamica dell’intesa qualora siano positivi.

Sono suscettibili di divieto tanto gli accordi orizzontali, ossia quelli che limitano direttamente la libertà di azione tra due o più imprese che operano al

313A. Pappalardo, op. cit., p. 95 ss. 314V. supra cap. 1 e 3.

medesimo stadio della catena produttiva, quanto quelli verticali, cioè le intese che legano soggetti operanti a diversi stadi di fabbricazione di un determinato prodotto, quanto infine quelli che comunque incidono sulla libertà dei terzi (come avviene, tipicamente, nel caso di accordi che coinvolgono prodotti funzionalmente connessi o complementari). Le intese orizzontali, riguardando una sola parte della filiera produttiva, hanno esclusivamente effetti sulla concorrenza tra i diversi produttori (c.d. inter-brand competition); viceversa gli effetti delle intese verticali, nel caso intervengano nelle relazioni produttore-distributore possono riguardare sia la concorrenza tra i diversi produttori, sia la concorrenza tra i distributori per offrire beni dello stesso produttore (intra-brand competition). Tutte le categorie di intese possono avere effetti restrittivi sia sulla concorrenza dal lato del prezzo sia sulla concorrenza dal lato della qualità del prodotto o dei servzi accessori (pre/post vendita)315.

In termini di efficienza la distinzione tra intese verticali ed orizzontali ha maggior rilievo rispetto a quella tra oggetto ed effetto dell’intesa in quanto implica una diversa analisi economica degli effetti della fattispecie concreta, come vedremo meglio nel proseguo della trattazione.

L’analisi delle intese, infine, deve tenere conto non solo della concorrenza attualmente esistente, che verrebbe ristretta a seguito della stipulazione di un accordo, ma anche della concorrenza potenziale, ossia la concorrenza che potrebbe derivare da un soggetto che, pur non essendo presente sul mercato rilevante, abbia la possibilità di entrarvi

Le liste esemplificative di restrizioni della concorrenza

Il primo paragrafo dell'art. 81 del Trattato, stabilito in generale il divieto di intese restrittive della concorrenza, dispone che sono incompatibili con il mercato comune e quindi vietati:

a) gli accordi consistenti nella fissazione dei prezzi di acquisto e di vendita o

di altre condizioni di transazione;

b) gli accordi che tendono a limitare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo

tecnico o gli investimenti;

c) le intese di ripartizione dei mercati o delle fonti di approvvigionamento; d) le condotte volte ad applicare nei rapporti commerciali con gli altri

contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti;

e) le pratiche che subordinano la conclusione dei contratti all'accettazione di

prestazioni supplementari slegate dall'oggetto del contratto stesso.

Si ritiene unanimemente che questo elenco debba considerarsi esemplificativo e non esaustivo316. Come si è visto, infatti, dalla prassi e dalla giurisprudenza comunitaria è emersa una nozione di intesa ricomprendente una vasta gamma di relazioni industriali e commerciali aventi in comune la volontà delle parti, o comunque la loro collaborazione consapevole, di tenere un determinato comportamento sul mercato. Pertanto, possono essere soggette a divieto anche condotte non espressamente citate, quali lo scambio di informazioni su dati rilevanti sotto il profilo competitivo, nel caso in cui permettano di ridurre il grado di incertezza sui futuri comportamenti, facilitando un’eventuale collusione, ovvero un accordo per svolgere in modo congiunto parti del processo produttivo che induca le imprese coinvolte, che hanno effettuato notevoli investimenti congiunti e cooperano attivamente nella fase produttiva, a non competere in modo aggressivo.

Allo stesso modo, il semplice fatto che un accordo abbia come oggetto o per effetto una delle condotte anticompetitive previste in modo esplicito dall’articolo non significa che esso sia automaticamente vietato in quanto è sempre necessario esaminare la consistenza della restrizione e se essa riguarda una parte sostanziale del mercato unico.

L’autorizzazione in deroga al divieto di intese

Gli accordi e le intese che ricadono nell’ambito di applicazione del divieto possono, a certe condizioni, beneficiare di un'esenzione in deroga al divieto stesso ed essere pertanto validamente attuati. Tale nullità, invece, colpisce ex tunc tutti gli accordi vietati per i quali l'esenzione non sia stata richiesta e rilasciata.

