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Le cause esterne: concorrenza e imitazione

CAPITOLO II: IL SISTEMA MODA: UN CLUSTER AGGREGATO DI DIVERSI SETTORI

SISTEMA MODA

3. Benefici legati alla competitività: l’efficienza produttiva connessa all’abbattimento di molti costi logistici, la qualità del prodotto garantita dalle lavorazioni artigianali e l’imprenditorialità

2.3 La crisi del Made in Italy: cause e possibili soluzioni strategiche

2.3.2 Le cause esterne: concorrenza e imitazione

Gli aspetti di debolezza del Sistema Moda italiano, precedentemente sintetizzati in alcune cause interne della crisi, hanno reso il nostro modello molto più vulnerabile nella competizione internazionale: in una relazione concorsuale, ai fattori interni se ne sono aggiunti alcuni esterni, facilitati, tuttavia, da criticità endogene che rappresentano i primi aspetti su cui è necessario intervenire.

Quali sono, dunque, le cause esterne che hanno contribuito alla crisi?

In definitiva, una183: la concorrenza portata avanti dai paesi a basso costo di manodopera, e, più precisamente: Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud, Thailandia e Indonesia.

Gli effetti negativi di tale fenomeno possono essere distinti in due grandi categorie:

a) Concorrenza nelle esportazioni: dal 1998 al 2002, la Cina ha guadagnato, con riferimento ai settori design-based184:

 8 punti percentuali nell’export di occhiali

 24 punti percentuali nell’export di mobili

 32 punti percentuali nell’export di calzature

Dal 1999 al 2004, l’Unione Europea è passata da una quota di export mondiale di prodotti tessili e di abbigliamento del 32,8% ad una del 30,9%, e l’Italia, in particolare, che detiene ancora la posizione di leadership europea, ha visto ridurre la propria quota di export nello stesso periodo dal 7,6% al 7,3%.

L’Asia Orientale, invece, ha incrementato le esportazioni di tessili e abbigliamento, che già si attestavano ad una quota del 40,8% nel ’96, al 42,2% del 2004, e la Cina, in particolare, è passata nello stesso periodo dal 16% al 24,6%185.

182“In passerella gli abiti Made in Taiwan”, il Sole24Ore, martedì 11 Aprile 2007.

183 Si è scelto di non trattare tra le cause esterne la concorrenza dei marchi insegna nel mass market, che pure sta influenzando in modo significativo l’andamento del prodotto moda italiano, per due ragioni principali: 1) in quanto si tratta di un fenomeno direttamente legato ad una evoluzione nei gusti della domanda che, oltre a non avere più la propensione alla spesa di un tempo, predilige, in molte occasioni, l’abbigliamento informale tipico delle catene del pronto moda; 2) il fenomeno potrà apportare anche conseguenze positive in termini di maggiore reattività al mercato e integrazione tra logica del pronto e logica del programmato; non si deve dimenticare che molte imprese italiane, seppur non hanno ancora raggiunto la notorietà di Zara o Mango, competono con successo basandosi su logiche di pronto moda: i casi più interessanti sono quelli di Pinko e Patrizia Pepe.

184S.Saviolo, E.Corbellini,“La scommessa del Made in Italy”,op. Cit.

185Dipartimento per le Politiche dell’Industria, studio sul settore tessile-abbigliamento: www.ipi.it.

Con specifico riferimento all’abbigliamento, la Cina deteneva una quota di export nel 2004 pari al 27,8% (+ 5,4% rispetto al ’99)186, oltre a rappresentare circa il 74% della produzione mondiale di seta greggia187.

Le ragioni di tale leadership sono ben note: un costo orario della manodopera pari anche ad un decimo rispetto quello occidentale, ritmi di lavoro incessanti che superano le 10 ore lavorative per impiegato, nessuna tutela per l’ambiente a causa dell’assenza di leggi sull’inquinamento, possibilità di reperire materie prime a costi dimezzati e, soprattutto, l’effetto apprendimento dai paesi industrializzati che per primi hanno delocalizzato la produzione.

La Cina, in particolare, è il paese del Sud-est asiatico che maggiormente sembra aver beneficiato, a partire dagli anni ’70, degli effetti della cosiddetta “seconda migrazione”: lo spostamento della produzione di tessile-abbigliamento dai tre paesi che negli anni ’50 hanno rappresentato le prime aree di interesse per la delocalizzazione produttiva ( Taiwan, Hong Kong e Corea del Sud) ad altri centriinterni della regione: Cina, Malaysia, Filippine, Thailandia.

