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Il ruolo della proprietà nelle imprese familiari: quali linee guida per salvaguardare la competitività?

Abbiamo dunque visto come il panorama così eterogeneo delle imprese familiari appare caratterizzato da un aspetto comune: si tratta del ruolo fondamentale che in tali aziende è rivestito dallaproprietà.

Come già detto92, i proprietari di un family business non sono mai puri investitori con mentalità speculativa, ma in tutto e per tuttoamministratori.

87Fonte: sito dell’European Group of Owner Managed and Family Enterprises: www.geef.org , sezione: topics, family firms.

88Fonte: sito Geef, già citato.

89Fonte: Sito della Borsa Italiana: www.borsaitalia.it, sezione Documenti, Sintesi storiche.

90Fonte: Dati illustrati da Alexandra Dawson e Ugo Lassini in: “Contesto esterno e crescita delle imprese familiari”in:

“Capaci di crescere”, op. Cit.

91Miller e Le Breton, “Mantenere il successo”, op. Cit., Prefazione.

Il motore principale per tali aziende è rappresentato dalla proprietà, dai suoi valori ispiratori, dalla sua capacità di condividerli e farli condividere alle generazioni più giovani ed a eventuali manager esterni.

Alcuni93notano, tuttavia, che tale cordone ombelicale che unisce famiglia e impresa può avere dei risvolti positivi ma anche negativi.

Conseguenze del tutto positive sono rappresentate dalla totale dedizione della famiglia all’impresa e dalla capacità di supportare sacrifici talvolta enormi in nome della stessa; effetti negativi si possono invece avere quando questo legame, fonte potenziale di imprenditorialità vitale94, si trasforma in atteggiamenti possessivi nei confronti dell’azienda, che viene in tal caso gestita come proprio, personale, patrimonio: non si avrà più una concezione dell’interesse autonomo dell’impresa e della sua superiorità rispetto quello della famiglia, e si tenderà a sacrificare l’azienda in nome del benessere della famiglia.

Proprio da una tale distorsione derivano le famose patologie del capitalismo familiare: ilnepotismo, che porta gli imprenditori a passare il timone dell’azienda ai figli anche quando questi si rivelino del tutto incapaci e poco motivati a gestirla, la commistione del patrimonio aziendale con quello familiare, sicché il primo venga gestitoper incrementare il secondo e non a mezzo dello stesso, la mancanza di trasparenza per la convinzione dinon dover rendere conto a nessuno.

Ciò che tuttavia è necessario comprendere, e che anche il modesto contributo di questo lavoro, dopo tanti altri in materia, vuole dimostrare, è che tali patologie non sono proprie di tutte le imprese familiari, ma soltanto di quelle di minor successo.

Ha senso, allora, chiedersi quali siano le caratteristiche delle aziende a proprietà familiari vincenti, belle, vitali95, perché proprio tali caratteristiche rappresentano, in un’ottica di apprendimento, le linee guida per salvaguardare la competitività di questo modello, tassello strutturale del mosaico Italia:

 La presenza di un chiaro progetto imprenditoriale orientato alla crescita: i casi vincenti di imprese familiari mostrano innanzitutto che alla base del loro percorso vi sia un preciso progetto imprenditoriale orientato alla crescita.

Un progetto del genere necessita, per prima cosa, di un imprenditore forte, che sappia o abbia saputo presidiare tutte e tre le componenti di una strategia: il prodotto, il mercato, la tecnologia. Si tratta di persone che, come, emerso dalle numerose interviste ad essi condotte96, sentono l’imperativo della crescita, che si concretizza per loro nell’ambizione personale a lasciare il segno.

Senza una figura del genere non sembra possibile avviare percorsi di crescita duraturi, perché il principale collante intorno al progetto di sviluppo è costruito proprio da tali persone positive, che

92Cfr. par. 1.3

93In particolare: Coda e Corbetta: “La valorizzazione dell’imprenditorialità familiare”, op. Cit.

94V. Coda e G. Corbetta, op. Cit.

95G. Corbetta e V. Coda: “La valorizzazione dell’imprenditorialità familiare”, op. Cit, pag. 91.

96 I risultati di tali interviste e le successive citazioni sono contenute e ampiamente argomentate in : “Capaci di crescere”, a cura di Guido Corbetta, op. Cit.

sanno poi trasferire il proprio entusiasmo costruttivo a chi, dopo di loro, assumerà la guida del timone aziendale.

