CAPITOLO V: IL CASO 281 MARELLA FERRERA, L’ESEMPIO DI UN’IMPRESA FAMILIARE DI PICCOLE DIMENSIONI
5.2 Il Sistema Impresa-Famiglia: la continuità con l’attività sartoriale dei genitori e la crescita dell’azienda
5.2.1 Le caratteristiche dell’assetto proprietario: le risorse e le criticità dell’impresa familiare domestica
Se riprendiamo le variabili che abbiamo precedentemente considerato per la definizione dell’impresa familiare, ovvero: il modello di proprietà, la composizione del management, la dimensione dell’organico dell’impresa, possiamo così rappresentare l’evoluzione della Marella Ferrera nel tempo:
Figura 13: L’evoluzione dell’assetto proprietario e di governo della Marella Ferrera
Fonte: Elaborazione personale
E’ possibile scandire, dunque, tre tappe principali.
I primi dieci anni di attività, sono caratterizzati da dimensioni molto piccole ( circa 10 dipendenti), una proprietà familiare chiusa e stretta, in quanto solo due familiari ( Marella ed il marito) detengono il capitale dell’impresa, e la presenza esclusiva dei due coniugi nei ruoli di gestione e di governo. La tappa che segna una prima modificazione della struttura manageriale dell’azienda è l’accordo con Erreuno, firmato nel ’99, che comporta, seppur nella forma “soft” del rapporto di licenza, la delega delle responsabilità produttive e distributive relative alle linee di prét-à-porter a manager esterni, provenienti dal mondo dell’industria organizzata.
A tal proposito, è opportuno richiamare quanto avevamo notato sulla managerializzazione delle imprese familiari: si tratta di un processo, come anche questo caso dimostra, estremamente lento e che non si verifica mai, in maniera scandita, con l’assunzione di veri e propri manager posti a capo di funzioni specifiche; soprattutto le imprese di prima generazione, infatti, si caratterizzano per il ruolo centrale dell’imprenditore in tutto ciò che riguarda il business: la crescita manageriale
Dimensioni piccole
CdA e management difamiliari Proprietà stretta
Dimensioni piccole
Proprietà stretta
CdA di familiari e management misto
Anni 2000-2004
Dimensioni piccole
CdA e management di familiari
Proprietà stretta
Anni 2004-2007 Dalla fondazione
(anni ‘80) al ‘93
si verifica, allora, tramite un processo di delega molto lento, e che non determina, in ogni caso, il trasferimento totale delle responsabilità direttive alle figure esterne ( ecco perché si parla, per riferirsi ai collaboratori esterni delle imprese familiari di prima generazione, di “quasi-manager”).
Tale fenomeno è ben rintracciabile anche nel caso di Marella Ferrera, che, in quanto impresa di Moda, ha percorso i primi passi verso la crescita dimensionale e organizzativa attraverso il rapporto di licensing, come avviene, tipicamente, per i marchi ancora non consolidati287.
Il processo di crescita è poi proseguito, con ritmi abbastanza intensi, nei primi anni del 2000: la consulenza fornita da Pambianco ha comportato, come abbiamo visto, un aumento del grado di formalizzazione della struttura organizzativa, ed una delega ancora più accentuata a figure esterne inserite nei ruoli direttivi chiave per le linee di prét-à-porter: ecco perché è possibile affermare, ricollegandoci alle classificazioni precedentemente illustrate, che l’azienda, da domestica, ha cominciato ad assumere le caratteristiche delle imprese familiari tradizionali, con un organico che rimaneva ancora limitato alla cinquantina di unità ( considerando anche il team esterno), ed una direzione in parte delegata a soggetti esterni.
Tale processo, che poteva continuare fino al raggiungimento di un vero e proprio salto dimensionale , si è invece bloccato per i problemi riscontrati con l’interlocutore industriale: Marella ha abbandonato, almeno per il momento, le produzioni di prét-à-porter, ed è tornata a operare esclusivamente a Catania impiegando, nuovamente, un numero limitato di dipendenti e nessun manager esterno preposto a funzioni direttive.
