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Il caso: Fondo Camelot Business Architect 278 ed i vantaggi del Private Equity rispetto l’acquisizione da parte di un Gruppo

CAPITOLO IV: LE POTENZIALITA’ DEL PRIVATE EQUITY PER LE IMPRESE ITALIANE DI MODA

6. Il Vulture Financing è il finanziamento finalizzato a rendere nuovamente operativa un’impresa

4.2 Il caso: Fondo Camelot Business Architect 278 ed i vantaggi del Private Equity rispetto l’acquisizione da parte di un Gruppo

“Aiutare le imprese e le idee di business a più elevato potenziale economico a realizzare processi di crescita distintivi e sostenibili”: questa è la mission del Fondo di Investimenti Camelot.

La Società, di recentissima costituzione, è nata nel Gennaio 2005 su iniziativa di un gruppo di giovani ex consulenti d’azienda che hanno unito le loro risorse e competenze per scommettere sulle PMI del nostro Paese nei settori Luxury & Lifestyle: “fin da subito, abbiamo deciso di focalizzarci sulle “3 F” che tradizionalmente hanno caratterizzato l’offerta del Made in Italy: fashion, furniture e food, ovvero moda, arredamento e ristoranti; la scelta è stata quella di indirizzare i nostri sforzi per il turnaround di marchi di Moda che offrissero ancora buone potenzialità di crescita, e per il lancio o il riposizionamento di Hotel o ristoranti di prestigio”.

La Società è dunque attiva in due comparti specifici: Private Equity ( soprattutto operazioni di turnaround) e Advisory; la scelta di focalizzazione si è rivelata, in effetti, premiante: in soli due anni di attività il Fondo ha realizzato ben quattro operazioni di turnaround , tra le quali, come vedremo, il rilancio del calzaturificio fiorentino Sutor Mantellassi.

277Giulia Crivelli: “Moda, shopping dei Fondi”, il Sole24Ore, 08 Aprile 2007.

278Il caso è stato elaborato sulla base dell’intervista gentilmente concessa dal Dott. Sandri, nonché delle informazioni disponibili sul sito della Società: www.camelotba.com

E l’attività della Camelot riflette, in effetti, le finalità ed i fattori critici di successo che abbiamo illustrato con riferimento alle operazioni di turnaround: l’accumulo progressivo di esperienza nel settore ha infatti consentito al team management di arricchire la capacità di valutazione delle aziende partecipate, e di realizzare capital gain consistenti grazie anche al più basso investimento iniziale che richiede l’azienda in crisi.

Tale logica, tuttavia, non si riflette in operazioni di mera speculazione, dove l’orizzonte temporale breve ed il mancato coinvolgimento attivo nella gestione dell’azienda possono inficiare il successo dell’intervento; Camelot, al contrario, segue precisi principi-guida nell’approccio con le PMI in fase di ristrutturazione:

 Integrità ed Indipendenza: il team Camelot ha a cuore soltanto l’interesse dell’impresa cliente.

 Eccellenza: il team Camelot persegue i più elevati standard di qualità agendo come protagonista attivo del cambiamento e della crescita delle imprese clienti.

 Coesione: il team Camelot si muove continuamente nella stesa direzione tracciata e condivisa dal cliente.

 Relazione: Camelot sviluppa relazioni di lungo periodo con le imprese, accertandone la capacità di sviluppo anche in fase posteriore alla conclusione della partecipazione.

Non si tratta di mere dichiarazioni di principio: come ha notato il Direttore Private Equity del Fondo, infatti, “quello che maggiormente differenzia il nostro intervento dalle risorse che possono essere apportate, ad esempio, da un Gruppo con un portafoglio marchi esteso è che noi non rischiamo di diluire il marchio; la nostra logica è sempre quella dell’intermediazione, del servizio a più elevato valore aggiunto date le specificità dell’impresa cliente”.

Le esternalità positive che derivano, nella logica dell’impresa, da un rapporto di partnership di lungo periodo in cui l’obiettivo finale sia il rilancio e la crescita dell’impresa medesima non si hanno, spesso, nel caso dell’acquisizione da parte di un Gruppo: in questa situazione, infatti, è molto più elevata la probabilità di dispersione di focus e competenze, in quanto il Gruppo deve badare congiuntamente a molteplici marchi, spesso in diversi settori, e deve mostrare competenze che siano insieme strategiche, finanziarie e di governance; proprio tale differenza rappresenta, come vedremo, uno dei principali fattori che rendono le partecipazioni in Private Equity molto più costruttive, nell’ottica delle PMI di Moda, rispetto alla cessione a grandi entità.