Così, è senz’altro possibile affermare che senza la presenza di uomini eccezionali per le loro doti strategiche e per il loro entusiasmo, dello stampo di Leonardo del Vecchio, Diego Della Valle, Pietro Marzotto, le rispettive imprese non avrebbero ottenuto i risultati raggiunti.

Anche quando siano presenti leader di questo stampo in azienda, il percorso di crescita può tuttavia non essere avviato o non durare, e ciò per diversi motivi.

Se nella famiglia proprietaria sono presenti altri membri che vedono nella crescita una minaccia al loro personale potere, questi tenteranno di ostacolarla; o, ancora, se i membri della famiglia sono in conflitto tra loro per questioni non riguardanti il business, mancheranno il tempo e l’attenzione da dedicare al progetto di crescita; se l’azienda non dispone di una struttura manageriale adeguata alle maggiori dimensioni obiettivo, la crescita non sarà supportata nel lungo periodo.

Tali osservazioni hanno portato a definire le successive linee-guida per la crescita.

 La presenza di imprenditori forti che non siano soli al comando97: l’analisi empirica delle aziende familiari che hanno saputo mettere in atto processi duraturi di crescita ha mostrato che l’imprenditore leader delle stesse non è mai solo al comando. In particolare, nelle imprese che rimangono ancorate ad una piccola dimensione, puntando sullo sviluppo costante in assenza di salto dimensionale98, all’imprenditore si affianca un alter ego. Se invece vengono raggiunte le medie o grandi dimensioni, nelle imprese di successo l’imprenditore si dota sempre di un top management team composto, in parte, da membri esterni alla proprietà.

Come già accennato99a proposito delle imprese familiari che dadomestiche diventano tradizionali, la comparsa dell’alter ego al fianco dell’imprenditore rappresenta la prima forma elementare di articolazione manageriale, passaggio che è infatti riscontrabile in tutte le aziende familiari alle prime fasi del loro ciclo di vita o, comunque, di prima generazione.

Va detto, tuttavia, che l’alter ego ha un ciclo di vita in tutto dipendente da quello dell’imprenditore, e destinato a scomparire con la scomparsa di quest’ultimo: di norma, infatti, gli eredi non nutriranno la stessa stima nei confronti dell’alter ego del padre, non saranno a lui così legati, con la conseguenza che tale ruolo è destinato a scomparire con il primo ricambio generazionale.

Le imprese familiari che raggiungono maggiori dimensioni, hanno invece affrontato il delicato processo di managerializzazione cui si è fatto prima accenno.

Una ricerca100 ha anzi dimostrato che i migliori risultati di performance sono ottenuti proprio da quei family business caratterizzati da una struttura manageriale eterogenea, composta in parte da membri esterni alla famiglia.

97Si tratta della medesima terminologia utilizzata da Preti, Puricelli e Toggiasco in: “Il capitale umano nelle imprese familiari in crescita”, in : “Capaci di crescere”, op. Cit.

98Sviluppo che può comunque essere proficuo se l’impresa basa la propria strategia sul miglioramento costante dei prodotti e dei processi e su una superiore capacità di delimitazione del proprio ambito competitivo.

99Cfr, par. 1.1

100Si tratta della già citata analisi delle 18 imprese italiane a maggiore crescita, in : “Capaci di crescere”,op. Cit.

La crescita richiede, infatti, competenze e risorse diversificate, che non possono essere presenti, tutte, nei soli familiari: ecco allora che gli imprenditori cui si fa riferimento hanno saputo superare tutte le tradizionaliresistenze101che si oppongono alla managerializzazione.

Resistenze dovute alla paura degli imprenditori di perdere il controllo dell’azienda, alla mancanza di fiducia nei confronti di nessun altro al di fuori di sé stessi, in una parola, alla naturale tendenza di identificarsi fortemente e pienamente con l’impresa, fino a non accettare intrusioni di alcun estraneo.

Queste paure vengono superate nei casi di maggior successo, ma ciò richiede il raggiungimento, da parte dell’imprenditore, di una profonda maturità personale e culturale; il che avviene, di norma, dopo una presa di coscienza circa la necessità di aprire la gestione a persone dotate di competenze specialistiche, portatori di una maggiore ricchezza umana all’interno dell’impresa.

Le linee guida che abbiamo fin qui esposto sono valide per qualsiasi tipo di impresa familiare che voglia intraprendere con successo un percorso di crescita, e ne possono orientare le decisioni soprattutto nelle prime fasi del ciclo di vita.

