ANTITRUST TEORIE A CONFRONTO
3.8 Le teorie “Post-Chicago”: la ricerca di una maggiore aderenza alla complessa realtà dei mercati.
La Scuola di Chicago, come abbiamo visto, enfatizza la capacità del mercato di giungere autonomamente ad una condizione di concorrenza, autocorreggendo le situazioni apparentemente pericolose, assumendo, inoltre, che per avere un effettiva situazione di concorrenza è spesso sufficiente un numero molto minore di imprese di quanto fosse stato teorizzato in precedenza, grazie alla contendibilità dei mercati. L’intervento pubblico è invece considerato inutile, se non dannoso: le decisioni di condanna vanno spesso a vantaggio dei concorrenti, magari inefficienti, piuttosto che migliorare il grado di concorrenza sul mercato. Conseguentemente la politica della concorrenza suggerita dall’approccio chicagoan è una politica caratterizzata da un basso grado di intervento, limitato alle condotte più gravi, quali i cartelli di prezzi e la ripartizione dei mercati.
La realtà, tuttavia, dimostra che spesso i mercati non si comportano così elegantemente come la Scuola di Chicago ipotizza: i costi di acquisizione delle informazioni possono essere significativi; le barriere all’entrata o all’uscita possono essere molto elevate; prodotti similari possono rimanere differenziati e non sostituibili tra loro anche nel lungo periodo. Entra inoltre in crisi la visione dell’integrazione verticale come elemento-chiave di efficienza produttiva dell’impresa: le nuove strutture organizzative snelle basate sull’esternalizzazione a terzi di varie fasi della produzione e la delocalizzazione geografica di altre mettono in crisi il modello di impresa gerarchica descritto da Wiliamson, con la conseguenza che i guadagni di efficienza derivanti dall’integrazione verticale possono essere più facilmente messi in discussione251.
Anche a livello macroeconomico la situazione si modifica: il mercato statunitense conosce in questo periodo il fenomeno della globalizzazione e della contestuale deindustrializzazione all’interno del territorio nazionale: le dimensioni medie d’impresa aumentano; parte degli stabilimenti industriali vengono trasferiti
251Y. Svetiev, Antitrust governance: the new wave of antitrust, in Loyola University Chicago Law
all’estero e, contestualmente, assume maggior peso il settore dei servizi. Le imprese per mantenersi competitive perdono il loro legame con il territorio nazionale e si diversificano aprendo ai nuovi comparti dell’informatica e delle telecomunicazioni.
La conseguenza di tali mutamenti in termini antitrust è data innanzitutto dalla nuova esigenza di applicare la disciplina anche all’estero in presenza di multinazionali delocalizzate, affinchè la politica antitrust sia efficace. In secondo luogo le nuove attività, caratterizzate da beni immateriali contenenti conoscenza si prestano più di altre alla monopolizzazione (si pensi a Microsoft) piuttosto che all’oligopolio e contestualmente rendono profittevole per le imprese dominanti inibire la capacità innovativa dei concorrenti attuali e potenziali252. Infine l’evoluzione dimensionale e spaziale delle nuove multinazionali mette in dubbio i risultati ottenuti dalla scuola di Chicago relativamente ai benefici che le imprese possono conseguire attraverso la crescita dimensionale dei soli impianti.
Questa maggiore complessità, sia riferita ai mercati che all’impresa, unita agli sviluppi teorici dell’economia industriale (in particolare la teoria dei giochi), riapre così la casistica delle possibili pratiche anticoncorrenziali, soprattutto nei nuovi mercati, quali quelli legati alle tecnologie informatiche, dove le opportunità di collusione e i comportamenti strategici da parte delle imprese in posizione dominante possono essere significativi e alcune pratiche, che la Scuola di Chicago liquidava come irrazionali, divenire profittevoli e quindi razionali, almeno nel lungo periodo.