Questa evoluzione, che rispecchia pienamente la logica di tipo “trials and errors” con cui gli imprenditori intraprendono le prime iniziative di crescita dimensionale e strategica, dimostra anche le mille sfaccettature che può avere la realtà concreta rispetto la teoria: prima di affrontare il critico passo della managerializzazione funzionale ( cui corrisponde, come abbiamo visto, una delega ampia di responsabilità) è molto probabile che il processo di crescita si arresti, e non per forza definitivamente, per poi riprendere di nuovo.
In tal senso, se dovessimo fotografare in questo momento l’azienda di Marella Ferrera, la definiamo domestica sulla base delle tre variabili prima citate: ciò non esclude, come le stesse parole della stilista lasciano intravedere, che nel momento in cui si dovesse presentare una nuova opportunità, questa potrebbe essere intrapresa dando luogo ad un nuovo “inizio” di managerializzazione e di crescita dimensionale.
Le esperienze che abbiamo illustrato dimostrano, inoltre, un altro fenomeno tipico di crescita delle imprese familiari: la struttura organizzativa si è, infatti, adeguata in tutto e per tutto alla strategia, e non viceversa; come afferma la stessa Marella: “non è stata presa nessuna decisione, relativamente all’organizzazione della nostra impresa, che non derivasse da esigenze che abbiamo avvertito dall’esterno, dal mercato”; queste “esigenze” altro non sono se non le c.d opportunità emergenti, che necessitano, come sappiamo, di un’attentissima selezione prima di essere sfruttate.
287Stefania Saviolo, Barbara Giannelli: “Il licensing nel sistema moda”, ed. Etas, 2003.
Proprio nella selezione “critica” degli input che provengono dall’esterno, è allora possibile rintracciare l’anello che spesso si “intoppa” determinando l’arresto del processo di crescita: fattori quali l’effettiva competenza di eventuali interlocutori o partner, la loro capacità di comprendere di cosa effettivamente l’azienda abbia bisogno per crescere in una direzione sostenibile alle sue specificità, sono tutti elementi che, se mal valutati, possono determinare una crisi della crescita dimensionale.
E l’esperienza di Marella Ferrera dimostra quanto sia difficile tale valutazione iniziale, che altro non è se non un difficoltoso processo di apprendimento gestionale e strategico.
In tal caso, tuttavia, non ha avuto luogo un atteggiamento preventivo nei confronti della delega e del decentramento: le tradizionali resistenze al cambiamento ed alla crescita non hanno bloccato i tentativi iniziali, e le parole della stilista dimostrano, al contrario, un coraggio encomiabile nel proseguimento dei rapporti con la grande industria, dopo che una prima esperienza negativa si era già verificata e poteva, in quanto tale, giustificare fin dal 2002 l’uscita dal mondo del prét-à-porter.
Volendo dunque rintracciare, in questa preziosa testimonianza, le risorse e le criticità della proprietà familiare stretta, emergono diversi punti che richiamano, in parte, quanto precedentemente argomentato.
L’attaccamento all’azienda, concepita in tal caso come ideale proseguimento dell’attività sartoriale dei genitori, rappresenta un primo aspetto caratterizzante, tipico, come abbiamo visto, del capitalismo familiare; ma quello che emerge con maggiore rilevanza riguarda la concezione dell’impresa nella sua valenza sociale e sistemica, prima ancora che individuale; l’Atelier di Marella Ferrera è, a Catania ed in tutta la Sicilia, una vera e propria istituzione; non soltanto le creazioni della stilista, sia i capi da sposa che quelli di alta moda, sono considerati come pezzi immancabili nel guardaroba delle donne appartenenti a famiglie con status elevato, secondo una tradizione che non si è mai interrotta, di fatto, dagli anni ’60, ma anche i progetti portati avanti per promuovere la cultura e la bellezza della sua terra natale, nelle collezioni presentate alle sfilate romane come negli “abiti-monumento”, ne hanno determinato il “titolo” di vera e propria ambasciatrice della Sicilia.
