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Possibili direttrici di crescita futura

CAPITOLO V: IL CASO 281 MARELLA FERRERA, L’ESEMPIO DI UN’IMPRESA FAMILIARE DI PICCOLE DIMENSIONI

5.4 Possibili direttrici di crescita futura

La mission dei marchi del lusso è solitamente definita come essere leader globali, ma di nicchia.

E’ questo, probabilmente, che manca a Marella Ferrera: la sua è un’impresa di nicchia, è che nella nicchia vuole rimanere.

L’aspettoglobale, che implica l’apertura di numerosi punti vendita, la declinazione delle variabili di posizionamento con riferimento ai singoli mercati internazionali, nonché, soprattutto, il sostenimento di ingenti investimenti che non possono derivare, di fatto, dai soli introiti degli abiti di Alta Moda, pongono alla stilista più dubbi che certezze.

“Come ho già detto, noi ci siamo sempre adeguati alle opportunità che nel tempo sono emerse; nei mercati arabi, ad esempio, sono stata cercata, non mi sono proposta; le buyers turche sono interessate a tutto ciò che è esclusivo e difficile da trovare: sono sorprendenti per la modernità dei loro consumi; ed il successo che continuo ad avere presso di loro mi porta sempre più a ritenere che la strada migliore sia questa: aspettare, valutare, non stressare l’impresa con scelte premature”.

E’ difficile, allora, poter esprimere un parere consapevole circa la crescita futura di questa impresa, che servirebbe, come sappiamo, in ottica di Sistema, prima ancora che ai due proprietari: e nel Sistema italiano sono migliaia i casi del genere, di aziende che, pur potendo crescere, non lo fanno perchéper adesso va bene così.

Abbiamo già sottolineato, inoltre, che l’aumento del fatturato o dei margini non rappresentano, in questo specifico caso, le uniche variabili da prendere in considerazione: dalle iniziative nei Musei, a quelle nelle gallerie, al progetto di Palazzo Biscari, la stilista fornisce un contributo fondamentale

Particolari di un abito della collezione “Hammam” 2007, affiancati al volto di un quadro di Ingrés, nel calendario 2007

al Sistema, di fronte al quale, l’essere classificata come proprietaria di una piccola impresa è cosa di poco conto.

C’è, tuttavia, una direzione che sembra doveroso consigliare: il nuovo ingresso nel prét-à-porter, che comporterebbe l’adozione di una strategia di penetrazione, affiancata a quella di consolidamento che si sta perseguendo al momento attuale; l’esperienza negativa con i primi partner non può e non deve trasformarsi in un ostacolo alla penetrazione di un mercato più ampio, ma piuttosto fonte di prezioso apprendimento per il futuro.

E’ inutile precisare, per contro, che date le specificità del prodotto e la sua esclusività, strategie di estensione di linea (ad esempio la produzione di abbigliamento uomo o bambino) o estensioni di marca ( come la produzione, in licenza, di occhiali), dovranno essere attentamente valutate per non diluire l’identità del brand, comportandone la massificazione; c’è, tuttavia, una direzione in tal senso che attrae Marella: le è stato richiesto, infatti, già più volte, di curare progetti di arredamento, di cui uno è stato anche pubblicato sulla rivista “Interni”.

“E’ proprio quello che farò all’interno del Museo; i mobili, secondo me, sono il vestito della casa, e la casa è un corpo; per ora, quindi, l’idea mi attrae: non vedo perché no”.

E, a ben vedere, l’estensione nell’arredamento si configurerebbe, anche in tal caso, come una delle strade caratterizzate dal più alto livello di coerenza con le specifiche del prodotto: non ne diluirebbe l’esclusività, in quanto darebbe luogo a progetti di elevatissimo prestigio, rivolti, sostanzialmente, allo stesso target di clientela degli abiti di Alta Moda.

Il successo ottenuto anche con le collezioni di prét-à-porter, e la capacità di non arrendersi dimostrata dalla stilista nei periodi più critici, sono segni concreti di una base solida, e sostenibile, su cui può poggiare la crescita futura: è il serbatoio di imprenditorialità che caratterizza le aziende familiari piùbelle295; è Marella e suo marito, la loro collaborazione con i membri di tutta la famiglia, la loro costante promozione della cultura siciliana.

