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IL TRIANGOLO PRImARIO Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciat

9.2. ASSESSmENT NEONATALE: PER LE FAmIGLIE

Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciati

Sulla base delle considerazioni teoriche sopra riportate, le autrici Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery hanno sviluppato uno stru- mento di assessment per valutare le famiglie nel primo anno di vita del bambino: il Lausanne Trilogue Play (LTP – Fivaz-Depeur- singe, Corboz-Warnery 1999). Il setting dell’LTP consente l’osserva- zione sistematica delle interazioni familiari nella relazione triadica tra il padre, la madre e il bambino. L’obiettivo del gioco triadico è quello di permettere ai tre componenti della famiglia di condividere momenti piacevoli e raggiungere momenti di condivisione sul pia- no intersoggettivo. L’LTP prevede quattro parti: 1) nella prima par- te uno dei due genitori gioca con il bambino, mentre l’altro è sem- plicemente presente (2+1); 2) nella seconda parte è previsto uno scambio di ruoli tra i genitori: il genitore che in precedenza aveva assunto una posizione periferica gioca ora con il bambino, men- tre il primo ricopre il ruolo passivo (2+1); 3) nella terza parte i tre membri della famiglia giocano insieme (3-insieme); 4) infine, nella quarta parte i genitori devono interagire tra di loro senza coinvol- gere il bambino. Le quattro situazioni sono ordinate secondo una progressione naturale per determinare una scena di gioco triadico che fosse simile a una situazione di scambio narrativo.

Il setting prevede che i membri della famiglia siano disposti su delle sedie posizionate come se fossero ai vertici di un triangolo equilatero in modo che entrambi i genitori abbiano una posizione «pari» rispetto al bambino. Il bambino è posto su uno speciale seg- giolino adattabile per dimensioni e inclinazione, ruotabile in modo da essere orientato di fronte a ciascun genitore, o posizionato al centro in modo da rimanere di fronte a entrambi i genitori con-

temporaneamente. La procedura può essere utilizzata con bam- bini che hanno età diverse: quelli di un anno sono posizionati in un seggiolone e hanno a disposizione giocattoli adatti per il gioco simbolico; quelli più grandi, che stanno seduti su una sedia norma- le, hanno una serie di bambole con cui devono creare una storia con l’aiuto dei loro genitori. È prevista un’applicazione anche du- rante il periodo della gravidanza e in questo caso viene richiesto ai genitori di «simulare» la prima interazione al momento della na- scita con il loro bambino (personificato da una bambola). La fami- glia è lasciata libera di decidere sia la durata complessiva del gioco sia quando passare da una fase all’altra, anche se viene invitata a ri- manere entro la durata di 10-15 minuti. Le modalità con cui vengo- no prese queste decisioni rivela molte cose sulla coordinazione dei genitori.

L’obiettivo del gioco triadico, come abbiamo detto in preceden- za, è quello di indagare la capacità di regolazione affettiva, condi- visione e responsività empatica. Si parte dal presupposto che le re- lazioni hanno due versanti che sono tra di loro interconnesse: il versante interattivo che riguarda il comportamento osservabile ed è costituito da pattern di azioni e segnali tra i partner, quello inter- soggettivo che riguarda il lato psichico intimo e comprende le in- tenzioni, i sentimenti e i significati condivisi tra i membri della fa- miglia. La famiglia viene considerata come un sistema costituito da una sottounità strutturante (co-genitoriale) e da una evolutiva (il bambino). La funzione della componente strutturante è di facilitare e guidare lo sviluppo del bambino, quella della componente evolu- tiva è di crescere e incrementare la propria autonomia.

Per raggiungere lo scopo triadico i membri della famiglia devono soddisfare tre funzioni tra loro interrelate: la partecipazione, l’orga- nizzazione e la focalizzazione. A seconda del grado di coordina- zione che raggiungono nel lavorare insieme per la realizzazione del compito, le relazioni nella famiglia possono essere descritte in ter- mini di «alleanza familiare». Più le interazioni sono coordinate, più l’alleanza familiare risulta essere funzionale e questo tende a pro- muovere lo sviluppo socio-emotivo del bambino; nel caso oppo- sto l’alleanza familiare risulta problematica, chiusa in schemi di re- ciprocità negative, con la conseguenza che il conflitto tra i genitori si esplicita sul bambino stesso e/o con la sua esclusione. In base a queste considerazioni, sono state evidenziate cinque tipi di allean- ze familiari:

› Alleanza familiare cooperativa: i tre membri sono sintonizzati tra loro, condividono momenti di comunicazione affettiva, general- mente piacevoli o, comunque, i genitori sono in grado di met- tere in atto stati riparativi sia nella figurazione tre-insieme sia in ciascuna delle altre configurazioni. Le alleanze di tipo cooperati- vo sono non facilmente riscontrabili nella normalità statistica del- la popolazione: si osservano di solito oltre il limite superiore del range normale.

