CAPITOLO II: IL SISTEMA MODA: UN CLUSTER AGGREGATO DI DIVERSI SETTORI
SISTEMA MODA
3. Asimmetria: l’asimmetria è un principio riferito al mercato, o, meglio, al posizionamento delle imprese lungo la piramide della Moda
Favorire lo sviluppo di un mercato asimmetrico significa stimolare un’offerta aziendale che non sia solo posizionata nella fascia alta o bassa, ma anche in quella media.
Le ragioni di tale necessità sono semplici: se il mercato è polarizzato, è molto probabile che il consumatore preferisca un prezzo più basso, anche se a scapito della qualità, ad uno più alto.
La fascia media garantisce una diversità di offerta che può profondamente incidere nelle scelte di consumo: chi cerca un buon rapporto qualità/prezzo, è in quella parte di mercato che trova soddisfazione. Se l’offerta è concentrata in alto, o in basso, si rinuncia ad una fetta importante di consumatori, che saranno inevitabilmente più attratti dalle proposte del Mass Market.
E’ questa, anche, l’opinione di Mario Boselli:
Per mantenere in vita un sistema complesso come il nostro bisogna garantirne, a mio parere, la completezza, e per fare questo bisogna “presidiare” anche le produzioni di livello “medio”.
So di dire qualche cosa di opinabile: molti infatti indicano queste produzioni come perdenti, più a rischio, e quindi da abbandonare. Io non nego che siano a rischio, ma sostengo con forza che non presidiare, non difendere, non tutelare (al limite non sviluppare) le produzioni “medie” sarebbe un grave errore di strategia che a lungo andare si rivelerebbe di grande nocumento per l’intero sistema201.
2.3.4 “La prima A”: il valore dell’artigianalità nell’ottica contemporanea
La presentazione del modello a tre A, nel paragrafo precedente, conduce ad un’ulteriore, e doverosa, riflessione: in che senso dobbiamo intendere, infatti, la parola artigianato nell’attuale contesto industriale?
Artigianato significafare a mano, e quindi anche fare lentamente, non accettare il contributo che la meccanizzazione può offrire alle aziende del tessile-abbigliamento?
Si tratta di domande cruciali quando parliamo di un settore, quello tessile, appunto, che è tipicamentelabour-intensive, e viene spesso dato per spacciato all’arretratezza perenne proprio a causa dell’alto contenuto di manodopera che caratterizza i processi produttivi tipici.
Ma c’è di più: nell’Alta Moda, così come nel Lusso, cioè nelle fasce più alte della piramide, l’elevata intensità di manodopera è considerata quale elemento primario per garantire l’esclusività, (e la scarsità202), del prodotto; gli accessori del Lusso e i capi di Alta Moda devono necessariamente,
201Intervento di Mario Boselli al convegno organizzato da Panbianco: “La moda ad una svolta”, 9 Novembre 2001, Milano. Su: www.panbianconews.com
202A scanso di equivoci semantici, l’aggettivo scarso va inteso nell’accezione aulica di raro, e quindi prodotto in serie limitata.
per non perdere quell’aurea di esclusività che li caratterizza, essere realizzati prevalentemente a mano.
Ecco come l’artigianato, la cui significatività è strettamente connessa all’idea di fare a mano, assume valore massimo per tutti quei prodotti che competono nelle fasce prezzo più elevate dei settori ad alta intensità simbolica203, per la diretta assunzione che fatto a mano = scarso = esclusivo.
Si deve allora concludere che chiunque punti all’alto, all’esclusività del prodotto, o ad una fascia prezzo quanto più possibile elevata, deve sfuggire a qualsiasi tentazione meccanica ed assumere unicamente artigiani specializzati per la fabbricazione del prodotto?
In un momento storico in cui, nella piramide della Moda, come si è visto, le imprese italiane e francesi puntano prevalentemente all’alto e quelle straniere all’infimo, affermare una necessità del genere sarebbe, a dir poco, rovinoso.