In particolare l’articolo 81 comma 3 prevede, in deroga ai commi precedenti, l’inapplicabilità del divieto a quelle intese che, contemporaneamente:

1. contribuiscano al progresso tecnico ed economico, nonchè a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti;

2. riservino agli utilizzatori (o ai consumatori) una congrua parte dei benefici che producono;

3. non impongano restrizioni della concorrenza che non siano indispensabili per raggiungere gli obiettivi di cui sopra (principio di proporzionalità)

4. non comportino l'eliminazione della concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti oggetto dell’intesa.

Viene pertanto riconosciuta la rilevanza dell’efficienza (punto 1) e della tutela del consumatore (punto 2) nella valutazione dell’applicabilità del divieto.

Il primo requisito svolge nella pratica il ruolo di guida nella ponderazione degli aspetti positivi e negativi dell’intesa: la sua sussistenza costituisce infatti il primo presupposto dell’esenzione e la base di partenza per la verifica delle altre condizioni, come confermato dalle Linee Guida della Commissione aventi ad oggetto i criteri di applicazione dell’articolo 81 paragrafo 3 del Trattato317. Alla verifica della sussistenza di questa condizione è usualmente ricondotta la valutazione di efficienza in materia di intese; da questo punto di vista è necessario valutare se la restrizione della concorrenza che l’intesa impone (ammesso che tale restrizione vi sia) abbia solo effetti negativi ovvero la incrementi anche. In linea generale gli incrementi di efficienza possono riguardare: l’aumento della quantità prodotta e distribuita; l’aumento della produttività; la razionalizzazione dell’attività produttiva o distributiva; la riduzione dei costi di produzione, approvvigionamento, magazzino, distribuzione318; l’offerta di una più ampia gamma di prodotti319; lo sviluppo di un nuovo prodotto320 o di una procedura per la sua produzione e distribuzione, e più in

317

Commissione Europea, Linee Direttrici sull’applicazione dell’articolo 81 paragrafo 3 del Trattato, C101/2004, par. 50.

318 Un caso che rientra in questa ipotesi “tradizionale” è costituito dalla decisione Pasteur

Mérieux/Merck (decisione della Commissione del 6 ottobre 1994), con la quale la Commissione ha

riconosciuto meritevole di esenzione un accordo che permetteva una migliore distribuzione dei vaccini.

319 Si veda ad esempio il caso Rockwell/Iveco, dove la creazione di un’impresa comune per la produzione di assali per veicoli industriali avrebbe consentito l’offerta sul mercato di una nuova gamma di assali.

320Si veda ad esempio il caso Contnental/Michelin (decisione della Commisione del 11 ottobre 1988), avente ad oggetto le attività di ricerca e sviluppo inerenti alla produzione di un nuovo tipo di pneumatico.

generale il progresso tecnico321; il miglioramento dei servizi offerti alla clientela322; l’accesso ad un nuovo mercato;. Requisito essenziale è che tali miglioramenti siano effettivi e legati da un nesso causale e diretto all’attività economica che costituisce l’oggetto dell’intesa. Non rilevano inoltre le riduzioni di costo ottenute grazie al puro esercizio del potere di mercato delle parti, in quanto sono compensati da una eguale perdita di benessere delle altre parti contraenti.

La norma quindi ammette l’applicazione di un criterio di efficienza economica piuttosto ampio323 che include le due diverse accezioni di efficienza tecnica e dinamica324, ma non li considera alla stessa stregua: gli incrementi di efficienza cui primariamente le Linee Guida fanno riferimento sono infatti quelli legati al miglioramento qualitativo del prodotto o del servizio offerto sul mercato in esame ossia le efficienze che presentano una componente di natura dinamica, e non le mere riduzioni di costo325.

Alla vasta casistica di possibili incrementi di efficienza fa da contrappeso un onere della prova a carico delle imprese alquanto complesso: ai sensi delle nuove Linee Guida della Commissione, infatti, per provare l’esistenza del nesso causale le imprese sono tenute a “calcolare o stimare con la massima accuratezza ragionevolmente possibile, il valore degli incrementi di efficienza e descrivere dettagliatamente le modalità di calcolo di tale importo”, in modo da accertare “come e quando i singoli incrementi saranno realizzati”326

321 Il riferimento al “progresso tecnico” ricorre ad esempio nel caso GEAE/P&W (decisione della Commissione del 14 settembre 1999), in cui la Commissione ha ammesso un accordo tra produttori di motori per aerei in quanto “permetterà alle parti di sviluppare un motore meno costoso in termini di manutenzione, con un costo medio per passeggero e per miglia percorse più basso, nonché livelli di emissione inferriori rispetto ai livelli esistenti dei motori delle parti”.