› Alleanza familiare in tensione più (+): i membri della famiglia non sono sintonizzati a livello emotivo l’uno con l’altro. A questo li- vello si valuta se è tuttavia presente una comprensione empatica o se il clima affettivo è troppo negativo perché i genitori riesca- no ad aiutare adeguatamente il bambino a regolare i propri affet- ti: tendenzialmente si osserva una iperstimolazione o una iposti- molazione da parte loro.

› Alleanza familiare in tensione meno (-): uno dei membri della fa- miglia sta rivolgendo la propria attenzione altrove e non all’obiet- tivo del gioco, impedendo così il raggiungimento di un focus condiviso e mantenuto.

› Alleanza familiare collusiva: non tutti i membri sono nel pro- prio ruolo perché uno di essi sta interferendo o si sta astenen- do oppure non vi è coordinazione nella terza fase, quella in cui è prevista l’interazione tutti e tre insieme. Spesso si osserva che il bambino ha un’«attenzione monogenitoriale», cioè si rivolge uni- camente a uno dei due genitori. Di solito una situazione simile è tipica delle famiglie in cui è presente un conflitto non negoziabile tra i genitori e in cui il bambino ha assunto il ruolo di capro espia- torio o di mediatore (McHale, Fivaz-Depeursinge 1999).

› Alleanza familiare disturbata: i membri della famiglia non sono tutti inclusi nell’interazione e in questo caso non vi è la possibilità di raggiungere l’obiettivo. Per esempio, i genitori possono siste- mare il bambino nel seggiolino in modo inadeguato, impedendo- gli in questo modo di interagire (holding3 inappropriato). Spesso

accade in questi casi che il malessere espresso dal bambino viene interpretato come risultato del maltrattamento da parte dell’altro genitore o come rifiuto da parte del bambino stesso. Questo tipo di alleanza si osserva spesso nelle famiglie in cui è presente una psicopatologia grave dei genitori, non sempre diagnosticata, in cui si ha un’inversione di ruoli e il bambino assume una posizione «genitorializzata» (Boszormenyi-Nagy, Sparks 1973).

3. La funzione di holding (Winnicott 1989) viene definita come quella capacità del genito- re di sostenere e contenere mentalmente e fisicamente i bisogni del bambino, dando loro un’interpretazione e una risposta adeguata.

I risultati delle ricerche condotte con il paradigma dell’LTP han- no evidenziato un numero sufficiente di precursori delle strate- gie triangolari del bambino tanto da mettere in discussione la vi- sione classica dello sviluppo (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery 1999): i bambini non solo discriminano le diverse configurazioni di- stribuendo in modo differenziato gli sguardi, ma la maggior parte di essi già a tre mesi alterna l’orientamento dello sguardo tra i due genitori diverse volte durante la seduta. Inoltre, nelle alleanze suf- ficientemente funzionali, pare che queste coordinazioni triangolari dello sguardo si verifichino principalmente nella situazione «tre-in- sieme» e durante le transizioni tra le diverse situazioni. La conti- nuità di tali capacità interattive triadiche precoci nello sviluppo ha consentito di ipotizzare un percorso evolutivo di queste almeno parallelo e indipendente rispetto al percorso di quelle diadiche. In- fine, sembra che il tipo di alleanza familiare che si instaura risulta abbastanza stabile non solo durante il primo anno di vita del bam- bino, ma anche fino ai 18 mesi di età (Fivaz-Depeursinge, Corboz- Warnery 1999; Favez, Frascarolo 2002; Weber 2002).

La procedura viene registrata e la codifica (Grille d’Evaluation Triadique du Centre de la Famille, GETCEF – Fivaz-Depeursinge et

al. 2002) viene fatta attraverso l’analisi dei filmati basata sull’osser-

vazione delle scale «partecipazione», «organizzazione», «attenzio- ne focale», composte a loro volta da variabili graduate su scala Li- kert a 3 punti (range 0-2). Ognuna delle variabili viene valutata per ogni parte della procedura e i singoli punteggi sommati a forma- re il punteggio globale di «Alleanza familiare» (range 0-48) (Car- neiro, Corboz-Warnery, Fivaz-Depeursinge 2006). La codifica viene svolta da almeno due osservatori che devono dare un giudizio sul- la base del sistema di codifica. Per questa ragione è importante che gli osservatori siano sottoposti a un training specifico che li formi a rilevare e giudicare le variabili considerate. È importante inoltre che sia calcolata l’attendibilità dei punteggi attribuiti attraverso il calco- lo dell’indice k di Cohen, attraverso il quale è possibile calcolare la probabilità di accordo non imputabile al caso. Nelle ricerche finora condotte la validità del sistema e l’attendibilità delle codifiche sono risultate soddisfacenti.