Il legame con il territorio natale, che, come abbiamo visto, raramente si interrompe anche nei casi di maggiore crescita dimensionale, rappresenta dunque un altro aspetto caratteristico della Marella Ferrera, che assume anzi una rilevanza estrema date le dimensioni ridotte dell’impresa ed il mantenimento di tutte le sedi operative nello stesso territorio.
Le opinioni maturate dalla stilista a proposito dei rapporti intrapresi con le due società industriali, hanno messo in luce un'altra risorsa dell’impresa familiare di Moda, che è massima nelle realtà più piccole, e diminuisce all’aumentare delle dimensioni e, quindi, della formalizzazione: laflessibilità nei processi decisionali; quelquarto d’ora cui faceva riferimento Marella, che diventa, talvolta, una giornata intera quando i soggetti devono riportare ad un numero infinito di altre persone, ha un valore, in termini di reattività ed efficienza, che difficilmente si riesce ad immaginare se non tramite l’esperienza diretta; e proprio da tali differenze sono derivate le perplessità, sempre più concrete,
circa l’effettiva convenienza a proseguire tali rapporti; come osserva Marella: “se avessi dovuto seguire fin dall’inizio le logiche burocratiche che caratterizzavano quelle aziende, non avrei fatto nulla di quello che ho fatto, o almeno non nei tempi in cui l’ho fatto.”
Come sappiamo, tuttavia, la flessibilità deriva, nelle imprese familiari di piccole dimensioni, dall’esiguità stessa dei portatori di interesse: il non dover rendere conto ad alcun soggetto esterno al di fuori della proprietà familiare permette di prendere le decisioni in maniera veloce ed efficace, ma con un alto rischio di errore; e proprio a partire da tali considerazioni che abbiamo precedentemente illustrato l’importanza di un Consiglio di Amministrazione anche nelle realtà più piccole, dove l’organo, essendo dotato di un potere diretto di influenza sulle decisioni dell’imprenditore, assume un ruolo di “equilibratore”: può stimolare ad una maggiore consapevolezza nella presa delle decisioni, ed equilibrare, dunque, il potere assoluto di cui dispone, oltre che permettere una separazione più formale tra le attività di gestione, e quelle più propriamente di governo.
Una criticità che sarebbe possibile rintracciare nel caso Marella Ferrera è allora relativa all’assenza di un organo del genere: il CdA “simbolico” è infatti composto dalla stilista e da suo marito; ma anche su tale aspetto è necessario considerare le ragioni che spingono, questa come altre imprese familiari di ridotte dimensioni, a non adottare una struttura formalizzata in tal senso;
tra i motivi che sono stati elencati da Marella non compare, infatti, la paura di perdere il controllo, o quella di appesantire la struttura con inutili meccanismi burocratici: è una ragione molto più a monte, relativa alla totale complementareità che la stilista avverte tra lei ed il marito: “l’equilibrio, nella gestione così come nel controllo, deriva da entrambi; mio marito sa perfettamente, e lo ha dimostrato più volte, come “equilibrare” delle scelte che io non ho attentamente valutato, ed io faccio lo stesso con lui; non credo che l’assenza di un Consiglio di Amministrazione sia necessariamente sintomo di “non voler rendere conto”: noi rendiamo conto, indirettamente, tramite la responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri dipendenti, delle nostre famiglie, delle clienti e della città intera”.
A tali osservazioni, occorre aggiungere che la mancata managerializzazione dell’impresa, che non si rapporta, allo stato attuale dei fatti, a soggetti esterni per le responsabilità strategiche, rende molto difficile l’idea di un Consiglio di Amministrazione composto da soci non familiari: è una tappa, semmai, che va realizzata in un momento successivo, quando la maturità dell’impresa e dei suoi proprietari rendono tale passo opportuno, se non addirittura necessario.
