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Il necessario riferimento all’esperienza statunitense.

ANTITRUST TEORIE A CONFRONTO

3.2 Il necessario riferimento all’esperienza statunitense.

Quando si parla di analisi economica della concorrenza e delle modalità di tutela della stessa il riferimento di partenza obbligato per una rassegna del pensiero economico in materia è costituito dalle principali teorie sviluppatesi negli Stati Uniti, a partire dalla fine del XIX secolo. In questo Paese, infatti, l’istanza di garantire il funzionamento dei meccanismi concorrenziali, in quanto considerati benefici ai fini dello sviluppo economico e sociale, e le conseguenti problematiche legate alle modalità di tutela della concorrenza, prendono direzioni diverse rispetto all’Europa, l’altra area di origine del moderno sistema economico su base capitalistica, dove permanevano politiche economiche interne di derivazione mercantilistica e l’esistenza di istituzioni di ancien regime che non si conciliavano con il concetto di libera impresa.

Nella sua formulazione europea, infatti, l’esigenza di dare impulso alla libera iniziativa d’impresa e di favorire l’esplicarsi di meccanismi concorrenziali si tradusse in primo luogo in un rigetto dei controlli statali sull’attività economica, che venivano individuati come il principale vincolo all’affermazione della libera concorrenza nella sua accezione Smithiana. In questo senso le imprese private non erano viste come una possibile fonte di distorsione della concorrenza, poiché le stesse forze del mercato avrebbero provveduto ad azionare i meccanismi di auto-correzione enfatizzati dalla teoria economica classica (la c.d. “mano invisibile”).

Solo in Inghilterra, dove, prevaleva una politica di liberoscambismo, venne elaborata la teoria della restraint of trade, che individuava il potenziale effetto negativo, e quindi l’indesiderabilità, degli accordi tra imprese che avessero come

scopo la limitazione della concorrenza; la discriminante di validità di tali accordi secondo la common law inglese risiedeva nella rilevanza dell’intesa restrittiva all’interno dell’accordo principale: una pattuizione di rilevanza secondaria (ancillary

restraint of trade) all’interno di contratti il cui oggetto principale era diverso era

considerata legale in quanto ragionevole196; laddove, viceversa, la restrizione costituisse lo scopo primario dell’accordo esso veniva vietato.

Negli Stati Uniti, al contrario, il potere federale non aveva inizialmente l’autorità nè la capacità di mettere in atto una politica economica mercantilistica: la giovane età dello Stato, la vastità del territorio amministrato, l’esistenza di forti poteri locali facevano sì che i poteri pubblici non costituissero una fonte di rischio per il rispetto dei principi di libertà di impresa e, in generale, di iniziativa individuale, che informavano la società americana.

I pericoli a queste libertà venivano piuttosto dai grandi complessi industriali e commerciali, sia in forma monopolistica che oligopolistica, che vennero creati per offrire su larga scala alcuni dei principali beni economici: risorse naturali, servizi ferroviari, credito bancario. Se inizialmente la crescita dei grandi gruppi industriali venne favorita attraverso l’adozione di una politica protezionistica affinchè queste imprese fossero in grado di competere con l’ormai affermata industria dei paesi europei che avevano già conosciuto la rivoluzione industriale, Gran Bretagna in

primis, con il passare del tempo il loro crescente potere (il bilancio di un’unica

corporation superava quello di venti Stati dell’Unione messi insieme197) divenne fonte di critiche e preoccupazioni nell’ambito dei principali partiti e dell’opinione pubblica.

Maturò così una vasta avversione sia nei riguardi delle grandi compagnie che monopolizzavano il mercato, sia verso quelle combinazioni o accordi, assumenti generalmente la forma giuridica dei trusts, che avessero come finalità la limitazione della concorrenza proveniente da piccole e medie imprese198.

196 G. Bernini, Un secolo di filosofia antitrust, Bologna, 1991, p. 35-36: generalmente accordi di limitazione della concorrenza rientravano all’interno di un contratto principale avente come oggetto la cessione di attività commerciali o professionali (vedasi per esempio Nordenfelt v. Maxim, Nordenfelt

Guns & Ammunition Co., 1894, dove la Corte sosteneva che “..restraint of trade..may be justified..if

the restriction is reasonable”.

197AA VV, Economia e società negli Stati Uniti tra Ottocento e Novecento, Firenze, 1976. 198G. Bernini, op. cit., p. 18 ss.

Per questi motivi, nonchè, per ragioni legate all’ideale di democrazia espresso dal legislatore americano, nel 1890 nasce la disciplina antitrust americana con l’approvazione della prima legge antitrust federale, e cioè lo Sherman Act, tuttora in vigore. Questo primo intervento normativo introduceva in particolare il divieto per accordi (contracts), intese (associations) e cospirazioni (conspiracies) tra imprese che restringono il commercio (Section 1), e per la monopolizzazione vera e propria, compresi i tentativi volti alla monopolizzazione (Section 2), punendoli con sanzioni monetarie e penali, giungendo fino allo smantellamento dell’impresa colpevole di monopolizzare il mercato.