Conclusioni

Il caso di Marella Ferrera ci ha permesso di arricchire ulteriormente gli elementi alla base della nostra analisi. Alcuni aspetti dell’attività della stilista richiamano, come abbiamo visto, fattori precedentemente illustrati a proposito delle imprese familiari e del Sistema Moda; altri, invece, risultano nuovi: l’inevitabile declinazione della teoria applicata alla pratica configura, in effetti, situazioni molto più eterogenee di quelle classificabili con strumenti teorici; le mille sfaccettature della realtà mettono in dubbio, talvolta, quello che si afferma quando non si ha una testimonianza concreta.

Tre sono, in particolare, gli aspetti emersi tramite l’analisi del caso che è doveroso richiamare, in quanto basi fondamentali per sviluppare le conclusioni finali del lavoro:

295 Sono le parole utilizzate da Vittorio Coda e Guido Corbetta, in : “La valorizzazione dell’imprenditorialità familiare”,in: “Strategia delle imprese familiari”, op. Cit, pag. 91.

 Il ruolo portante della proprietà nel determinare le strategie e le direzioni di crescita di un’impresa familiare: l’esperienza di Marella, e le parole con cui lei stessa illustra tutte le scelte che sono state finora compiute, rappresentano la più potente dimostrazione del ruolo centrale dell’imprenditore nell’orientare il percorso di sviluppo che l’azienda sosterrà, e, con più specifico riferimento ad un’impresa di Moda, nel porsi come garante primario dell’identità di marca e dell’esclusività del prodotto.

 La coerenza e la continuità che, in termini di identità stilistica, distributiva e d’immagine è automaticamente garantita quando a capo dell’azienda vi siano pochi membri, tutti appartenenti alla medesima famiglia.

 La multidimensionalità del concetto di crescita: la riflessione sulle esperienze interdisciplinari di Marella, e sul suo attaccamento al territorio natale costantemente valorizzato, permette di pensare alla crescita attraverso nuove, e soprattutto più numerose, lenti di interpretazione. In particolare, si deve fare molta attenzione al seguente schema:

l’azienda è fatta per crescere, per dare così un contributo all’intero Sistema Paese ed alla sua competitività. Tuttavia: esiste un solo modo, o, potremmo dire, un solo linguaggio ( quello finanziario) per valutare tale contributo?

Queste saranno le basi che ci guideranno nella parte conclusiva del lavoro.

Grazie ad un substratum ampio e multidimensionale, potremo adesso rispondere alla domanda chiave di questo lavoro: la proprietà familiare rappresenta ancora un modello vincente per la competitività del Made in Italy?

Andiamo dunque alle conclusioni, per argomentare una risposta quanto più possibile chiara e consapevole.

CONCLUSIONI

La parte conclusiva del lavoro ha l’obiettivo di presentare in modo quanto più possibile sintetico e sistematico gli aspetti che dall’analisi sono fin qui emersi, unendo, in particolare, i contributi derivanti dall’interpretazione delle teorie, con quelli relativi, invece, al caso empirico che abbiamo presentato.

E’ innanzitutto necessario comprendere a che punto siamo arrivati: quali linee conclusive possiamo trarre dagli argomenti affrontati nei diversi capitoli del lavoro?

Il primo capitolo ha messo in luce le caratteristiche generali del capitalismo familiare.

Sono due i concetti che occorre richiamare per procedere all’elaborazione di una conclusione:

 I punti di forza e debolezza della proprietà familiare.

 Come tali aspetti possono accelerare o rallentare lo sviluppo dell’impresa familiare che compete, in particolare, nel Sistema Moda.

Quanto al primo argomento, si propone una tabella di sintesi:

Tabella 6: I punti di forza e di debolezza della proprietà familiare

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

 Continuità della gestione

 Prospettiva di lungo periodo

 Flessibilità organizzativa

 Attaccamento all’azienda

 Scarsa managerializzazione

 Basse riserve di capitale

 Dimensioni ridotte

Fonte: Elaborazione personale

A fronte di vantaggi di cui l’impresa familiare può beneficiare rispetto altri modelli, e che derivano tutti, in via primaria, dal ruolo stesso della proprietà (e, in particolare, dell’imprenditore) in tali tipologie di aziende, vi sono svantaggi che possono senza dubbio comprometterne la competitività:

la resistenza opposta nei confronti di manager esterni, la resistenza all’indebitamento che determina, di norma, basse riserve di capitale rispetto alle imprese non familiari nonché una scarsa collaborazione con gli intermediari finanziari, le dimensioni ridotte, in termini, innanzitutto, di personale impiegato.