322

Nella decisione REIMS II (decisione della Commissione del 15 settembre 1999) è stato ad esempio esentato un accordo tra operatori postali che consentiva una migliore qualità del servizio postale transfrontaliero.

323Van den Bergh-Camesasca, op. cit., p. 203-205. 324

L’argomento sarà ripreso nel cap. 5 specificatamente dedicato all’applicazione del criterio di efficienza.

325Commissione Europea, Linee Direttrici sull’applicazione dell’articolo 81 paragrafo 3 del Trattato, cit., par. 69-70. In esse si afferma infatti che “..In diversi casi, i principali incrementi di efficienza che un accordo può determinare non sono riduzioni di costi, ma miglioramenti della qualità ed altri incrementi di efficienza di carattere qualitativo. A seconda dei singoli casi tali incrementi di efficienza possono dunque avere un’importanza uguale o maggiore (ma non minore, N.d.A.)rispetto a quelli relativi ai costi”. E successivamente si afferma che “i progressi tecnici e tecnologici rappresentano una componente essenziale e dinamica dell’attività economica in quanto generano significativi benefici sotto forma di prodotti e servizi nuovi o migliori”.

326Commissione Europea, Linee Direttrici sull’applicazione dell’articolo 81 paragrafo 3 del Trattato, cit., par. 56.

Passando alla seconda condizione positiva, affinché un accordo sia esentato è necessario che una congrua parte dei benefici da questo prodotti sia traslata ai consumatori. Come il termine «utilizzatori» (usato in sede comunitaria in luogo di consumatori) lascia intendere, un’intesa soddisfa la seconda condizione anche quando tali vantaggi sono appannaggio non dei consumatori propriamente detti, ma degli acquirenti diretti, indiretti ed intermedi del prodotto oggetto dell’accordo. Alla nozione di consumatori, pertanto, non si deve attribuire un significato specialistico, atto ad escludere dal novero dei potenziali beneficiari dei vantaggi indotti dall’accordo i soggetti che acquistino il prodotto a fini commerciali. D’altra parte, proprio il criterio con cui si individuano i benefici implicati da un’intesa porterebbe ad identificare con i consumatori tutti gli operatori diversi dalle parti dell’intesa; al fine di ottenere l’esenzione, infatti, alle imprese aderenti all’intesa non è sufficiente evocare e dimostrare un qualche beneficio in termini di offerta, bensì è necessario che nella ponderazione tra effetti positivi e negativi dell’accordo, prevalgano i primi. In altre parole, le imprese che vogliano usufruire dell’autorizzazione in deroga al divieto, devono non solo dimostrare che l’intesa migliora l’offerta anche a vantaggio dei consumatori, ma altresì devono provare che detti benefici sono tali da più che compensare gli svantaggi dovuti alle restrizioni concorrenziali.

In terzo luogo, affinchè l’esenzione sia concessa le parti devono dimostrare che i benefici attesi a vantaggio dell’offerta e dei consumatori si pongano in un rapporto di causa-effetto con le limitazioni della concorrenza derivanti dall’accordo, in ossequio ad un generale principio di proporzionalità. Ciò impone alle parti di dimostrare che non esistono alternative di minore impatto concorrenziale in grado di produrre gli stessi benefici ottenibili grazie all’accordo in questione.

Circa la quarta e ultima condizione, essa impone che l’accordo non comporti l'eliminazione della concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti oggetto del mercato rilevante. Tale requisito serve, in ambito comunitario, a porre un argine contro possibili valutazioni di efficienza condotte ai sensi della prima condizione di esenzione che autorizzino intese il cui oggetto od effetto sia eccessivamente anticoncorrenziale, contrastando quindi con la ratio dell’art. 81. Nella sua attuazione pratica questo ultimo criterio svolge la sua funzione nei casi di forte concentrazione del mercato rilevante, mentre non viene richiamato qualora una forma di workable

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