Il team management della Camelot, inoltre, ha sviluppato un approccio specifico nella relazione con imprenditori familiari, seguendo, anche in tal caso, tre principi-guida che riflettono i fattori critici di successo del rapporto Invesitore-proprietà familiare:

 Ascoltare: per “comprendere i bisogni del cliente, riconoscerne i segnali deboli, facilitare il dialogo tra tutti gli attori dell’azienda”.

 Architettare: per “formulare strategie innovative, ma realistiche, valutando in modo rigoroso e concreto tutte le componenti del business e le possibili leve di crescita”.

 Attuare: per “raggiungere i risultati prefissati seguendo fino in fondo le attività pianificate”.

Nel 2006, l’applicazione di tali principi nel comparto della consulenza ha permesso a Camelot di agevolare la Società Immobiliare Villa Paradiso s.r.l. nell’aggiudicazione del golf club “Villa Paradiso”, a Bergamo, in un piano di ristrutturazione del centro ceduto dopo il fallimento dell’ex proprietario Rete di Gamma; il progetto, del quale Camelot è stato prestigioso advisor finanziario e organizzativo, ha previsto la totale trasformazione del club in un centro residenziale d’alto prestigio, comprendente un hotel a 4 stelle, ristorante, fitness center, oltre che piscine scoperte e campi da tennis; tali obiettivi, disegnati da Camelot in collaborazione con Villa Paradiso, hanno fatto privilegiare la Società come acquirente, contro competitors di tutto rispetto quali Roberto Colannino o Antonio Percassi, partner di Luciano Benetton.

Sempre nel 2006, inoltre, Camelot è stata advisor di un’altra operazione prestigiosa nel settore del Luxury: la Società ha infatti sostenuto il progetto di Dhd, fondata nel 2003 da Emanuele Garosci per individuare nuove opportunità di investimento nel real estate, in collaborazione con NH Hotels, allo scopo di realizzare una nuova catena internazionale di alberghi che unisse fashion, arte e design; il primo hotel è stato previsto in apertura a Milano con un progetto di 265 camere, vari studi fotografici al suo interno e quattro mila metri quadri da destinare a manifestazioni di arte o sfilate.

Quanto invece all’attività di Private Equity, una delle operazioni di maggior successo realizzate dal Fondo ha riguardato, come prima accennavamo, il prestigioso calzaturificio fiorentino Sutor Mantellassi; si è trattato, in effetti, di un’operazione di turnaround che ha mostrato chiaramente tutte le criticità implicite nella ristrutturazione di un’azienda a proprietà familiare.

L’impresa, infatti, era arrivata al massimo del giro d’affari nel 2003, quando i ricavi toccarono gli 11 milioni di euro; la successiva uscita dalla gestione dell’ex proprietario Luca Mantellassi ha tuttavia portato a molte scelte strategiche sbagliate, tra le quali la decisione di non produrre più collezioni donna e di abbassare i livelli qualitativi delle calzature; come conseguenza, il fatturato è sceso, nel 2005, a 4,5 milioni di euro.

Il team management di Camelot è stato allora in grado di comprendere che l’azienda aveva ancora un’altissima potenzialità nel segmento originario in cui era nata, quello delle calzature di fascia alta, e che la crisi era derivata da errori nella strategia, piuttosto che da fattori esterni più difficilmente correggibili; la comprensione della cause profonde della crisi, che risalgono alle dinamiche della proprietà familiare e fanno riferimento, soprattutto, all’uscita dell’imprenditore carismatico dalla gestione dell’azienda, hanno portato alla scelta di investire, innanzitutto, sul nuovo management di cui si sarebbe dovuta dotare l’azienda; in coerenza con il business originario e le sue specificità, è stato scelto come nuovo amministratore delegato Carmelo Pistone, ex direttore generale di Gucci e Loro Piana ed altamente esperto, dunque, delle dinamiche dei segmenti di fascia alta.

Il progetto di ristrutturazione ha previsto chiari e precisi obiettivi di sviluppo:

 La rifocalizzazione dell’azienda sull’attività di produzione attraverso le competenze interne:

come ha sottolineato Carmelo Pistone, “Sutor Mantellassi è una delle poche realtà industriali che realizzano internamente tutto il prodotto, dalla prima operazione alla

lucidatura a mano”; tali competenze distintive erano state tuttavia trascurate dalla proprietà, che sembrava aver perso di vista il core business storico dell’azienda.