Quest’ultimo aspetto, tuttavia, è tipico del modello familiare italiano, e solo di questo: abbiamo visto come la proprietà familiare, di per sé, non rappresenta un ostacolo alla crescita dimensionale.

Il caso Mariella Burani ci ha permesso, in particolare, di mettere in luce le condizioni in base alle quali un’impresa controllata da una singola famiglia può comunque raggiungere la grande dimensione, attraverso processi integrati di crescita organica e crescita tramite acquisizioni.

E ad ulteriore riprova di ciò, abbiamo anche constatato la presenza, all’estero, di aziende o Gruppi di notevoli dimensioni guidati da una o più famiglie proprietarie.

Per comprendere come tali vantaggi e svantaggi tipici della proprietà familiare in Italia possono trasformarsi in opportunità o minacce per l’azienda che compete nel Sistema Moda, possiamo fare riferimento alla seguente illustrazione sintetica:

Tabella 7: I punti di forza e di debolezza della proprietà familiare e le loro conseguenze con specifico riferimento al Sistema Moda

OPPORTUNITA’ PER LO SVILUPPO MINACCE ALLO SVILUPPO

Continuità della gestione e attaccamento all’azienda

Custodia dell’identità di marca e coerenza delle strategie a sostegno della stessa

Prospettiva di lungo periodo

Propensione agli investimenti continuativi in capacità produttiva e promozione del marchio

Flessibilità organizzativa

Risposta veloce ai cambiamenti nel mercato e ai gusti dei consumatori

Scarsa managerializzazione

Carenza di competenze specifiche nelle funzioni di licensing , controllo gestione, retailing, marketing

Basse riserve di capitale

Minori investimenti per l’internazionalizzazione o l’integrazione a valle.

Dimensioni ridotte

Svantaggi competitivi rispetto ai Gruppi esteri

Fonte: Elaborazione personale

La marca rappresenta, come abbiamo visto, l’asset più importante per l’impresa di Moda: la custodia della sua identità e la coerenza nelle strategie che vengono intraprese a suo sostegno, garantiti quando la direzione dell’azienda sia affidata a membri appartenenti alla medesima famiglia proprietaria, costituiscono, dunque, la prima e più importante opportunità di crescita sostenibile per l’impresa familiare di Moda.

A ciò si aggiunga che la prospettiva di lungo periodo, approccio tipico dei family businesses, determina una maggiore propensione a tutti quegli investimenti che richiedono lunghi tempi per mostrare dei ritorni ( quali gli investimenti in marketing, solitamente sacrificati nelle imprese quotate a causa della prospettiva di breve termine tipica degli azionisti296), o che devono essere stanziati in maniera costante nel tempo, e non una tantum.

Altra caratteristica vincente della proprietà familiare è poi rappresentata dalla flessibilità organizzativa: le piccole dimensioni e l’assenza di numerosi livelli gerarchici rendono tali imprese più reattive ai cambiamenti esterni, ed in grado di adattarvisi molto più velocemente.

Tutti tali aspetti configurano, dunque, i lati positivi del modello, che potrebbero di per sé portare a risultati estremamente favorevoli se non fossero tuttavia minati nella loro potenzialità dagli svantaggi della proprietà familiare.

296Per approfondimenti sul tema si può consultare: Busacca, Keller, Ostillio: “La gestione del brand”,op. Cit.

Tali svantaggi non sono altro, a ben vedere, che lati opposti della stessa medaglia, le conseguenze derivanti da quelle medesime positività dell’impresa familiare: la continuità nella gestione e la cura per l’identità del marchio possono determinare, infatti, la resistenza a manager esterni per il timore che tali soggetti non sentano altrettanta responsabilità nei confronti della marca.

Allo stesso modo, la prospettiva di lungo periodo e l’attenzione alla crescita finanziaria sostenibile sono spesso causa di bassissimi livelli di indebitamento, che non permettono di disporre di risorse finanziarie aggiuntive per la crescita.

Infine, la piccola dimensione, se da un lato è fonte di estrema flessibilità organizzativa, dall’altro non rende tali aziende competitive nel contesto internazionale, quando siano poste a confronto con concorrenti di dimensioni e risorse molto più elevate.

Quello che si richiede agli imprenditori familiari è, in altre parole, la capacità di gestione di delicati trade-off: occorrerà comprendere su quali aspetti è giusto mantenere un saldo controllo da parte della direzione familiare e su quali, invece, è giusto delegare a chi ha competenze specifiche, nonché quale sia la combinazione ottimale tra risorse proprie e risorse esterne.