Per meglio comprendere, allora, ilvalore contemporaneo dell’artigianalità, ammesso che il termine debba rimanere il medesimo se la corrispondenza artigianale = fatto a mano è così forte, occorre prima chiarire tre concetti essenziali:
Il significato originario del termine204.
Il valore immateriale nell’industria della Moda.
L’innovazione tecnologica come mezzo per produrre valore immateriale, e non come fine.
La parolaartigianato deriva da Arte, origine che non è, com’è facile intuire, casuale.
Arte, a sua volta, viene tradizionalmente ricondotta al latino ars, che significa, sinteticamente, qualità, modo di essere e vivere, l’essere così ed in nessun ’altra maniera205.
Meglio è, tuttavia, ricollegarsi alla parola greca di cuiars è traduzione: τέχνη,ovvero tecnica.
L’Arte, in passato, non era sganciata dalla tecnica; l’artista era, più in generale, un artigiano, o chiunque, grazie all’utilizzo di unatecnica, costruisse qualcosa: in tal senso, Arte e Mestiere erano strettamente collegati.
La concezione di Arte come tecnica determina un’altra, fondamentale, conseguenza, che aiuta a comprendere il significato originario del termine: l’Arte, secondo una concezione che si modificherà soltanto a partire dalla fine del Medioevo206, era utile; artista era o il pittore cui veniva commissionata una certa opera, o l’artigiano che costruiva certi utensili, ma, in ogni caso, la
203Questa è, in effetti, una caratteristica che possiamo rintracciare non soltanto nei capi di abbigliamento d’Alta Moda o negli accessori di lusso, ma anche per altri prodotti che esulano da tali settori e che soddisfano, in via primaria,benefici di status : a titolo di esempio, si pensi che alcuni componenti della Ferrari sono, ancora oggi, realizzati esclusivamente a mano.
204Le riflessioni che seguono sulla radice etimologica dei termini arte e artigianato sono tratte dalla tesi triennale di Elena Santoro: “Moda e Arte Contemporanea; nuove prospettive di sintesi”, Università Commerciale L. Bocconi, anno accademico 2004 -2005.
205F. Fédier: “L’Arte”, Christian Marinotti Edizioni, Milano, 2001, pag. 16.
206A partire dalla fine del Medioevo, infatti, la parola Arte assunse un altro significato, comunque diverso da quello odierno: con le Arti Liberali del Trivio e del Quadrivio, essa diventa sinonimo di scienza, e quindi non più sapere pratico, o tecnico, ma sapere teorico.
tecnica dell’artista doveva avere uno scopo, era valutata e valorizzata solo nella sua dimensione di utilità,e, quando ciò non avveniva, era condannata207.
E’ proprio la concezione originaria dell’artigianato che, paradossalmente, deve guidarci nella comprensione della sua valenza anche nel contesto attuale: il significato di tecnica, infatti, esula daltipo di tecnica, e attiene soltanto alla dimensione di sapere pratico, tecnico, appunto, orientato alla massimizzazione di un’utilità.
La distanza tra il significato antico di Arte e artigianato come tecnica e quello odierno, che vede nell’Arte ( ed anche nella Moda, quando essa sia considerata Arte), l’inutilità208 come fattore caratterizzante, è la grande beffa che l’Arte stessa si è fatta di noi, e che porta alcuni autori ad osservare: l’arte, in passato, non significava affatto Arte!209
E, come spesso accade nella vita, il passato rappresenta in tal caso la miglior chiave possibile per migliorare il presente: è proprio tale concezione di utilità, di sapere tecnico, inevitabilmente influenzato, dunque, dal progresso umano e scientifico, che è sfuggita nella concezione odierna dell’artigianato.
Ed è la stessa considerazione che ci porta ad affermare che prodotto artigianale, non deve significare, semplicemente ed immediatamente, fatto a mano: significa risultato di tecniche utili, quanto più possibileefficaci, precise, ed in quanto tali, esclusive.
La concezione contemporanea dell’artigianalità presenta, tuttavia, un’ulteriore sfaccettatura: quella che deriva dalla finalizzazione di taletecnica alla produzione di valore immateriale.