Le caratteristiche che seguono, invece, sembrano essere proprie delle imprese che, compiuti i primi passi nel progetto imprenditoriale di crescita e nella managerializzazione, sono riuscite a raggiungere dimensioni medie o grandi e si trovano tipicamente a gestire realtà più complesse con compagini familiari allargate.

 La presenza di un efficace Consiglio di Amministrazione: l’importanza di un Consiglio di Amministrazione, quale organo fondamentale di qualsiasi sistema di Corporate Governance, è, ormai da molti anni, oggetto costante della letteratura manageriale italiana ed estera102. E lo stesso organo rappresenta, come abbiamo visto, anche un tradizionale punto di debolezza delle imprese italiane: nella maggior parte delle stesse, infatti, o non è presente un CdA, o esso rimane un mero organo formale, attivo soltanto sulla carta.

Questo è vero soprattutto nel panorama delle imprese familiari, dove la larga coincidenza tra proprietà e management raramente spinge gli imprenditori a dotarsi di un organo che controlli l’operato dei manager per favorire l’allineamento degli interessi tra questi ultimi e gli azionisti103 . ma si tratta di un organo, che, tuttavia, non assume soltanto il ruolo di controllo, e può invece configurarsi come fonte vitale di disciplina imprenditoriale e di riflessione strategica in numerosissimi altri aspetti.

La conoscenza dei diversi ruoli104che il Cda può assumere nelle imprese familiari rappresenta allora il necessario punto di partenza per comprendere l’importanza dello stesso organo nel processo di crescita delle imprese familiari.

101G. Corbetta e C. Dematté: “I processi di transizione dell’impresa familiare in senso stretto”, op. Cit.

102Al proposito si può consultare: A. Zattoni: “L’assetto istituzionale delle imprese italiane”, op. Cit.

103Funzione che è tradizionalmente considerata come il principale scopo del consiglio di Amministrazione.

104 Le riflessioni che seguiranno sono tratte da: G. Brunetti e G. Corbetta: “Ruolo e funzionamento dei Consigli di Amministrazione nelle imprese di media e grande dimensione a proprietà familiare”in: “Strategia delle imprese familiar”, op. Cit.

Quando l’imprenditore è proprietario della totalità del capitale dell’impresa ( c.d. proprietà assoluta), il Consiglio di Amministrazione assume innanzitutto un ruolo equilibratore: può cioè stimolare l’imprenditore ad una maggiore consapevolezza e disciplina nella presa delle principali decisioni strategiche, equilibrarlo, quindi, nell’utilizzo del potere assoluto di cui dispone.

Tale ruolo viene svolto dal CdA in maniera più efficace di qualsiasi altro organo, in quanto il consigliere di amministrazione, al contrario, ad esempio, del semplice consulente, è autorizzato dalla legge ad esercitare la propria accountability nei confronti dell’imprenditore, e può formalmente ostacolarlo nella realizzazione di strategie nocive nell’ottica della crescita di lungo periodo.

Quando la proprietà sia invece composta da un insieme di soci tutti impegnati nella gestione dell’azienda, la difficoltà che può aver luogo è rappresentata dall’incapacità, da parte di questi ultimi, di distinguere in maniera accurata le questioni di governo dell’impresa da quelle più propriamente di gestione: il CdA assume allora, in tali casi, un ruolo di governo; la presenza di tale organo garantisce, infatti, che parte del tempo dei soci gestori sia dedicato al presidio di questioni tipicamente di governo quali la valutazione sistematica dei risultati, l’analisi degli investimenti, la valutazione dei collaboratori.

Un altro caso è quello in cui la gestione dell’azienda sia in parte affidata anche a manager esterni alla famiglia proprietaria: ecco allora che il CdA svolge il tipico ruolo di controllo, teso a evitare due fenomeni principali: l’incapacità, da parte dei manager, a gestire in maniera adeguata le funzioni cui sono preposti, e la tendenza ad estrarre benefici dall’impresa a favore di sé stessi.

Un’impresa familiare allargata, inoltre, può anche caratterizzarsi per la presenza di alcuni soci non coinvolti nella gestione. In tale situazione, spesso la fiducia di questi ultimi nei confronti dei soci gestori è massima, sicché non si avverte l’esigenza di un organo formale per incontrarsi e partecipare indirettamente al governo dell’azienda.