 La rivitalizzazione del business delle calzature da donna, con un posizionamento più fashion rispetto allo stile tradizionale che le aveva caratterizzate prima della definitiva scelta di uscire dal segmento: tale obiettivo risulta essere non soltanto estremamente coerente con l’identità di brand storica del marchio, ma anche vincente sotto il profilo dell’evoluzione stilistica necessaria, che ha intravisto in collezioni dallo stile più fashion rispetto quelle precedenti il mercato su cui puntare, senza per questo ridurre l’eccellenza qualitativa della produzione che legittima l’offerta nella fascia alta.

 Il recupero della distribuzione diretta in tutti i mercati mondiali, e l’apertura di nuovi flagship stores: anche questa è una scelta profondamente coerente per sostenere l’immagine di esclusività che si è voluta ridare all’azienda.

Il caso Sutor Mantellassi dimostra, di fatto, come l’intervento di un Fondo nel rilancio di un marchio che presenta ancora buone potenzialità può, se rispetta le condizioni di successo cui abbiamo prima accennato, apportare soltanto conseguenze positive, aggirando, invece, i rischi di diluizione dell’identità di brand e delle competenze distintive dell’impresa che si verificano, spesso, nelle acquisizioni da parte dei Gruppi multi-brand.

Proprio tali riflessioni ci consentono, allora, di sottolineare il valore aggiunto delle operazioni di Private Equity rispetto a quelle di M&A: lo facciamo riprendendo i vantaggi e gli svantaggi, per la singola impresa, connessi ad entrambe le fattispecie:

Figura 12: I vantaggi e gli svantaggi della cessione ai Gruppi…. ed il loro superamento nelle operazioni di Private Equity

Fonte: Elaborazione personale

Rischio di perdita di identità stilistica.

Minore flessibilità nei processi decisionali.

Trade-off tra logica finanziaria del Gruppo e logicaimprenditoriale dell’impresa…

Cosa succede se non vanno d’accordo?

Nessun rischio di perdita di identità stilistica nella logica di partnership tra Fondo e impresa.

La flessibilità dell’impresa è conservata grazie alla collaborazione del Fondo che non sostituisce l’imprenditore.

L’imprenditorialità viene mantenuta come base per il successo finanziario, e non viceversa

Maggiori possibilità d’accesso alle risorse finanziarie.

Maggiori possibilità d’accesso alle risorse manageriali.

Potenziamento della distribuzione e della comunicazione.

Maggiore capacità d’attrazione di talenti creativi.

Maggiori risorse finanziarie per accelerare la crescita o il consolidamento.

Possibilità di potenziare la distribuzione, la comunicazione e la struttura organizzativa dell’azienda.

Effetto “disciplina” per l’ingresso del Fondo come socio nel capitale.

Incremento dell’immagine nei confronti di banche e futuri finanziatori.

Sinergie con il management professionale

Quanto all’ipotesi della cessione al Gruppo, i vantaggi e gli svantaggi sono gli stessi di quelli già precedentemente illustrati279; come si nota, a fronte, sostanzialmente, degli stessi vantaggi di base in termini finanziari e strategici ( accesso a ulteriori risorse finanziarie, possibilità di potenziare la distribuzione e la comunicazione, accesso a risorse manageriali qualificate), l’intervento di un Fondo offre in più la possibilità di:

 Rafforzare la rete distributiva dell’azienda, l’internazionalizzazione o le competenze interne non attraverso le sinergie con altri marchi ( come si verifica nella realtà del Gruppo multi-brand), ma grazie a risorse investite per la singola impresa e solo a suo vantaggio.

 Incrementare la formalizzazione della struttura di governance grazie alla presenza di un socio di prestigio accettato dall’imprenditore, sviluppando dunque un processo di apprendimento interno grazie al contributo di entrambe le parti.

Quanto agli svantaggi connessi alle acquisizioni nell’ottica dell’impresa familiare di moda, invece, gli interventi di Private Equity consentono il loro superamentose le condizioni per il successo delle operazioni vengono rispettate.

In particolare:

 L’identità stilistica sarà preservata e arricchita nel tempo, soprattutto nel caso di un Fondo, come Camelot, ma anche Fondo Opera o Fineco Capital, che ha accumulato grande esperienza nei settori Moda & Lusso e comprende le specificità che, in termini di immagine, tali imprese presentano ( l’intervento di Camelot in Sutor Mantellassi ha addirittura consentito, come abbiamo visto, il recupero del posizionamento che aveva caratterizzato l’azienda negli anni di elevata redditività).

