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Il ruolo mediatico delle famiglie italiane proprietarie di imprese di moda, che da sempre hanno comunicato largamente al pubblico scelte strategiche e imprenditoriali, assumendo una visibilità

CAPITOLO II: IL SISTEMA MODA: UN CLUSTER AGGREGATO DI DIVERSI SETTORI

SISTEMA MODA

3. Il ruolo mediatico delle famiglie italiane proprietarie di imprese di moda, che da sempre hanno comunicato largamente al pubblico scelte strategiche e imprenditoriali, assumendo una visibilità

che non trova confronti con quanto accade all’estero: in Francia, ad esempio, non soltanto nomi quali quelli di Dumas, Guettand, Puech o Wertheimer sono assolutamente poco noti, ma soprattutto quasi nessuno sa che si tratta delle famiglie proprietarie delle aziende Hermes, le prime tre, e Chanel, l’ultima.

 La localizzazione delle aziende nella medesima area geografica: l’ultima caratteristica rilevante delle imprese italiane del tessile-abbigliamento è rappresentata dalla loro localizzazione geografica; l’Italia è un paese unico al mondo per i cosiddetti distretti industriali: insiemi di imprese che sorgono nella stessa area geografica, specializzate in determinate fasi della filiera produttiva e legate tra loro da rapporti di subfornitura.

Proprio i distretti italiani del tessile-abbigliamento rappresentano un elemento chiave alla base del successo del Made in Italy: a tale aspetto è dedicato il prossimo paragrafo.

150Si tratta di: Marzotto, Lanificio G.B. Conte, Industria Filati Tessuti Crespi, Lanificio Piacenza e Mario Borselli. Per approfondimenti: S. Saviolo, E. Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. cit.

2.2 Le ragioni storiche del successo del Made in Italy: il ruolo dei distretti industriali La moda italiana fu concepita per gli stranieri151.

Le ragioni di tale affermazione risiedono nell’evento chiave che, secondo l’opinione prevalente, ha segnato l’affermazione del Made in Italy nel panorama internazionale.

E’ il 1951. Non esiste ancora né un’industria italiana della Moda né, tanto meno, un’etichetta

“Made in Italy” fonte di vantaggio competitivo per il prodotto moda italiano.

La Moda è in questo periodo soltanto Haute Couture: gli abiti sono prodotti da laboratori artigianali su ispirazione dei capi parigini di Dior e Chanel, e tutti sono convinti del binomio Parigi-eleganza152.

E’ in quest’anno che il marchese Gian Battista Giorgini decise di organizzare, a Firenze, la sfilata di una serie di capi d’alta moda firmati da case italiane, rivolta a buyer americani, con l’obiettivo di sottolineare la modernità e l’innovatività dei nostri modelli rispetto quelli parigini.

Il successo fu immediato e senza precedenti: alla base, l’intuizione del marchese Giorgini di concepire l’italian look, nella sua essenza molto più democratico rispetto all’elitarietà che caratterizzava la moda parigina, non per gli italiani ma per gli stranieri, e, in particolare, per la donna americana, che era già una donna lavoratrice, interessata ad uno stile pratico e funzionale senza per questo rinunciare ad un certocontenuto moda negli abiti.

Da questo momento, iniziò un export di moda italiana, prevalentemente verso gli Stati Uniti153, che raggiungerà uno dei suoi massimi picchi nel 1957, con la quota di un miliardo e ottocento milioni di vecchie lire di esportazioni nell’abbigliamento femminile.

Un successo così immediato non è arrivato per caso, né è derivato da una tendenza passeggera che ha fatto percepire, in quel dato periodo storico, il prodotto moda italiano come sinonimo di eccellenza.

L’eccellenza del Made in italy ha, al contrario, radici storiche molto più lontane e saldamente innestate nella nostra cultura:deriva da una storia millenaria in tutti i suoi aspetti fondata sull’

ossessione per il bello ed il ben fatto154.