Alla base dell’adozione dello Sherman Act vi furono, quindi, più ordini di obiettivi: eliminare o comunque ridurre il costo sociale del monopolio; tutelare la piccola impresa; difendere il sistema politico dal potere eccessivo dei grandi gruppi privati. La convinzione dominante che stava maturando negli Stati Uniti era infatti quella che i monopoli industriali costituissero un ostacolo insuperabile per l’esplicazione della libera impresa individuale e per quel principio di “uguaglianza delle opportunità”, profondamente radicato nella società, per il quale il successo economico doveva essere basato sul merito del singolo individuo.

Successivamente l’ingresso della teoria economica nel dibattito sulla materia ha portato ad ampliare l’obiettivo della disciplina antitrust: non più la sola libertà di impresa del singolo, bensì il più ampio concetto di benessere sociale, così come elaborato dalla teoria neoclassica e considerare così oggetto di tutela la struttura concorrenziale del mercato in senso oggettivo, che doveva essere difesa in quanto presupposto per il raggiungimento dell’efficienza allocativa, e quindi, mediatamente, del benessere sociale.

In questo senso la generalità delle disposizioni dello Sherman Act, nonché del successivo Clayton Act, e l’esistenza di un sistema di common law hanno sempre permesso a chi ha attuato ed interpretato la norma, di introdurre considerazioni di carattere economico, modificando eventualmente anche il contenuto attribuito allo stesso concetto di concorrenza, nonché di perseguire eterogenei obiettivi di politica industriale e nazionale, senza che ciò implicasse una modifica legislativa. Evidenza di ciò e dell’evoluzione interpretativa che queste norme hanno permesso, è costituita dall’elaborazione, a partire dagli anni ’80 di apposite liee guida (c.d. guidelines),

elaborate dal Governo statunitense, finalizzate a definire i criteri valutativi cui le autorità amministrative devono attenersi nello svolgimento della loro attività istituzionale; linee guida che, per l’appunto, sono state modificate più volte nel corso degli anni per recepire i nuovi orientamenti della dottrina economica e giuridica199, nonché della giurisprudenza.

Allo Sherman Act sono poi seguiti altri testi legislativi, i quali, aggiungendo, nel tempo, nuove fattispecie e nuovi strumenti di intervento, sono andati a costituire, insieme al primo, il corpus normativo di riferimento del modello antitrust americano: il Clayton Act del 1914 ha esteso la legislazione antitrust anche a quei casi di fusione in grado di ridurre la concorrenza sul mercato dopo che lo stesso sherman Act aveva indirettamente provocato un aumento del numero di operazioni di fusione e di acquisizione; il Federal Trade Commission Act anch’esso del 1914, ha creato l’omonima agenzia indipendente, che condivide con il Dipartimento di Giustizia (DOJ) la responsabilità di applicare la discplina antitrust200; il Robinson-Patman act del 1936 emendò le disposizioni relatve ai casi di discriminazioni di prezzo; il Celler- Kefauver act del 1950 permise di applicare il Clayton Act anche alle fusioni verticali e conglomerali. Tali interventi non hanno peraltro modificato il nucleo della normativa originaria, continuando lo Sherman Act a costituire fondamento della disciplina antitrust.

Il modello normativo statunitense ha costituito per oltre cinquant’anni un

unicum nel panorama degli Stati ad economia capitalistica; è stato pertanto in

relazione all’esperienza americana che si sono poste le questioni economiche di fondo legate all’applicazione della normativa, sia in sede giurisdizionale da parte della magistratura della Corte suprema e delle corti di appello statunitensi, sia in sede di dibattito dottrinale da parte di giuristi ed economisti di svariate nazionalità201. Si è creato, conseguentemente, uno sfasamento temporale rispetto all’Europa, non solo a livello normativo e applicativo, ma anche a livello di analisi economica, che in parte permane tuttora. L’analisi della concorrenza negli Stati Uniti, infatti, solo inizialmente ha sofferto una carenza in termini di teorie economiche sottostanti alle

199Le Merger Guidelines, ad esempio, sono state elborate nel 1982 per poi essere modificate ben tre volte: nel 1984, nel 1992 e nel 1997.

200Al modello della FTC si è ispirato il legislatore italiano del 1990 per creare l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato.

argomentazioni, favorevoli o contrarie, circa l’illegalità di una determinata condotta posta in essere da parte di una o più imprese, mentre, a partire dagli anni ’30, ha significativamente contribuito all’affinamento dei criteri di valutazione applicabili alle fattispecie rilevanti ai fini antitrust.

Per quanto appena esposto, un’analisi sulle principali teorie economiche che hanno contribuito a formare gli orientamenti della politica della concorrenza e le interpretazioni della disciplina che sono state date in sede applicativa, deve, a parere dello scrivente, prendere a riferimento l’evoluzione del pensiero economico avvenuta negli Stati Uniti a partire dal 1890 e come essa si è riflessa nelle principali decisioni della giurisprudenza di questo paese.

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