 La flessibilità decisionale, tipico vantaggio delle imprese familiari e di piccole dimensioni, non viene inficiata in quanto la logica dell’intervento di Private Equity è quella della collaborazione, e non della sostituzione all’imprenditore: per di più, in tale situazione l’azienda non si trova, come nel caso della cessione ad un Gruppo, inserita in una realtà di grandi dimensioni che inevitabilmente influenza la struttura e i meccanismi alla base dei suoi processi decisionali; l’apertura all’investitore apporta, in effetti, tutti i vantaggi in termini di trasparenza nelle logiche di governance, senza alcuna ricaduta sulla flessibilità legata all’imprenditorialità dell’azienda.

 Nella logica seguita dal Fondo, l’obiettivo e il fine dell’ intervento è, come abbiamo visto, quello dell’impresa, della sua creatività e della sua crescita: le risorse finanziarie sono, in tutto e per tutto, un mezzo per raggiungere tali vantaggi, e non un fine per soddisfare azionisti superiori; a tal proposito, infatti, è opportuno ricordare che il Fondo dispone già in partenza di elevatissime risorse liquide, ed una gestione oculata di un portafoglio partecipazioni diversificato, unita alla collaborazione negli investimenti con altri soggetti istituzionali, gli consente, con maggiori probabilità di successo rispetto quelle del Gruppo, di remunerare le attese dei suoi investitori.

279Cfr. cap.III, par. 3.4

A parte tali considerazioni, che derivano direttamente dal confronto con le ipotesi di cessione ad un Gruppo o ad un’altra azienda, occorre anche precisare che , soprattutto nel caso di un’azienda da ristrutturare, il Fondo si caratterizza per competenze altamente specializzate, in termini gestionali e di valutazione, di cui, spesso, il Gruppo non dispone internamente: è questo, infatti, il motivo per cui una buona parte di operazioni di M&A fallisce proprio in fase di integrazione, e si riesce solo dopo ingenti sforzi, a riposizionare il marchio in modo profittevole. A tal proposito, il Direttore Private Equity di Camelot osserva infatti che “a ben vedere, molte delle operazioni di acquisizione concluse negli ultimi anni da imprese di Moda sono state dei clamorosi fallimenti; operazioni svolte innanzitutto con l’ottica di avvantaggiare, almeno, gli azionisti del Gruppo, e che hanno avuto l’effetto contrario; quando LVMH ha acquistato Dior ha impiegato anni per rendere l’azienda nuovamente profittevole, e Gucci non ci sta ancora riuscendo con YSL; queste aziende credevano davvero nella potenzialità futura dei marchi acquisiti, e credevano, cosa più importante, di poter replicare la formula vincente dei marchi propri su quelli acquisiti,sbagliando in entrambe le intenzioni”; ciò avviene anche perché, con l’acquisizione, si affida, di fatto, allo stilista posto alla direzione creativa del marchio la capacità di riposizionarlo, con alte potenzialità di fallimento sia che si tratti dello stilista storico ( che comunque si trova ad operare in una nuova realtà che ancora non conosce), sia, soprattutto, nel caso di uno stilista nuovo.

Negli interventi di turnaround realizzati da un Fondo, invece, qualora la situazione dell’azienda richieda anche un cambiamento dei vertici direttivi, la priorità è innanzitutto quella della composizione del nuovo management: per Sutor Mantellassi, come abbiamo visto, la scelta è stata di porre a capo dell’azienda un manager di grande prestigio e proveniente dal settore del Lusso; sarà poi il nuovo team direttivo, una volta aver preso coscienza dell’identità del marchio e delle sue specificità, a valutare quale sia lo stilista che possa meglio interpretare tali specificità, con un’analisi che deve rispondere unicamente alle esigenze dell’azienda, e del singolo marchio.

Infine, un’ultima osservazione è opportuno precisare: la logica finanziaria con cui intervengono i Fondi di Private Equity si configura, al contrario di quanto si possa apparentemente pensare, come la principale garanzia circa il successo dell’operazione; il Fondo ha obiettivi di rendimento da rispettare, e farà di tutto per ottenerli anche se, per la natura stessa dell’accordo, non potrà intraprendere azioni che vadano contro la volontà dei proprietari ; nel Gruppo, invece, spesso non ci sono obiettivi di rendimento specifici per la singola azienda acquisita ( tanto è vero che molte imprese vengono mantenute all’interno del Gruppo pur se in forte perdita): gli azionisti potranno comunque essere remunerati con quanto deriva dalla gestione degli altri business, e ciò, se da un lato riduce il loro rischio relativo, aumenta anche la probabilità che l’impresa in perdita non venga ricondotta ad una situazione di utile.