Le teorie c.d. post-Chicago recepiscono, almeno parzialmente, tali problematiche cercando di aderire maggiormente alla realtà dei mercati, molto più articolata di quanto assunto dalla scuola di Chicago, e alla diversa struttura organizzativa assunta dalle imprese moderne. Anche se a scapito dell’eleganza formale dei modelli teorici, tali teorie prendono atto di questa aumentata complessità dei mercati, sviluppando a tal fine appositi modelli di mercato relativi ai principali settori industriali da utilizzare per l’elaborazione di simulazioni di collusione e di concentrazione nei mercati stessi253, e dell’esistenza di nuove fattispecie di
252R. Pitofsky, Antitrust and intellectual property: unresolved issues at the heart of the new economy, in Berkeley tech. law journal, 2001, p. 535 ss.
253S. Berry, J. Levinsohn and A. Pakes, Automobile prices in market equilibrium, in Econometrica, 1995, 63, p. 841-850; J. Baker, Identifying cartel policy under uncertainty: the U.S. steel industry, in
comportamenti anticoncorrenziali, riponendo meno fiducia nei meccanismi del mercato e sottolineando il rischio posto in essere dai comportamenti strategici delle imprese dominanti, come evidenziato dalla teoria dei giochi, soprattutto in presenza di asimmetrie informative, con l’effetto di suggerire decisioni diverse per pratiche analoghe, se poste in essere in contesti diversi254.
La letteratura post-Chicago ha in particolare dimostrato che determinate strutture di mercato e alcune forme di cooperazione tra imprese presentano, intrinseci, potenziali effetti anticoncorrenziali, mettendo in luce aspetti che i modelli precedenti non rilevavano. Tra le strutture di mercato è stato dimostrato che, in presenza di esternalità di rete, quali quelle esistenti nei mercati dei sistemi operativi per personal computers e della telefonia, le imprese esisitenti detengono vantaggi strategici che possono sfruttare a scapito dei concorrenti, anche se questi ultimi dispongono di tecnologie superiori e più efficienti255. Le novità più significative hanno comunque riguardato l’interazione strategica tra le imprese256, e quindi, i comportamenti di queste che possono influenzare, a determinate condizioni, sia la struttura che la performance di mercato, rovesciando così il paradigma di Harvard che vedeva la struttura di mercato come la determinante dei comportamenti delle imprese, e, da ultimo, della performance del mercato.
Le condotte che più hanno risentito di questo nuovo approccio sono tutta una serie di pratiche e di intese, interpretate come anticoncorrenziali in quanto miranti ad incrementare i costi dei concorrenti (convenzionalmente individuate dall’acronimo “RRC”-Raising Rival Costs) e non più ad escluderli dal mercato: l’obiettivo
analysis of collusive behavior in a soft drink market, in Journal of economic and management strategy, 1992, 1, p. 277-311.
254H. Hovenkapp, The reckoning of post-Chicago antitrust, New York, 2001, p. 3 ss. 255H. Hovenkapp, op. cit., p. 14 ss in relazione al caso Microsoft.
256L’interazione strategica si verifica quando due o più imprese interagiscono in modo tale che la condotta di ciascuna dipende da quella che essa si aspetta dall’altra. Lo strumento interpretativo per stabilire in quali ipotesi il comportamento strategico causa una perdita di efficienza è costituito dalla teoria dei giochi, nella quale l’equilibrio di mercato è determinato non dalla struttura dello stesso, bensì dai comportamenti degli operatori in esso presenti: tutte le combinazioni dei livelli di output per la quale nessun impresa può incrementare i propri profitti attraverso una modifica di tali livelli, date le quantità prodotte dai concorrenti, costituiscono delle situazioni di equilibrio che identificano determinati livelli di quantità e prezzo. Pertanto le condotte sottostanti a tali situazioni di equilibrio devono essere considerate razionali e, in un’ottica di efficienza, il diritto antitrust le deve proibire e sanzionare laddove portino ad una situazione di equilibrio sub-ottimale. (G. Norman and M. La Manna, The new industrial economics, Cambridge, 1992; D. Fudenberg and J. Tirole, Game theory, London, 1991. La teoria dei giochi è utilizzata soprattutto per analizzare le strategie delle imprese nei mercati oligoplistici).