Dobbiamo chiederci, cioè: qual è il valore di un prodotto di Moda? Lo sappiamo: non è un valore materiale, non risponde a benefici tangibili e funzionali, ma è un valore simbolico, e, in quanto tale, immateriale.
Quest’affermazione, per molti intuitiva e scontata, che non ha bisogno di definizioni, può essere, tuttavia, altamente pericolosa:anche quando la caratteristica primaria del prodotto di Moda è la sua esclusività, ed il valore immateriale diventa, allora, la componente massima del prodotto, la produzione di valore immateriale non deve comunque essere sganciata dall’utilizzo di tecniche efficaci, efficienti, e utili.
Da qui deriva la distinzione tra la causa del prodotto, ed il suo fine: l’origine, anche quando si parli di valore immateriale, deve essere in ogni caso guidata da criteri di praticità, utilità e, come tra poco vedremo, tecnologia; il fine potrà poi essere più o meno funzionale, più o meno simbolico, connotato da più o meno elevati livelli di esclusività.
Quest’ultima riflessione permette di affrontare l’ultimo punto del dibattito, relativo all’innovazione tecnologica.
207Si pensi alla condanna delle arti visive argomentata da Platone nel libro X della Repubblica: l’arte visiva era dal filosofo greco considerata come forma d’intrattenimento che non aiuta, ma anzi devia la conoscenza.
208 Per meglio comprendere come l’inutilità sia, nella prospettiva contemporanea, un fattore caratterizzante della concezione odierna dell’Arte, possiamo far riferimento a quanto scritto a tal proposito da Oscar Wilde, all’inizio del 1900: “Possiamo perdonare ad un uomo di aver fatto una cosa utile fin tanto che non inizia ad ammirarla; l’unica scusa per aver fatto una cosa inutile è l’ammirarla intensamente; tutta l’Arte è completamente inutile.”; Oscar Wilde:
“Detti e aforismi”, ed. Rizzoli, Milano, 2004.
209F. Fédier: “L’Arte”, op. Cit, pag. 15.
La teoria classica dello sviluppo, costantemente avvalorata, anche in forma implicita, dalle più autorevoli riviste in materia economica210(da “Business Week” a “Fortune”, dal “Financial Times” al
“Wall Street Journal”), pone al centro dello sviluppo stesso l’innovazione tecnologica.
Ed è proprio tale teoria a considerare in una posizione precaria tutte le industrie in cui vi sia poco spazio per l’innovazione, tessile-abbigliamento in primis, in quanto prevalentemente caratterizzate da processi di tipo labour-intensive.
Eppure, in un’ottica del tutto paradossale, la concezione di artigianalità nel suo significato primario, e cioè innanzitutto come tecnica, permette di superare tale impostazione e parlare, contemporaneamente, di artigianatoe innovazione tecnologica.
Nella misura in cui, come si è detto, la tecnica artigianale è una tecnica, e non una sola ( cioè quella manuale), essa potrà ( e anzi, dovrà) tener conto dell’innovazione tecnologica, per massimizzare la sua utilità, pur essendo comunque finalizzata all’ottenimento di elevato valore immateriale.
E’ solo tale nuovo ( ed in realtà antico) significato dell’artigianalità che non la rende contrapposta all’innovazione, e permette, a quest’ultima, di essere compatibile con il valore immateriale ed esclusivo del prodotto Moda.
Quelli finora presentati non sono concetti astratti, di difficile applicazione pratica; vi sono, in effetti, aziende che hanno colto la dimensione dell’utilità nei processi produttivi della Moda, riuscendo anche a non scalfire il suo valore immateriale: si tratta delle imprese italiane del pronto-moda qualificato; la produzione realizzata in parte con la tecnica del pronto (assenza dell’ordine, nessuna progettazione della collezione, diverse collezioni annuali) , che permette di massimizzare velocità del processo produttivo e reattività al mercato, ed in parte, invece, programmata (una certa percentuale di ordini, analisi delle tendenze, controllo su qualità), altro non è se non il risultato dello sfruttamento di unsapere artigianale innovativo211.