Unendo dunque le considerazioni fin qui emerse con le principali conclusioni del secondo capitolo, relativo all’analisi del Sistema Moda, è necessario chiarire come il modello familiare, con tutte le sue forze e le sue debolezze, può servire per sostenere la competitività del Made in Italy.

Spostandoci dalla prospettiva micro dell’impresa a quella macro del Sistema Moda, é necessario cioè chiedersi: date la cause della crisi, e stante il fatto che i fattori critici che hanno determinato il successo del nostro Sistema negli anni settanta non sono più sufficienti per garantirne la superiorità anche adesso, in cosa deve essere ripensato il modello della proprietà familiare dal punto di vistastrategico?

Proprio l’ottica strategica è quella che, in effetti, ci ha portato ad identificare letre A come principali linee guida che potrebbero orientare gli assetti futuri del Sistema Moda italiano per risollevarne e mantenerne la competitività.

E proprio da tale modello possono derivare le prime riflessioni sulle direttrici future più idonee affinché le imprese familiari continuino a rappresentare un modello vincente per il Made in Italy:

sapranno esse mantenere la cultura artigianale del prodotto e, allo stesso tempo, garantire l’innovazione nelle tecniche produttive? Sapranno dar luogo ad opportune alleanze all’interno della filiera, con manager esterni e con gli intermediari finanziari per disporre, in ogni momento, delle risorse e competenze critiche per crescere? Sapranno, infine, presidiare tutte le fasce del mercato, non lasciandosi tentare dalla possibilità di competere solo sulla qualità o solo sul prezzo, e adottare, invece, strategie ibride per presidiare anche la fascia media della piramide? Sapranno, cioè, custodirel’asimmetria e la diversità del Sistema?

Se lo sapranno fare, un successo futuro è garantito almeno in termini strategici.

Ma c’è un’altra “porzione” della realtà aziendale cui è necessario prestare attenzione per valutare le potenzialità attuali e future del modello familiare: si tratta dell’assetto proprietario, da cui derivano, in via primaria, risorse disponibili e direzione negli orientamenti strategici.

Una volta chiariti quali tali orientamenti debbano essere, una domanda ulteriore è: quale asseto proprietario garantisce massimamente la loro realizzazione? L’assetto a Gruppo, la quotazione in borsa, l’apertura del capitale a soggetti esterni in ottica temporanea?

Sono queste le domande cui dovremmo essere in grado di rispondere alla luce delle conclusioni emerse nel terzo e nel quarto capitolo.

Con riferimento all’assetto a Gruppo, in particolare, nel terzo capitolo abbiamo evidenziato i vantaggi e gli svantaggi che, nell’ottica degli azionisti del Gruppo stesso, dell’impresa acquisita, nonché del consumatore, sono correlati a tale modello.

Le conclusioni cui siamo giunti si basano sulla distinzione tra il successo in chiave economica, che è, per l’impresa acquisita, garantito a condizione che l’acquirente conosca le specificità dell’azienda e sappia gestire in maniera coerente la fase di integrazione, dal successo in chiave simbolica, che attiene alla dimensione dell’identità di marca dell’impresa e, in particolare, della continuità nella suaidentità stilistica.

L’analisi svolta in tale direzione ci ha condotto ad affermare che, se l’acquisizione da parte di una realtà più grande, che dispone di risorse e competenze ulteriori rispetto quelle accessibili alla singola azienda, può determinare, da un lato, l’ottenimento di risultati quali il più elevato carattere internazionale, l’apertura di numerosi monomarca, maggiori investimenti in comunicazione e promozione del marchio, essa può comportare tuttavia importanti svantaggi in termini organizzativi, nella misura in cui l’impresa, inserita in un contesto più formale e burocratico, perda parte della sua flessibilità, ma soprattutto in termini di identità: il rischio è, in altre parole, che la nuova proprietà non comprenda e non valorizzi l’identità della marca come sono invece in grado di fare i membri familiari, per il fatto stesso di averla generata.

E tale considerazione deve essere ritenuta valida, almeno nell’opinione di chi scrive, anche quando alla direzione stilistica dell’impresa rimanga il designer originario: in tal caso, infatti, pur essendo le scelte stilistiche controllate da un soggetto che conosce il prodotto, le sue peculiarità, la sua storia, vi è tuttavia il rischio, quando egli non sia più azionista di controllo, che altre iniziative, più propriamente strategiche e gestionali, vengano intraprese per ragioni puramente finanziarie e possano minare, dunque, la sostenibilità di lungo periodo del brand.