dell’esclusione, infatti, nella maggior parte dei casi costituisce una strategia irrazionale, e come tale la Scuola di Chicago considera le conseguenti pratiche esclusive dovute ad altre morivazioni e pertanto non perseguibili dal diritto antitrust; viceversa, limitando l’obiettivo di tali condotte alla smplice acquisizione di un vantaggio nei confronti delle imprese rivali, emerge la loro razionalità. In particolare i comportamenti strategici di prezzo e di quantità possono generare vantaggi maggiori soprattutto in presenza di mercati caratterizzati da impianti altamente specializzati e rilevanti economie di scala.
Le fattispecie che hanno ricevuto più attenzione in questo senso sono le pratiche leganti e gli accordi verticali, nel caso, per esempio, in cui la proporzione degli input può essere modificata. Altre pratiche che sono state oggetto di specifici studi sono le pratiche predatorie, considerate razionali, a certe condizioni, nonchè l’opportunismo in presenza di reti installate (lock-in effect) nel mercato dei servizi post-vendita. Infine, tra le concentrazioni orizzontali è stato approfondito l’effetto in termini di prezzo nel caso di fusione tra imprese operanti su mercati oligopolistici caratterizzati da prodotti differenziati (c.d. effetto unilaterale delle fusioni).
Non muta invece, rispetto alla Scuola di chicago il concetto di efficienza utilizzato che rimane sostanzialmente il medesimo, se si eccettua una maggiore attenzione agli effetti dinamici correlati all’utilizzo della teoria dei giochi e dell’interazione strategica.
Questi sviluppi teorici trovano però un ostacolo nell’effettiva possibilità di essere applicati dalle autorità antitrust competenti. Le risultanze di queste analisi presentano concordanza con la teoria, ma spesso non possono escludere altre spiegazioni. Ovviamente, questo diventa un limite ancora più evidente e spesso insostenibile in un procedimento antitrust laddove i mercati rilevanti presentano caratteristiche meno nette di quelli selezionati dagli economisti: queste nuove teorie, infatti, ammettono un’ampia varietà di comportamenti anticoncorrenziali, ma la maggior parte di essi si possono verificare solo in presenza di specifiche circostanze; circostanze che nella realtà dei casi antitrust sono difficili da rinvenire, con l’effetto di rendere più probabile l’esistenza di una spiegazione alternativa, rendendo così una condotta non sanzionabile, ed incrementando altresì i costi per le imprese e per gli orgaini amministrativi e giudiziari.
Inoltre le autorità antitrust non sempre hanno gli strumenti e le competenze necessarie per giungere a dei risultati che possano escludere con ragionevole certezza tali alternative, anche laddove ciò sia possibile: quelli post-chicago sono modelli più accurati, ma contestualmente più complessi, e che presentano un più elevato margine di errore; ciò impone alle autorità antitrust non solo il rispetto del criterio di efficienza della struttura, anzi in tal senso la maggiore complessità dei procedimenti potrebbe rappresentare un positivo incentivo in questo senso, ma anche di porre in essere un’attività valutativa particolarmente onerosa in termini di dispendio di tempo e risorse che spesso non supererebbe un’analisi costi-benefici.
Un procedimento nel quale si è presentata questa problematica è stato il caso Kodak257, avente per oggetto il mercato dei pezzi di ricambio delle fotocopiatrici, dove Kodak praticava prezzi monopolistici. La Corte Suprema rigettò il principio, di matrice chicagoan, secondo il quale i clienti che acquistano una fotocopatrice, essendo perfettamente informati, incorporerebbero il prezzo delle parti di ricambio di cui avranno bisogno in futuro nel costo sostenuto inizialmente per le fotopiatrici, nel cui mercato rilevante Kodak non deteneva sufficiente potere di mercato, ritenendo, al contrario, che una parte significativa di clientela non fosse in grado di tenere conto di tutti i costi di lungo periodo, includenti quelli dei ricambi, al momento dell’acquisto della fotocopiatrice. Di conseguenza un prezzo di monopolio nel mercato post-vendita venne considerato come praticabile da Kodak secondo la strategia definita di “opportunismo base installata”, attuabile secondo la teoria dell’effetto di lock-in, così definita poiché i consumatori, una volta acquistato il bene principale sono ad esso vincolati nell’acquisto dei servizi post-vendita.