Con ciò, non si afferma che tutte le imprese debbano cominciare ad adottare tale tecnica: si perderebbe, infatti, quell’asimmetria che abbiamo precedentemente indicato come terza soluzione strategica; l’esperienza di tali aziende deve però fungere da esempio: c’è ancora spazio per l’innovazione, o, meglio, per dare al prodotto un valore innovativo, artigianale, immateriale.
E’ solo in tali termini che anche l’artigianalità può servire a risolvere la crisi.
210 Tale impostazione deriva, in particolare, dagli scritti e dalle teorie dell’economista e teorico dello sviluppo economico Joseph Schumpeter, morto ad Harvard nel 1950; per approfondimenti, si può consultare:Claudio Dematté:
“La triplice leva vincente: riduzione dei costi, innovazione tecnologica, internazionalizzazione”in:
“Economia&Management”, n°1/2004, o: Ricchetti e Cietta: “Il valore della Moda”, ed. Mondatori, Milano, 2006.
211 La testimonianza del Dott. Negra, titolare della marca Pinko, riesce a ben esprimere questo concetto: “si deve sfaldare il mito che tutte le aziende del pronto moda copiano, e basta; anche noi abbiamo cool hunters che lavorano nella nostra impresa; si deve capire, tuttavia, che l’analisi qualitativa delle tendenze è facilmente accessibile: ci sono libri scritti apposta dai Bureau du Style; quello che è davvero complicato é l’analisi quantitativa delle stesse tendenze:
cioè, una volta che so che l’abito, questa stagione, è di tendenza, devo anche sapere quanti farne, di questi abiti, quanti ne potrò vendere; è qui che si innesta il valore aggiunto, nei confronti del mercato, da parte delle aziende del pronto:
un’analisi costante di quanto abbiamo venduto noi e quanto i concorrenti, unita alla produzione immediata, che non viene lanciata tutta, e subito, tramite gli ordini, permette di massimizzare il servizio al trade ed al consumatore finale”.
Testimonianza prevista per il corso 8113 dell’Università Bocconi: Management delle imprese di Moda e Design, Anno Accademico 2006-2007.
Conclusioni
Se guardiamo alle singole imprese italiane posizionate nella fascia alta del mercato e, nella maggior parte dei casi , altamente diversificate, è difficile avere l’idea di una crisi così grave causata dai fattori precedentemente esposti.
I quotidiani nazionali riportano quasi ogni giorno cifre da record e successi competitivi delle imprese italiane del tessile-abbigliamento-calzature.
Per fare qualche esempio:
“A new million dollar baby”: così é stata soprannominata da un quotidiano americano la Dolce&Gabbana, che ha superato, nel 2006, il miliardo di euro di ricavi, con una crescita del 30% rispetto al 2005 ed un Ebit record pari al 22,1% dei ricavi, un punto e mezzo in più rispetto lo scorso esercizio212.
“Lo shopping dei Burani frutta cifre record”: il Mariella Burani Fashion Group ha fatturato, nel 2007, 708 milioni di euro, di cui il 50% realizzato nella divisione abbigliamento, con un Margine Operativo Lordo di 111 milioni, ed una capacità di indebitamento ancora elevatissima, nonostante le numerose acquisizioni ( il tasso di indebitamento rimane inferiore a 1, pari a 0,6)213.
Il Gruppo Tod’s ha chiuso il 2006 con un fatturato di 66,1 milioni di euro, in crescita del 23,8% rispetto al 2005, ed ha aumentato i dividendi ad 1,25 euro per azione, lo 0,25% in più rispetto l’esercizio precedente214.
Il bilancio 2006 del Gruppo Versace si è chiuso con 288 milioni di ricavi ed un utile di 19,1 milioni: “Un utile vero, sottolinea l’A.D. Giancarlo Di Risio, ottenuto senza ricorrere a proventi straordinari; ci sono tutte le premesse per una crescita accelerata nel 2007”215. Sono soltanto alcuni esempi, che dimostrano esattamente quanto precedentemente affermato sulla crisi del Made in Italy: i grandi sopravvivono, ma sono pochi rispetto la potenzialità che il paese sarebbe in grado di esprimere nei settori design-based, e sono tutti concentrati nella punta della piramide: qualcuno, prima o poi, cadrà giù216.