La ricerca e l’esaltazione della bellezza ha, fin dal Rinascimento, caratterizzato la sperimentazione italiana negli ambiti artistici e letterari, determinando un patrimonio di opere artistiche, e, prima ancora, paesaggistiche, che porta a considerare l’intero paese come unmuseo all’aria aperta.

A questo si deve, dunque, l’ossessione per il bello, fonte primaria della raffinatezza e del buon gusto del consumatore italiano, che ancora oggi rappresenta, o dovrebbe rappresentare, il più forte stimolo alla competitività delle nostre imprese.

151S. Saviolo, E.Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit, pag. 11.

152S. Saviolo, E.Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit, pag. 10.

153E proprio negli Stati Uniti le celebrità americane del tempo cominciarono a fare la migliore pubblicità della moda italiana: i capi dei nostri stilisti erano ad esempio indossati da Jacqueline Kennedy, Liz Taylor, Ava Gardner; per approfondimenti: S. Saviolo, E.Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit.

154S. Saviolo, E.Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit, pag. 4.

Ma il prodotto moda italiano non è soltanto bello ( in nulla, altrimenti, sarebbe differenziato da quello francese, dove la concezione dominante è stata quella dell’abito come opera d’arte): è anche ben fatto; il lavoro svolto dai giovani artigiani sotto la guida del maestro nelle botteghe del Rinascimento ha determinato l’impronta che caratterizza tuttoggi la creatività della Moda ita liana: il bello si combina con il funzionale, dando luogo ad un prodotto che non risponde mai al solo principio dell’estetica autoreferenziale, ma che è pensato per la quoditianeità, per esprimere, oltre all’estetica, la capacità di lavorare e nobilitare la materia innanzitutto in senso progettuale155. In questo risiede la vera differenza tra l’Alta Moda ed il prét-à-porter, ed in questo senso, mentre gli abiti di Alta Moda possono essere considerati come opere d’arte, pensati innanzitutto non per essere indossati ma come capolavori da osservare per il semplice gusto di farlo, i capi del prét-à-porter nascono invece per rispondere alle esigenze di una società moderna, di una donna lavoratrice nuova protagonista del dinamismo economico e sociale.

L’industria dell’abbigliamento italiano comincia a consolidarsi, dunque, solo a partire dagli anni ’60, e, inizialmente, con un unico grande protagonista: il Gruppo Finanziario Tessile ( GFT), che per primo aveva introdotto in Italia l’abbigliamento confezionato per diverse taglie.

Proprio tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 il settore tesile-abbigliamento subisce una prima fase di industrializzazione, grazie all’adozione di modelli organizzativi mutuati dall’industria automobilistica e che privilegiano l’alta produttività e la standardizzazione del prodotto156, in linea con le teorie fordiste del momento.

Le criticità di tale sistema, che non soltanto mal si addiceva alle nostre aziende, caratterizzate, in qualsiasi settore, da proprietà familiare e forte accentramento proprietario, ma, con particolare riferimento al tessile-abbigliamento, non permetteva di valorizzare l’eccellenza produttiva tipica della nostra filiera tessile, non tardarono a farsi sentire.

L’ “autunno caldo” del 1969, il venir meno del boom economico e la prima crisi petrolifera degli anni ’70, avevano segnato in tutto l’Occidente il superamento del classico modello fordista a favore di un nuovo sistema capitalistico, più flessibile e meno standardizzato: mentre, tuttavia, nei paesi anglosassoni ed in gran parte dell’Europa Occidentale è la grande dimensione ad emergere, con l’accentramento produttivo e la concentrazione industriale, in Italia la tendenza è del tutto opposta;

si avvia, infatti, il processo di decentramento produttivo precedentemente accennato157 che porta alla frammentazione ed alla piccola dimensione tipiche del modello capitalistico italiano.

Qual è, dunque, il passaggio da quella che, a tutti gli effetti, poteva essere l’inizio di una crisi per la competitività delle nostre imprese, incluse quelle del tessile-abbigliamento, al trionfo del Made in Italy sulla scena internazionale?