Oltre ad una capacità di apprendimento estrema, che ha determinato la costruzione di fabbriche modernissime e l’utilizzo di tecniche di produzione importate dalla tradizione occidentale, la Cina ha beneficiato, nel 1997, del ritorno di Hong Kong: le esportazioni combinate dei due paesi sono esplose, e si è andata sviluppando una specializzazione nella produzione, in Cina, e nella gestione deiservizi finanziari per tutta la regione, ad Hong Kong188.

L’eliminazione, nel 2005, dell’Accordo Multifibre, che fin dal 1974 prevedeva la negoziazione delle quote di tessile-abbigliamento da commercializzare tra paesi sviluppati e paesi meno sviluppati, garantendo così una regolamentazione internazionale nell’export di prodotti tessili, ha ulteriormente contribuito alla liberalizzazione del mercato ed alla posizione di leader mondiale nelle esportazioni del settore da parte della Cina189.

E se le esportazioni cinesi stanno minando la posizione italiana nell’Occidente, gravi minacce si hanno anche con riferimento ai prodotti Made in Italy destinati ad alcune aree dello stesso Sud-est asiatico: in Giappone, ad esempio, dove la domanda di beni di lusso e di capi del prét-à-porter italiano sta crescendo in maniera esponenziale, aumentano anche le importazioni di prodotti cinesi, minando così uno dei mercati di sbocco più preziosi per le nostre imprese.

Nel settore calzaturiero, in particolare, le importazioni giapponesi di scarpe Made in Italy hanno raggiunto un valore pari a 285 milioni di dollari nel 2006; la Cina sta presto erodendo il nostro vantaggio arrivando, nello stesso anno, a fatturare 156 milioni di export di calzature in Giappone, facilitata in questo anche dall’assenza di dazi sui propri prodotti, che invece gravano sulle calzature italiane aumentandone il prezzo fino a 4.300 yen al paio.

186Fonte: Elaborazioni ICE su dati Eurostat, 2004.

187S.Saviolo, E.Corbellini,“La scommessa del Made in Italy”,op. Cit.

188S. Saviolo, S. Testa, “Le imprese del Sistema Moda”, op. Cit.

189 Basti pensare che l’80% delle imprese di subfornitura che lavorano nei distretti tessili italiani, intervistate nell’ambito dello studio realizzato dal dipartimento per le politiche industriali, vede proprio nell’eliminazione dell’Accordo Multifibre la principale causa della crisi del settore contoterzi negli ultimi anni. Fonte: www.ipi.it

La centralità della questione è dimostrata anche dalla recente dichiarazione del Presidente del Consiglio italiano di voler formulare una richiesta esplicita al Premier giapponese per la riduzione dei dazi nipponici sulle nostre calzature190.

La concorrenza cinese tuttavia, non mette a repentaglio tanto la competitività delle griffe italiane, che grazie ad un brand riconoscibile e ad un posizionamento chiaro nella fascia alta del mercato hanno ancora buone possibilità di mantenere la loro leadership: a soccombere sono, come precedentemente accennato, soprattutto le piccole e medie imprese dei distretti, che non dispongono degli stessi strumenti.

L’esportazione di tessuti cinesi di bassa qualità non ha fatto altro che contribuire a quella polarizzazione dell’offerta tra fascia alta e fascia bassa, rendendo così impossibile per le imprese medie trovare uno spazio adeguato nel commercio internazionale.

I casi di Biella e Como ne sono un esempio; il distretto biellese, specializzato nella produzione di tessuti in maglia di fascia alta e medio-alta ha registrato, nel 2002, un calo di produttività pari al 12%191, oltre che una riduzione delle esportazioni nette, tra il 2002 ed il 2003, pari al 3,3%192; la causa è attribuita, oltre che a cambiamenti nella domanda per via dell’affermazione di uno stile più informale, lontano dalla concezione dei tessuti classici biellesi, soprattutto alla concorrenza cinese:

i tessuti cinesi, con prezzi (ma anche qualità) dimezzati, sono preferiti a quelli biellesi dei marchi meno noti; e così, se alcune imprese residenti nel distretto, quali Ermenegildo Zegna o Loro Piana, riescono a tener fronte alla concorrenza grazie alla notorietà del marchio ed alla possibilità di integrarsi a valle, le altre, quelle che non hanno raggiunto la forza di marca, soccombono.