Sono proprio tali riflessioni che ci hanno permesso di mettere in luce, nel capitolo quarto, i vantaggi dell’apertura del capitale ad un fondo di Private Equity rispetto l’ipotesi della cessione ad un’altra azienda o Gruppo.

I Fondi, come si è visto, operano con l’obiettivo di dare un supporto finanziario e gestionale alle piccole imprese: acquisiscono partecipazioni in via temporanea, e l’aumento del valore dell’impresa, necessario affinché il Fondo realizzi un capital gain con la cessione della partecipazione, diventa la più ampia garanzia circa l’impegno che guida il loro intervento.

Quando poi tali soggetti siano, come nel caso del Fondo Camelot, specializzati nei settori Moda e Lusso, il valore aggiunto delle loro partecipazioni è massimo: la conoscenza delle specificità del prodotto, unita alla sensibilità nel trattare con realtà in cui, di norma, vi è una grande competenza stilistica ma scarsa cultura manageriale, garantiscono un supporto concreto alla crescita dell’azienda senza scalfirne l’identità della marca.

E a ciò occorre aggiungere anche i vantaggi che l’impresa ottiene in termini di apprendimento e arricchimento delle proprie competenze: nei casi di maggior successo, come è stato evidenziato anche dal Dott. Sandri, la collaborazione con l’imprenditore è affrontata in ottica di partnership; il team del Fondo non si sostituisce allo stesso, ma lo affianca ampliando le sue prospettive e, nel caso di impresa familiare, quelle di tutti i membri impegnati nella gestione.

Le riflessioni sviluppate in questi due ultimi capitoli hanno dunque reso più completo il quadro d’analisi, aumentando, in particolare, il numero di variabili da prendere in considerazione per cogliere ilvalore aggiunto della proprietà familiare.

Il caso Marella Ferrera, nel capitolo conclusivo, ha invece messo in luce aspetti precedentemente non considerati, o interpretabili, comunque, in maniera diversa, alla base di una testimonianza diretta, di un’esperienza concreta.

Tra tali aspetti, assume particolare rilevanza il tema che avevamo anticipato nelle conclusioni al primo capitolo, ovvero lamultidimensionalità della crescita.

Il nocciolo della questione può essere così espresso: stando alle classificazioni più tradizionali quella di Marella è un’impresa piccola; abbiamo visto che i primi passi verso la managerializzazione ed il salto dimensionale si sono interrotti per esperienze negative, e valuteremo, in tale sede, che errori sono stati compiuti e, soprattutto,se ne sono stati compiuti.

A livello di Sistema, sappiamo anche che il problema della crescita e della dimensione ridotta delle nostre aziende rappresenta il tipico tallone di achille del modello italiano, questione che ha poi condotto all’assunto implicito della letteratura manageriale e finanziaria: l’impresa è fatta per crescere, in quanto solo crescendo può dare un contributo alla competitività del sistema paese.

Ancora più implicita è poi l’assunzione relativa alla dimensione prettamente finanziaria della crescita: crescita vuol dire fatturato crescente, dimensioni crescenti, proprietà allargata.

Per noi, tuttavia, che ci siamo sforzati di sostenere un punto di vista più ampio, diventa d’obbligo la domanda: ma la crescita dimensionale e finanziaria è l’unico approccio in base al quale valutare il contributo di un’impresa?

Dopo aver chiarito cosa significa crescere, il tema si ricollegherà poi a quelli precedentemente trattati nella questione, ancora più complessa:la proprietà familiare rappresenta ancora un assetto idoneo per sostenere la crescita dell’impresa ed il suo contributo al sistema in tutte le sue dimensioni?

Per evitare di dare risposte astratte, che poco o nulla possano essere poi applicate alla realtà concreta, è proprio dal caso empirico che dobbiamo partire: dall’esempio di Marella Ferrera.

Dopo aver individuato le molteplici dimensioni della crescita con riferimento specifico ad un’impresa familiare di Moda, le persone ed i processi che garantiscono la realizzazione della crescita in tutti tali aspetti, tracceremo un percorso ideale di sviluppo futuro da applicare al caso Marella Ferrera.

Data l’elevata rappresentatività dell’azienda di Marella nel panorama attuale del Sistema Moda

Data l’elevata rappresentatività dell’azienda di Marella nel panorama attuale del Sistema Moda

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