ANTITRUST TEORIE A CONFRONTO
3.3 Le reazioni all’adozione dello Sherman Act e la prima fase applicativa.
La maggior parte degli economisti vissuti a cavallo tra Ottocento e Novecento non fu affatto entusiasta dello Sherman Act202. Nel migliore dei casi le disposizioni in esso contenute erano considerate una misura incapace di contrastare l’irresistibile tendenza alla crescita dimensionale delle imprese e alla loro diversificazione settoriale. Nel caso peggiore l’intervento legislativo era giudicato un impedimento al conseguimento da parte delle imprese degli incrementi di efficienza che le nuove forme di organiizzazione industriale lasciavano intravedere203.
Inoltre, non trovando argomentazioni teoriche che spiegassero come un’impresa concorrenziale potesse coprire i costi fissi in presenza di basse quantità domandate, e in mancanza di un adeguato supporto teorico esplicativo dei fallimenti del mercato, in particolare dei monopoli naturali, nonchè in assenza di regolazioni settoriali, veniva osservato come un’eccessiva concorrenza potesse avere effetti rovinosi in settori caratterizzati da elevati costi fissi e bassi costi marginali, quali il trasporto ferroviario e le c.d. utilities204.
202G. J. Stigler, The economist as preacher and other essays, Chicago, 1982, p. 41 ss.
203W. E. Kovacic and C. Shapiro, Antitrust policy: a century of economic and legal thinking, in
Journal of economic perspectives, 2000, 14, p. 45-46
204
J. B. Clark, H. C. Adams e A. T. Hadley furono i principali economisti che supportarono questa teoria. Shumpeter nel ricostruire il dibattito dottrinale sviluppatosi nel periodo 1870-1914, lo richiama esplicitamente come avente ad oggetto non l’antitrust bensì “railroads, public utilities, trusts and cartels” (J. Schumpeter, History of economic analysis, New York, 1954).
Altri, anticipando Pigou205, difesero le pratiche discriminatorie di prezzo nei limiti in cui permettevano alle imprese di coprire i costi fissi. Marshall riconobbe i vantaggi della cooperazione verticale tra imprese che vendono prodotti complementari. Pochi economisti lo accolsero con favore considerandolo uno strumento utile per controllare e limitare le condotte anticoncorrenziali poste in essere da parte delle imprese206.
Pur nella brevità di questa rassegna, interessa qui mettere in luce, come, sebbene poste in termini semplicistici, molte di queste questioni sollevate dal dibattito sviluppatosi a seguito dell’adozione dello Sherman Act hanno poi costituito il substrato fondamentale dei temi successivamente proposti dalle analisi economcihe che si sono susseguite fino ai giorni nostri aventi ad oggetto il ruolo dell’efficienza nell’applicazione della disciplina a tutela della concorrenza; analisi economiche che hanno infatti riproposto in termini più complessi e sofisticati, il problema del possibile trade-off tra condotte formalmente anticoncorrenziali e gli incrementi di efficienza e della collocazione all’interno della politica della concorrenza degli obiettivi di tutela del consumatore rispetto a quelli di efficienza, nelle sue componenti allocativa, produttiva e dinamica.
Diverso fu l’orientamento della giurisprudenza, in sede di prima applicazione dello Sherman Act: dopo un’iniziale cautela207, la percezione di una limitazione della libertà di impresa causata dalle grandi corporations non trovo più ostacoli e, nel 1904, con la sentenza che impedì la fusione di Northern Pacific e Great Northern Railroads208 ebbe inizio una fase di forte contrasto dei grandi monopoli e dei trusts operanti nei principali settori, culminata con la sentenza Dr Miles v. Park Sons (1911) in cui la Corte Suprema ha applicato per la prima volta la disciplina antitrust alle intese verticali, e con il caso-simbolo di questa fase, costituito dalla sentenza
Standard Oil209, con la quale la medesima Corte sanzionò la posizione di monopolio della Standard Oil, che deteneva una quota di mercato del 90% del mercato rilevante,
205A. C. Pigou, The economic of welfare, London, 1920.
206F. M. Scherer, Efficiency fairness and the early contributions of economists to antitrust debate, in
Washburn Law Review, 1989, 29, p. 243 ss.