Anche Como, da sempre specializzato nella produzione di seta di altissima qualità, deve fronteggiare la concorrenza cinese in uno dei comparti in cui il paese si è maggiormente sviluppato; nel 2002 il fatturato della tessitura serica italiana è diminuito del 7% circa, in 5 anni sono stati persi 3000 posti di lavoro193, e la quota export del distretto è diminuita, dal 2002 al 2003, del 5,7%194.

Non solo il governo cinese supporta le numerosissime filaterie locali con sussidi per agevolare la loro produttività, ma, soprattutto, l’uso di pratiche di concorrenza scorrette agevola ancora di più la seta cinese sul mercato:nonostante numerosi tentativi di accordi di regolamentazione, il prezzo per il filo di seta cinese applicato agli importatori rimane del 20% superiore rispetto quello pagato dai produttori, creando in tal modo un vantaggio difficilmente erodibile dalla concorrenza.

Le imprese del distretto comasco non sono tuttavia rimaste immobili, ed hanno reagito, da un lato, con iniziative volte a rafforzare l’immagine e la riconoscibilità della seta di Como sul mercato, ad esempio attraverso la creazione di un marchio che certifica la qualità del prodotto ( progetto

190Stefano Carrer: “L’Italia ritorna in Giappone”, il Sole24Ore, martedì 10 Aprile 2007.

191S.Saviolo, E.Corbellini,“La scommessa del Made in Italy”,op. Cit

192Fonte: “Guida ai distretti italiani”, 2004, su: www.clubdistretti.it

193S.Saviolo, E.Corbellini,“La scommessa del Made in Italy”,op. Cit.

194Fonte: “Guida ai distretti italiani”, 2004, su: www.clubdistretti.it

Seri.co), dall’altro creando, talvolta, joint-venture con produttori cinesi nella speranza di usufruire di vantaggi di costo e non soccombere alla concorrenza.

Il rischio è, tuttavia, che le imprese cinesi approfittino della logica di partnership non per un reale scambio paritetico di know-how e vantaggi, ma per acquisire ulteriori conoscenze e rafforzare ancora di più il vantaggio del paese.

b) Concorrenza all’interno dei distretti: la concorrenza cinese non si fa sentire soltanto all’esterno del paese, con riferimento alla competizione internazionale, ma anche all’interno, in un fenomeno che desta sempre più preoccupazioni.

Dal 1998 al 2000 le imprese cinesi a Prato sono aumentate dell’80%, arrivando a 1288 unità regolarmente iscritte alla Camera di commercio, ed il numero di permessi di soggiorno ai cinesi, nello stesso periodo, è triplicato (oggi i residenti cinesi regolari a Prato sono stimati ad almeno 23.000 e le imprese cinesi a più di 1.800)195.

L’arrivo delle imprese cinesi a Prato è stato inizialmente salutato con enorme favore dagli altri attori del distretto: i produttori cinesi, infatti, alla metà degli anni ’90 si andavano specializzando nelle fasi di façon, dando alle piccole imprese di subfornitura incredibili vantaggi di costo, senza bisogno di delocalizzare la produzione. Pochi anni dopo, tuttavia, molte piccole aziende cinesi dalla façon sono passate alla produzione in conto proprio di tessuti, e poi alla confezione di maglieria nella fascia bassa del mercato e nel pronto, due comparti poco sviluppati a Prato, arrivando a configurare, nel 2000, ben 48 industrie tessili cinesi nella sola area del distretto pratense196.

Un’enorme sete di apprendimento unita alla superiore capacità di sfruttare i connazionali impiegati nelle fabbriche hanno determinato quello che, secondo l’opinione prevalente, potrebbe presto diventare un circuito chiuso di imprese autosufficienti che faranno concorrenza alle altre aziende del distretto.

La logica di rete ed il rafforzamento della cultura Made in Italy sono fondamentali per combattere tale rischio: non potendo ormai far nulla contro la presenza capillare di imprese cinesi nel distretto, l’unica alternativa risiede nella differenziazione, nella comunicazione della superiorità qualitativa dei propri prodotti, nell’appoggio offerto dalle imprese più grandi.

2.3.3 Le possibili soluzioni strategiche

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