Tuttavia, tale partecipazione è fondamentale non soltanto per conoscere i risultati ottenuti nel corso della gestione, ma anche per la possibilità di influenzare i processi decisionali chiave dell’azienda e prendersene, dunque, la responsabilità. In questi casi si parla allora di ruolo partecipativo del Consiglio di Amministrazione: l’organo rappresenta infatti un’istituzione formale per partecipare al governo economico dell’impresa, maturare la conoscenza profonda di quest’ultima e scegliere, quindi, in maniera consapevole, chi dovrà essere preposto alla sua gestione.

Nel caso, infine, di compagini proprietarie allargate in cui i soci siano in conflitto tra loro, il CdA può svolgere il ruolo di facilitatore, garantendo cioè che i canali di comunicazione tra gli stessi soci rimangano sempre aperti, e che il conflitto sia fonte di decisioni più consapevoli e meditate senza portare, invece, all’impasse decisionale ed alla sterile volontà di prevalere gli uni sugli altri.

Va da sé, naturalmente, che per essere efficace il Consiglio di Amministrazione deve rispettare, anche nelle imprese familiari, tutte le buone norme tipicamente dibattute in letteratura e successivamente recepite dal sistema giuridico con il c.d. Codice di Autodisciplina: un numero

sufficiente di consiglieri esterni e indipendenti, dotati delle competenze più diversificate e di profonda conoscenza dell’impresa, almeno 6 o 7 riunioni annuali, l’invio con adeguato anticipo di tutta la documentazione necessaria per affrontare in maniera consapevole le singole riunioni, l’adozione di meccanismi di controllo per valutare, periodicamente, la rispondenza dell’organo rispetto alle esigenze di governo.

A tali condizioni, gli aspetti positivi del CdA sono ben noti nei modelli vincenti di imprenditorialità familiare.

E, al di là di qualsiasi teorizzazione, proprio questi aspetti sono talvolta espressi dagli stessi imprenditori con parole chiare e semplici:“Non mi piace l’unaminismo. E’ per questo che ho deciso di cambiare registro e adottare un Consiglio di Amministrazione composto in parte da membri esterni con competenze diverse che possano contribuire ad un confronto costruttivo”105.

 La gestione del passaggio generazionale come fonte potenziale di nuova imprenditorialità: il passaggio generazionale è tradizionalmente considerato come il principale anello debole106 delle imprese familiari, la ragione primaria che provoca, secondo l’opinione di alcuni,l’alto tasso di mortalità delle aziende in questione.

E il fatto che la maggior parte delle imprese familiari italiane non sopravviva alla terza generazione ha ulteriormente rafforzato tale convinzione.

Ancora una volta, non si può non ammettere che vi sono, anche nel panorama italiano, imprese che hanno superato più di un passaggio generazionale con successo, vere e proprie dinastie familiari che continuano a ottenere risultati eccezionali anche in generazioni successive alla prima107.

La criticità della successione generazionale è profondamente legata al ruolo fondamentale che nelle imprese familiari è svolto dalla famiglia proprietaria, a quel cordone ombelicale cui abbiamo precedentemente fatto accenno. E tale criticità emerge in tutta la sua chiarezza soprattutto con riferimento alpassaggio dalla prima alla seconda generazione: in tal caso, infatti, l’azienda non ha ancora superato iltest dell’assenza dell’imprenditore-fondatore108.

Si tratta del processo di transizione più critico per un’impresa familiare per almeno due ragioni.

In primo luogo, la forte identificazione degli imprenditori con l’azienda cui hanno dato vita li stimola a rimanere nella stessa più tempo possibile: i fondatori tendono pertanto a ritardare il passaggio generazionale e a non prepararlo, dunque, con il tempo e l’attenzione necessari.

In secondo luogo, la criticità è dovuta al fatto che, nelle prime fasi del ciclo di vita dell’impresa,l’imprenditore gestisce in prima persona tutto ciò che riguarda la strategia della

105Le parole sono di uno degli imprenditori intervistati nel corso della ricerca sul campione di imprese familiari italiane;

Cfr. Brunetti, Coda: “Ruolo e funzionamento dei Consigli di Amministrazione nelle imprese familiari”in: “Strategia delle imprese familiari”, op. Cit, pag. 183.

106 Guido Corbetta: “La gestione strategica del passaggio generazionale”in: “Strategia delle imprese familiari”,op.

Cit.

107Ne sono esempi la famiglia Marzotto, ormai giunta alla quarta generazione e pronta ad un nuovo ricambio, che ha costruito un Gruppo internazionale difficilmente criticabile per i risultati ottenuti fin dall’anno della fondazione, nel 1836; o, ancora, le famiglie Della Valle o Zegna che hanno superato con successo il terzo passaggio generazionale.