155Così si è espresso Mario Boselli, Presidente della Camera della Moda italiana. La citazione è riportata in: S. Saviolo, E. Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit, pag. 5.

156S. Saviolo, E. Corbellini: “La scommessa del Made in Italy”, op. Cit.

157Cfr. par. 2.1.3

La risposta va ricercata in un insieme concatenato di fattori che, a partire dagli anni ’70, hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo del settore grazie alle loro relazioni dinamiche ed al loro mutuo influenzarsi e rafforzarsi158.

Si tratta, in particolare, di:

 Decentramento produttivo e sviluppo delle relazioni di subfornitura: come abbiamo visto, lo spirito imprenditoriale della classe produttiva italiana, il cambiamento nella domanda più orientata alla produzione in piccola serie ed all’eccellenza qualitativa dei prodotti, uniti all’assenza di un mercato dei capitali ben sviluppato che ostacolava, di fatto, lo sviluppo della grande impresa, furono i fattori che hanno determinato il decentramento produttivo e lo smantellamento dei grandi Gruppi italiani avvenuto agli inizi degli anni ’70.

Tale processo fu ulteriormente favorito dalla diffusione capillare, in tutto il territorio nazionale, di piccolilaboratori artigianali e sartorie, che assumevano progressivamente un’organizzazione di tipo industriale. La risposta che queste piccole e medie aziende diedero alla crisi della grande impresa si rivelerà determinante per l’evoluzione successiva del tessile-abbigliamento italiano: tali unità locali, infatti, cominciarono presto a specializzarsi in specifiche fasi della filiera produttiva ed a sviluppare tra loro relazioni di subfornitura in grado di assicurare l’eccellenza e la completezza dell’intera filiera tessile, dalla fibra fino al prodotto finito.

Da questo momento in poi, la filiera tessile diventa il punto di forza del settore abbigliamento italiano, e con caratteristiche uniche nel panorama internazionale: le relazioni di subfornitura permettono agli stilisti di entrare in contatto diretto con i produttori di materie prime, orientandone fin dalle attività a monte le scelte di produzione, e le relazioni con le imprese del meccanotessile garantiscono la disponibilità di macchinari all’avanguardia specializzati per le singole categorie di prodotto, dando così avvio ad un network che ancora oggi rappresenta l’aspetto tipico del Sistema Moda italiano.

La specializzazione e la piccola dimensione, inizialmente considerate ostacolo alla competitività, si rivelano invece fonti di ben più importanti vantaggi: la flessibilità, che permette di rispondere ad una domanda sempre più sofisticata, e l’innovazione di prodotto, resa possibile proprio dalla bassa standardizzazione delle attività.

 Crisi dell’Alta Moda e nascita del prèt-à-porter:il successo del Made in Italy fu agevolato anche da fattori esterni alle tendenze di sviluppo dell’industria italiana, e attinenti, invece, ai cambiamenti sociali e culturali che interessavano, in quel periodo, gran parte dell’Occidente europeo.

La contestazione giovanile e la crescente emancipazione della donna, in particolare, avevano segnato la crisi dei valori che stavano alla base della Haute Couture francese: l’ostentazione a tutti i costi, il lusso , l’estrosità che esula dalla vita di tutti i giorni.

Si affermano due nuove categorie di consumatori: i giovani, in primo luogo, che chiedono una moda più democratica e che possa cogliere i principi dell’emancipazione sessuale sostenuti dalla

158S. Saviolo, S. Testa: “Le imprese del Sistema Moda”,op. Cit, pag. 90.

loro contestazione, e una nuova tipologia di donna, che ha bisogno di abiti comodi per andare a lavoro e di un’eleganza molto più contenuta di quella promossa dai coututiers francesi. Corpetti e balze non possono più soddisfare questi target di consumatori: il merito degli italiani sta proprio nell’aver compreso, molto prima dei francesi, non solo l’enorme potenzialità commerciale che da tale processo poteva derivare, ma anche la direzione di sviluppo da seguire per rispondere alle esigenze della nuova domanda; la Moda non poteva più restare confinata al mondo dei sarti e degli artigiani: furono gli stilisti italiani che, per primi, riuscirono a pensare alle potenzialità della loro firma applicata ad un prodotto industriale, ed a comprendere, dunque, la reciproca complementareità con il mondo dell’industria.