La crisi va dunque analizzata solo in ottica sistemica, e nell’ottica sistemica, stimolando quelle relazioni cooperative che hanno determinato il successo del Made in Italy, va cercata la soluzione.
Siamo adesso pronti per la domanda concreta:cosa si deve fare?
Assecondare la tendenza alla concentrazione, lanciata dai pionieri dei poli del lusso francese quali Bernard Arnaut o François Pinault, e strutturare in tal senso un’offerta polarizzata contrapposta a quella della concorrenza, seppur con il rischio di renderla omologata?
212Giulia Crivelli: “E la Griffe batte le stime, oltre 1 miliardo di ricavi”, il Sole24Ore, 15 Marzo 2007.
213Emanuele Scarci: “Burani punta sui gioielli”, il Sole24Ore, 22 Marzo 2007.
214Giuliano Balestreri: Tod’s premia gli azionisti”, il Sole24Ore, 20 Marzo 2007.
215Cristina Jucker: “Versace guarda all’Asia per crescere”, il Sole24Ore, 13 Marzo 2007.
216S.Saviolo, E. Corbellini, “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit, pag. 59.
O puntare ancora sulla frammentazione e la diversità del nostro tessuto produttivo, insistendo sul carattere familiare delle nostre imprese, migliorando gli aspetti di debolezza, nello slogan: l’unione ( e la passione) fanno la forza?
Per rispondere, analizzeremo i due scenari e loro implicazioni: quello del Gruppo e della quotazione in borsa come alternative alla proprietà familiare, che saranno oggetto di discussione nel prossimo capitolo.
Il tema delle Mergers and Acquisitions sarà introdotto attraverso una panoramica generale delle operazioni di tale tipologia che sono state realizzate nei settori Moda e Lusso dal 2000 ad oggi.
L’argomento sarà in seguito dettagliato attraverso: l’illustrazione delle principali finalità che, sia nell’ottica dell’acquirente che in quella dell’azienda acquisita, si vogliono perseguire attraverso l’operazione di acquisizione/cessione, e l’individuazione dei fattori critici necessari per aumentare la probabilità di successo dell’operazione ( caratterizzata, in media, da un altissimo tasso di fallimento).
Seguirà un paragrafo dedicato all’opzione della quotazione in borsa: attraverso una tabella sintetica, saranno illustrati i vantaggi e gli svantaggi che da tale iniziativa possono derivare per un’impresa familiare di Moda.
Con l’obiettivo di rendere più concreta la comprensione di tali aspetti, sarà presentato il caso Mariella Burani Fashion Group: dopo una breve introduzione circa il core business del Gruppo e le principali azioni strategiche che ne hanno determinato la trasformazione da realtà familiare di piccole dimensioni a Gruppo integrato, quotato in borsa, che compete con successo in diversi settori ed ha portato a termine numerose, riuscite, acquisizioni, si cercherà di esplicitare quali fattori vincenti hanno permesso l’ottenimento di tali risultati con specifico riferimento alla crescita per linee esterne.
L’intero caso è stato elaborato sulla base delle informazioni reperite sul s ito aziendale, e di un’intervista telefonica gentilmente concessa dalla Dott.sa Daniela Zari, responsabile della comunicazione corporate del Gruppo.
Il paragrafo conclusivo del capitolo illustrerà dunque, attraverso uno schema di sintesi, i vantaggi e gli svantaggi che è possibile ricollegare al Gruppo multi-brand e multi-business, con un’attenta distinzione tra: il valore che esso crea per gli azionisti della capogruppo, il valore per le società acquisite, e quello, infine, per il consumatore.
CAPITOLO III: LE ALTERNATIVE ALLA PROPRIETA’ FAMILIARE: IL GRUPPO