108Guido Corbetta: “La gestione strategica del passaggio generazionale”, op. Cit, pag. 245.

stessa, senza alcuna area delimitata di responsabilità e senza nessuna formalizzazione dei compiti: egli svolge per questo un ruolo portante per l’impresa e, soprattutto, globale; ciò che guida il suo operato è l’intuizione più che la competenza specialistica, è portatore di conoscenze tacite che difficilmente possono essere trasferite con strumenti e meccanismi standard.

La complessità del primo passaggio generazionale si spiega proprio per tale ruolo onnicomprensivo del fondatore che non può essere trasferito, in tutti i suoi aspetti, all’erede.

Dallo studio dei modelli vincenti di imprese familiari, due sembrano gli aspetti che dovrebbero essere adeguatamente presidiati per garantire la riuscita del processo di ricambio generazionale:

la creazione di un contesto che valorizzi l’imprenditorialità familiare109, e lagestione strategica del passaggio generazionale110.

Con la prima espressione si fa riferimento alla necessità, per le imprese familiari, di dar vita ad un contesto aziendale che permetta di trasferire ed arricchire l’imprenditorialità propria della famiglia da generazione in generazione.

A tal proposito, è stato osservato111 che le imprese familiari possono valorizzare l’imprenditorialità delle giovani generazioni attraverso due distinti modelli di sviluppo: quello della famiglia e quello della dinastia. Nel primo caso, si tende a formare i giovani successori alla leadership tenendoli separati da fratelli e sorelle, affidandogli, talvolta, aziende distinte nella convinzione che ciascuno di loro potrà meglio esplicitare le proprie capacità imprenditoriali solo affrontando diverse esperienze al di fuori del nucleo familiare. Nel secondo caso, invece, le giovani generazioni sono stimolate ad entrare nell’azienda familiare offrendole fin dall’inizio il loro contributo imprenditoriale, e soprattutto formandosi all’interno della stessa: la convinzione è in tal caso che le opzioni strategiche che si potranno presentare alla famiglia unita sono maggiori di quelle che si potrebbero manifestare a fratelli e sorelle separati.

In quest’ultima ipotesi, le imprese familiari evolvono fino a diventare, talvolta, Gruppi integrati di grandi dimensioni.

Quale che sia il modello scelto, la valorizzazione dell’imprenditorialità familiare richiede il trasferimento dei valori ispiratori alle giovani generazioni innanzitutto attraverso i fatti (ed eventualmente anche trascrivendoli in documenti formali), nonché l’adozione di adeguati meccanismi di Corporate Governance per assicurare la trasparenza della relazione tra famiglia e impresa.

Non sorprende che tra tali meccanismi rientri anche un efficace Consiglio di Amministrazione che si configura in tal senso come fonte primaria di disciplina, non soltanto con riferimento alle decisioni strategiche, ma anche e soprattutto nellagovernance dell’impresa.

Tali condizioni garantiscono che il ricambio generazionale avvenga in un contesto predisposto alla valorizzazione dell’imprenditorialità familiare.

109 Guido Corbetta e Vittorio Coda: “La valorizzazione dell’imprenditorialità familiare”in: “Strategia delle imprese familiari”, op. Cit.

110Guido Corbetta: “La gestione strategica del passaggio generazionale”, op. Cit.

111Guido Corbetta e Vittorio Coda, op. Cit.

Quanto alla gestione strategica del passaggio generazionale, essa implica l’adozione di alcuni accorgimenti112che ne aumentano le probabilità di riuscita.

La successione generazionale deve essere innanzitutto preparata con sufficiente anticipo, e gestita comeprocesso lungo.

Si tratta cioè di dedicare tempo e attenzione per valutare non soltanto le competenze tecniche dei potenziali successori, ma soprattutto le loro attitudini caratteriali e la loro predisposizione a gestire l’azienda.

Un leader di un’impresa familiare deve condividere i valori che stanno alla base della mission aziendale, avere un enorme spirito di sacrificio e, soprattutto, conoscere i propri limiti: l’umiltà appare infatti come la prima dote che permette di non cadere in trappole strategiche e di assumere manager esterni quando alcune competenze non siano espresse all’interno della famiglia

Un leader di un’impresa familiare deve condividere i valori che stanno alla base della mission aziendale, avere un enorme spirito di sacrificio e, soprattutto, conoscere i propri limiti: l’umiltà appare infatti come la prima dote che permette di non cadere in trappole strategiche e di assumere manager esterni quando alcune competenze non siano espresse all’interno della famiglia

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