207Nel 1895 la Corte Suprema tollerò la creazione di un pressochè totale monopolio della raffinazione dello zucchero (oltre il 98% della capacità di raffinazione del paese) da parte del trust a quel tempo attivo nel settore (United States v. E.C. Knight Co., 156, U.S. 1, 1895).
208Northern Securities Co. v. United States, 193 U.S.197, 1904
209Standard Oil Co. v. United States, 221, U.S. 1, 1911. Similmente la Corte Suprema si espresse in
smembrandola in 34 parti. Questo caso contiene alcune delle principali linee guida elaborate dalla giurisprudenza nel periodo iniziale di applicazione del diritto antitrust: utilizzo delle quote di mercato come proxies del potere monopolistico; assunzione della regola della ragionevolezza (rule of reason), consistente nella valutazione caso per caso (case by case) come metodo di base dell’analisi a fini antitrust; la classificazione di alcune condotte, quali i prezzi predatori, come potenzialmente anticoncorrenziali; lo smembramento come possibile sanzione nel caso di violazione dell’art. 2 dello Sherman Act.
Tali linee guida, sebbene collegate ad una decisione in senso anti- monopolistico permisero da quel momento, attraverso l’ingresso ufficiale del criterio della rule of reason, una notevole flessibilità di giudizio da parte delle corti, dando inizio ad un periodo di valutazioni tra loro diverse nell’esito, solitamente comunque piuttosto tolleranti nei confronti delle imprese.
Questo cambiamento di rotta in parte origina dal fatto che la rule of reason ha, tra i suoi effetti, quello di rendere più difficile l’onere della prova e più facilmente giustificabili accordi e pratiche anticoncorrenziali, imputando la decisione di non sanzionarli alla specificità del caso. Soprattutto però esso trova origine negli eventi politico-economici che si verificarono nel periodo in questione: l’esperienza della pianificazione produttiva richiesta dall’intervento militare nella prima guerra monidale portò ad una stretta collaborazione tra il Governo e gli imprenditori, da un lato, e tra imprenditori dall’altro; una collaborazione che venne proseguita anche in tempi di pace, attraverso l’ascesa del c.d. “associazionalismo”, una visione delle relazioni industriali basata non più sulla concorrenza, bensì sul coordinamento tra Governo e gruppi industriali210.
La crisi del 1929 rafforzò la tendenza “associazionalista”: l’esigenza di ridurre la produzione industriale favoriva gli accordi tra imprese rivali aventi per scopo, appunto, la restrizione dell’output di mercato; è in tale clima che maturò la sentenza Appalachian Coals211, che non condannava un accordo stipulato tra un vasto numero di produttori di carbone che non solo aveva lo scopo di ripartire la
210Tra le decisioni più rappresentative di questa fase dell’antitrust americano troviamo Board of Trade
of the city of Chicago v. United states (1918), che premise la limitazione delle trattative commerciali
al di fuori degli orari previsti e United States v. Colgate & Co. (1919), nel quale la Corte Suprema non sanzionò il rifiuto a contrarre praticato dai produttori coinvolti.
produzione tra le imprese aderenti, ma fissava anche un prezzo di riferimento, la più grave delle possibili violazioni del diritto antitrust; la decisione fu in seguito considerata come un’aberrazione indotta dalla Grande Depressione212.
Questo orientamento giurisprudenziale non costituisce tuttavia il portato di un’evoluzione del pensiero e della ricerca in campo teorico che giustificasse un tale approccio per ragioni di eficienza. Non gli studi sulla nozione di discriminazione di prezzo efficiente (c.d. Ramsey pricing), né gli scritti di Pigou ancora in materia di discriminazione di prezzo, ossia le principali ricerche svolte nel periodo in questione che individuavano potenziali elementi di efficienza nell’intraprendere tali tipologie di pratiche a determinate condizioni, hanno avuto un ruolo nella formazione delle decisioni antitrust di questo periodo, i cui principi ispiratori devono piuttosto essere ricercati, come detto, nella situazione politica ed economica213.
La fase appena descritta si fa terminare convenzionalmente nella seconda metà degli anni ‘30 con l’emergere del pensiero economico “strutturalista” elaborato dalla c.d. Scuola di Harvard.
3.4 La teoria strutturalista. Il concetto di “workable competition” e il