Evento fortemente anticipatorio del “matrimonio” tra industria e stilisti, che si sarebbe pienamente realizzato solo alla metà degli anni ’70, fu la sfilata organizzata da Albini nel 1969: la collezione

“Misterfox” fu infatti la prima in assoluto ad essere prodotta per un industriale, e predisposta per la successiva realizzazione in serie.

Con le successive esperienze di Armani, Genny, Ungaro, Valentino e Versace presso il GFT (allora guidato da Marco Rivetti come A.D.), e la presentazione delle loro collezioni che per prime portano il nome non soltanto dello stilista ma anche dell’azienda produttrice, Milano prende il posto di Parigi come capitale internazionale della Moda, ed alle linee di prèt-à-porter, che fino a quel momento erano comunque concepite per un pubblico ristretto ( soprattutto per la fascia prezzo elevata), si aggiungono le cosiddette collezioni diffusion: le “seconde” e “terze” linee, dotate dello stesso contenuto stilistico ma in grado di colpire target di mercato molto più am pi per i prezzi più accessibili.

Gli stilisti italiani, in altre parole, furono in grado, al contrario di quelli francesi, di scendere dal piedistallo, e accettare la diffusione su scala più ampia dei loro modelli: ipotesi che non fu mai accettata, invece, dalle maison francesi, che preferirono rimanere confinate nella dimensione di nicchia ed elitaria tipica dell’Alta moda; e l’affermazione di Coco Chanel suona, in tal senso, perfettamente esplicativa di tale concezione: “..voglio che la mia moda scenda in strada, ma non posso accettare che sia la strada ad ispirarla..”159

 Sviluppo dei distretti industriali: oltre che su una classe imprenditoriale dotata di creatività e spirito di iniziativa, e su un settore che si andava sviluppando in tutte le fasi produttive, la filiera del tessile-abbigliamento italiano poteva contare su un altro, unico, vantaggio competitivo: la vicinanza fisica delle imprese localizzate nei medesimi territori geografici.

In Italia si contano oggi circa 199 distretti, che rappresentano il 30% dell’occupazione totale ed il 42% di quella manifatturiera160; di questi 199 distretti, 74 operano nel settore tessile-abbigliamento, sono concentrati per lo più nelle aree del Nord e del Centro Italia e raccolgono imprese specializzate in tutte le fasi della filiera produttiva161.

159Citata in: S. Saviolo, S. Testa: “Le imprese del Sistema Moda”, op. Cit, pag. 77.

160Dati elaborati da ISTAT su: www.clubdistretti.it

161Dati elaborati da ISTAT su: www.ipa.it

I distretti italiani consentono di unire ai vantaggi della grande dimensione, la flessibilità della piccola dimensione.

Il distretto come imprenditore collettivo ha tratto la sua linfa vitale dalla commistione tra competizione e cooperazione162

Ed effettivamente quello che si realizza all’interno dei distretti industriali è un vero e proprio processo imprenditoriale, costantemente nutrito da relazioni, nella maggior parte dei casi, informali e flessibili, che non trova eguali in altri sistemi economici.

Alcuni distretti, quali ad esempio quelli di Prato e Como, poggiano su una tradizione tessile risalente al XII sec. e XIII sec.; ma è soprattutto con la prima industrializzazione del 1700, e, successivamente, con la crisi della grande impresa nei tempi più recenti, che tali agglomerati mostrarono tutto il loro potenziale per il settore tessile-abbigliamento italiano.

I vantaggi associati alla produzione nei distretti industriali possono essere distinti in tre grandi categorie:

1. Benefici legati alla logistica delle attività: la vicinanza fisica delle imprese specializzate nelle

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