Questa sentenza, sebbene validamente supportata da argomentazioni teoriche, non ha tuttavia escluso le altre classiche possibili spiegazioni della condotta di Kodak fornite dalla Scuola di Chicago: dalla limitazione del free-riding da parte dei riparatori indipendenti alla massimizzazione dei profitti congiunti fotocopiatrici-parti di ricambio, con conseguente abbassamento del prezzo del prodotto principale seguito da un incremento del prezzo dei ricambi, alla riduzione dei costi di transazione che sarebbero preponderanti nel caso in cui, con prezzi dei ricambi bassi, i loro acquisti fossero più frequenti. L’effetto fu la generazione di una lunga e
costosa lite giudiziaria, conclusasi con una condanna che ha sollevato numerose critiche258.
Di più facile applicazione si sono rivelate invece le teorie post-Chicago che analizzano le strategie finalizzate ad incrementare i costi sopportati dai concorrenti (RRC) attraverso la stipula di accordi verticali (accordi che, al contrario, la Scuola di chicago valutava positivamente a priori)259, nonché gli sviluppi nel campo dell’analisi delle concentrazioni orizzontali (c.d. “effetti unilaterali”).
Le teorie Post-Chicago non mettono invece in nessun modo in discussione il principio della rule of reason; al contrario, la crescente articolazione della casistica e le diverse soluzioni proposte a seconda dei mercati per le medesime fattispecie accrescono la sua importanza quale criterio richiesto in via preliminare per poter valutare la condotta delle imprese secondo il principio di efficienza. Prova ne è la recentissima decisione della Corte Suprema di superare l’ormai secolare divieto per
se degli accordi verticali di fissazione dei prezzi di rivendita260, applicando praticamente per la prima volta il criterio della rule of reason anche per questa fattispecie261.
3.9 Conclusioni. L’applicazione delle teorie del comportamento
irrazionale al diritto antitrust.
Nel presente capitolo abbiamo dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando la nostra attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. Tale evoluzione ha portato attualmente ad attribuire una crescente rilevanza agli aspetti dinamici e al principio della rule of reason, secondo il quale non è efficiente vietare in linea di principio una determinata fattispecie, ma bisogna verificarne i prevedibili effetti nel caso concreto. Ciò in quanto la molteplicità e la bidirezionalità degli effetti delle fattispecie rilevanti in termini di efficienza allocativa e dinamica,
258H. Hovenkapp, op. cit., p. 7 ss. 259
Toys ‘R’ U.S. inc. v.FTC, 221, F 3rd, 2000.
260Il principio del per se nella valutazione di tale condotta era stato fissato dalla decisione del 1911 relativa al caso Dr Miles (Dr Miles Medical Co. V. John D. Park & Sons, cit.).
unita alla crescente varietà e la complessità dei mercati, impediscono la fissazione di regole inderogabili cui le autorità antitrust possano attenersi nelle loro valutazioni.
In conclusione di questa ricostruzione dottrinale è opportuno, a parere dello scrivente, dare conto delle nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, benchè esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics.
Una di queste tendenze, espressa dalla c.d. scuola funzionale, fornisce una alternativa alla massimizzazione della ricchezza, identificando le scelte individuali e le preferenze rilevate come i fondamentali criteri di valutazione, dando altresì atto che l’azione umana è determinata non solo da vincoli economici, ma anche da quelli psicologici e fisici: le conoscenze, le capacità, le doti presenti nel caso concreto262.
Dal punto di vista giuridico questo approccio comporta la produzione di norme che incoraggino libere scelte individuali mediante l’eliminazione degli impedimenti strategici e transattivi alla rivelazione delle preferenze reali; preferenze che però non sono più determinabili attraverso l’utilizzo dei modelli di scelta razionale, bensì con l’incorporazione di componenti psicologiche irrazionali che permettano di comprendere come gli uomini effettivamente reagiscano alle regole giuridiche e alle relative sanzioni.