C’è un altro aspetto della Marella Ferrera che richiama una delle condizioni fondamentali alla base della crescita delle imprese familiari: l’internazionalizzazione.
Già prima del 2000 gli abiti di Marella cominciano ad essere venduti, oltre che in Italia, in Francia, Paesi Bassi, ma soprattutto nei mercati arabi: Kuwait, Taiwan, Libano, Turchia, attraverso una rete di agenti in esclusiva e di buyer che arrivano direttamente nell’Atelier di Catania; si tratta, com’è facile intuire, di un aspetto che potrebbe sembrare sorprendente per un’impresa di tali dimensioni:
e invece la precoce internazionalizzazione, che avviene, talvolta, anche prima della saturazione
del mercato domestico, è, come abbiamo notato, una caratteristica molto frequente di aziende familiari anche piccole, ma destinate, proprio su tale base, a penetrare un buon numero di mercati esteri.
Se dall’analisi della singola impresa di Marella ci spostiamo a quella dell’intero sistema Famiglia-Impresa, includendo, in altre parole, l’Atelier storico dei genitori nonché lo “Studio Ferrera” di Gabriella, è possibile rintracciare, come prima accennavamo, un percorso di sviluppo definito di tipo imprenditoriale piuttosto che dinastico288: mentre quest’ultimo si caratterizza, infatti, per la decisione dei figli di un imprenditore di lavorare all’interno dell’azienda dei genitori, e contribuirne, dunque, alla crescita, il modello imprenditoriale ha luogo quando i figli intraprendono le loro singole attività, separati da fratelli e sorelle, facendo tesoro in maniera indiretta dell’apprendimento maturato e delle possibili collaborazioni; e tale scelta, come abbiamo visto, è in parte giustificata dalla valutazione di Marella circa possibili scontri che si potrebbero creare all’interno della stessa famiglia quando alle aspirazioni dell’uno non corrispondono quelle dell’altro.
Tale osservazione ci permette, in effetti, di riflettere su un altro aspetto relativo al profilo imprenditoriale della stilista: si tratta della capacità di vision; se apparentemente, infatti, non sembra essere rintracciabile, almeno dalla testimonianza diretta, quel fattore che abbiamo denominato come progetto imprenditoriale ispirato alla crescita, proprio un’aspirazione del genere emerge, secondo l’opinione di chi scrive, da altri elementi, più intangibili.
Nel dar vita al proprio progetto, che si nutre delle collaborazioni dei familiari senza poggiare totalmente sulle stesse, nel coraggio dimostrato per portare a termine delle consegne che altri avrebbero reputato impossibili, Marella mostra di concepire la crescita della sua impresa in maniera molto più ampia, e trasversale, potremmo dire, rispetto a quanto può essere misurato da semplici dati di fatturato o di organico.
La promozione della cultura siciliana, le iniziative interdisciplinari tra Moda, Arte e teatro (la stilista è stata infatti più volte costumista per il Teatro Stabile di Catania ed il Massimo di Palermo) rientrano a pieno titolo nel suo progetto di crescita, che va intesa in tutti i sensi come progresso culturale prima ancora che dimensionale, e come un contributo personale che l’artista costantemente si impegna a dare alla città di Catania, prima, ed alla Sicilia tutta; si avverte, parlando con Marella, una sensazione di chiarezza estrema circa le prospettive future dell’impresa che, ancora in fase di consolidamento, “è sana ed ha un’anima”, e che i suoi custodi non hanno alcuna intenzione di “stressare, o di far soffrire”, per raggiungere cifre record da bollettino finanziario.
Come vedremo, tale concezione è il risultato, ed insieme la causa, delle stesse creazioni di Marella: i suoi abiti e la sua Moda.
Ed è proprio del prodotto che dobbiamo occuparci, per completare il quadro di questo prezioso esempio.
288 Guido Corbetta, Vittorio Coda: “La valorizzazione dell’imprenditorialità familiare”in: “Strategia delle imprese familiari”, op. Cit.