Per tutti tali motivi, i Fondi si configurano come uno strumento dalle enormi potenzialità per le imprese familiari: la temporaneità del loro intervento, e la collaborazione con i proprietari, permettono infatti di accelerarne la crescita senza intaccare le caratteristiche alla base della loro flessibilità.

C’è anche chi ha definito i Fondi come dei veri e propri ambasciatori per le PMI: “si tratta di forze assolutamente positive, che sono venute incontro ad esigenze reali; il loro intento è rafforzare le Società, non sfruttarle: se l’impresa che hanno partecipato non fosse in grado di prosperare nel lungo termine a chi mai potrebbero rivenderla? I Fondi disciplinano il mercato delle PMI italiane:

chi è alle prese con passaggi generazionali difficili, o ha bisogno di capitali freschi per finanziare la crescita, è a loro che può rivolgersi”280.

Allo stesso modo, è opinione di chi scrive che il Private Equity sia lo strumento ottimale per finanziare il capitalismo familiare, per rafforzarlo e renderlo competitivo a livello internazionale: il miglior compromesso che permette di aumentare le dimensioni dell’impresa senza intaccarne i valori di fondo.

Conclusioni

Con l’analisi relativa alle potenzialità del Private Equity per le imprese familiari di Moda, abbiamo esaurito lo spettro delle opzioni di sviluppo che, dal punto di vista proprietario, possono interessare tali aziende: la cessione ad un Gruppo multi-business e multi-brand, la quotazione in borsa, la cessione di una partecipazione temporanea ad un Fondo di Private Equity.

La presentazione dell’attività svolta dal Fondo Camelot ed il suo contributo ad imprese dei settori Moda e Lusso ci ha in particolar modo permesso di comprendere come l’intervento da parte di un soggetto del genere può permettere di superare gli svantaggi che, soprattutto in termini di successo simbolico, sono connessi all’acquisizione da parte di un Gruppo o di un’altra azienda.

Abbiamo adesso tutti gli strumenti teorici, la cui comprensione è stata ulteriormente arricchita dall’analisi di brevi casi empirici, per rispondere alla domanda di ricerca: la proprietà familiare rappresenta ancora un modello vincente per la competitività del Made in Italy?

Ma la risposta a tale domanda potrà essere data, tuttavia, in maniera più ampia e consapevole grazie all’analisi di un ultimo caso empirico: si tratta della realtà di un’impresa familiare di piccole dimensioni, che compete con successo nella nicchia dell’Alta moda, totalmente gestita da due coniugi imprenditori, Marella Ferrera e suo marito.

La presentazione dell’esperienza compiuta da Marella dagli anni della formazione a quelli della gestione imprenditoriale mostra, in effetti, tutti gli aspetti precedentemente illustrati a proposito della proprietà familiare e dell’identità di marca come asset principale di un’impresa di Moda.

Ma, come vedremo, gli aspetti che emergono esulano, in parte, dalle teorie: gli elementi che avevamo classificato come “punti di forza” e “di debolezza” del modello familiare, nonché le tematiche relative alla managerializzazione, alla crescita, all’imprenditorialità di tali imprese, si caricheranno di nuovi, e più consapevoli, significati.

Il caso sarà presentato secondo il seguente schema: la parte iniziale è dedicata interamente alla storia di Marella; sarà dato largo spazio al discorso diretto della stilista, che meglio di qualsiasi

280Alessandro De Nicola: “I Fondi di Private Equity non sono locuste”,il Sole24Ore, 26 Ottobre 2006.

altra parola permette di comprendere la forza, le difficoltà, gli errori, talvolta, che hanno caratterizzato il percorso di crescita della sua impresa.

L’esperienza così presentata sarà poi ricondotta ai principali modelli e strumenti teorici che si prestano alla sua interpretazione; alcuni di tali strumenti saranno ripresi dai capitolo precedenti: le variabili alla base della classificazione delle imprese familiari, nonché gli aspetti distintivi del capitalismo familiare, connessi soprattutto alla figura dell’imprenditore ed al suo rapporto con soggetti esterni, che trovano diretta applicazione nel caso Marella Ferrera.

L’esperienza così presentata sarà poi ricondotta ai principali modelli e strumenti teorici che si prestano alla sua interpretazione; alcuni di tali strumenti saranno ripresi dai capitolo precedenti: le variabili alla base della classificazione delle imprese familiari, nonché gli aspetti distintivi del capitalismo familiare, connessi soprattutto alla figura dell’imprenditore ed al suo rapporto con soggetti esterni, che trovano diretta applicazione nel caso Marella Ferrera.

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