Infine, l’utilizzo della registrazione permette l’utilizzo clinico del video feedback: i genitori possono rivedere il filmato e in tal modo si promuove e accresce la loro consapevolezza delle loro moda- lità di interazione, positive e negative (McDonough 1993; Baker- mans-Kranenburg, Juffer, van Ijzendoorn 1998; Downing, Ziegen-

hain 2001). Il video feedback fornisce una doppia prospettiva sul funzionamento familiare: l’esperienza dell’interazione in tempo reale e quella rivista a distanza di tempo. Lo stesso accade anche per il terapeuta. È previsto anche un intervento diretto sulle inte- razioni, condotto all’interno del setting della consulenza e/o attra- verso prescrizioni o rituali, che devono essere eseguiti a casa nel periodo che intercorre tra le sedute (Imber-Black, Roberts 1992), con lo scopo di innescare dei cambiamenti nei pattern di interazio- ne problematici. È particolarmente indicato quando i genitori han- no una modalità di funzionamento alessitimica e sono poco incli- ni alla riflessione o quando la procedura non è stata vissuta come un’esperienza particolarmente positiva per loro.

Una critica che si potrebbe porre è che gli interventi si concen- trano sulle modalità di comportamento, di condivisione e di gra- do di coordinamento della famiglia («famiglia praticante» – Reiss 1989) e non si interviene, invece, su quella che è la cosiddet- ta «memoria delle relazioni» che risiede principalmente nei mo- delli operativi interni (Bowlby 1980), ovvero sulla «famiglia rappre- sentata». Secondo Reiss (1989) è solo attraverso l’osservazione che si può accedere all’intersoggettività e gli schemi interattivi sono il punto di ingresso obbligatorio per arrivare alle rappresentazio- ni. Stern (1995) sostiene che l’interazione è la scena in cui si ma- nifestano le rappresentazioni dei genitori. Analogamente, l’intera- zione è la scena in cui agiscono le rappresentazioni del bambino che influenzano direttamente i genitori. In questo senso la descri- zione delle interazioni triangolari può essere considerato il primo passo per indagare un campo così complesso come quello delle rappresentazioni (Simonelli et al. 2009). Per questo motivo Fivaz- Depeursinge, Corboz-Warnery (1999) considerano gli schemi inte- rattivi che si possono osservare attraverso l’LTP come delle prati- che coordinate familiari che, secondo Reiss (1989) «riallineano la rappresentazione individuale con le pratiche di gruppo». Seguendo le famiglie nel corso del primo anno di vita del bambino, è possibile osservare come queste ritualizzano lo svolgimento della procedura e come i genitori facciano partecipare il bambino alle loro pratiche. In questo modo è possibile misurare la regolazione degli affetti, la capacità responsiva di tipo empatico e il modo in cui questi fattori sono legati alle motivazioni di calore, affettività e intersoggettività.

Come possiamo evincere da queste brevi descrizioni, il Lausan- ne Trilogue Play (LTP) può essere considerato uno strumento di os- servazione, diagnosi e intervento, in grado di valutare e fornire una

classificazione della dimensione relazionale che caratterizza il disa- gio o il disturbo psicopatologico durante lo sviluppo del bambino e dell’adolescente, prendendo in considerazione non solo il rappor- to madre-figlio, su cui si focalizzano altri strumenti sopracitati, ma il rapporto con entrambi i genitori. In questo modo i professionisti che lavorano nell’ambito della genitorialità avranno non solo una visione della relazione diadica che ciascun genitore instaura con il proprio figlio ma anche di quella triadica, con la possibilità di valu- tare quanto il senso di cooperazione e di coinvolgimento influen- zi e favorisca lo sviluppo del bambino. Sappiamo dalla letteratura come il livello diadico e quello triadico contribuiscono in modo di- verso al funzionamento familiare (McHale, Cowan 1996; McHale, Fivaz-Depeursinge 1999) e, pertanto, è importante avere una va- lutazione di entrambe le modalità di interazione familiare. Que- sto può far pensare a possibili sviluppi di tali tecniche non solo nei confronti della coppia con bambino, ma anche più globalmente ri- guardo alla famiglia.