Questa nuova tendenza, ancora in fase embrionale, analizza quindi il rapporto tra economia e diritto assumendo che il comportamento umano non sia razionale (non solo limitatamente razionale come sosteneva H. Simon), da cui deriva l’introduzione dell’elemento psicologico nei modelli economici utilizzati per la produzione di norme giuridiche e per la loro applicazione. L’effetto è la rimodellazione degli strumenti della teoria economica e, in prospettiva, il raggiungimento di nuovi risultati anche nel campo dell’analisi economica del diritto263.
Benché in campo antitrust questo nuovo approccio non abbia ancora prodotto risultati, esso è suscettibile, a parere di chi scrive, di trovare future applicazioni.
262
V. Smith, Papers in experimental economics, Cambridge, 1991, p. 5 ss. L’autore nel 2002 ha vinto il Premio Nobel per l’economia per il suo contributo all’economia comportamentale e sperimentale. 263F. Parisi, Scuole e metodologie dell’analisi economica del diritto, in Riv. critica di diritto privato, 2005,p. 394-396.
Alcune scelte delle imprese, quali quelle di entrare (o uscire) dal mercato ovvero di effettuare determinati investimenti, infatti, non sono sempre ispirate a un comportamento razionale264: alcuni individui eccedono in ottimismo, avviando imprese laddove altre con le medesime caratteristiche hanno fallito; altri investono ingenti somme in ricerca e sviluppo in mercati che per le loro caratteristiche non offrono adeguate opportunità di remunerare l’investimento iniziale; altri ancora perseguono obiettivi che trascendono la logica del profitto265.
Questi comportamenti non razionali influiscono evidentemente sull’efficienza dinamica dei mercati, generando condizioni che, nei limiti in cui tali scelte non sono motivate da una semplice carenza o insufficienza di informazioni, sfuggono alle ipotesi formulate dalle tradizionali teorie economiche applicate al diritto antitrust, la teoria strutturalista e la Scuola di Chicago, che fondano le proprie assunzioni su un comportamento perfettamente (o limitatamente) razionale degli agenti economici, nonchè dalla teoria dei giochi, che assume che il coordinamento strategico tra le imprese oligopoliste avvenga sulla base di una condotta razionale degli operatori economici presenti sul mercato.
Gli effetti del comportamento irrazionale possono alterare evidentemente il livello di concorrenzialità in grado di condurre ad una condizione di efficienza del mercato. Non è più quindi solo la crescente complessità dei mercati a giustificare diverse forme e metodi di intervento antitrust, così come suggerito dalle teorie post-
chicagoan, ma anche la consapevolezza della specificità delle esperienze
imprenditoriali e delle motivazioni ad esse sottese.
Non è questa la sede per approfondire una questione così ampia e dalle molteplici implicazioni. Certo è che un’applicazione delle norme antitrust che tenga conto delle condizioni in cui operano le singole imprese oggetto di valutazione può contribuire ad una più realistica previsione circa gli effetti del comportamento o dall’operazione oggetto di valutazione sul mercato rilevante e sul livello di efficienza delle imprese in questione. Si ridurrebbe così l’inevitabile approssimazione di cui le
264
G. La Blanc-J.J. Rachlinsky, In praise of investor irrationality, in F. Parisi-V. Smith, The law and
economics of irrational behaviour, Stanford, 2005, p. 542 ss.
265Due o più imprese, ad esempio, si possono coordinare con altre imprese non solo per massimizzare il loro profitto, ma per garantirsi un reddito più stabile continuo nel tempo, anche se inferiore.
autorità risentono quando effettuano valutazioni prospettiche ottenendo, in definitiva, una maggiore aderenza al criterio di efficienza delle loro decisioni.
CAPITOLO 4
LA NORMATIVA COMUNITARIA VIGENTE A TUTELA DELLA