• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2 L’AREA OSTETRICA

2.2. PSICOSOmATICA OSTETRICA E ISTITUzION

Antonio Imbasciati

Parallelamente al nascere (appunto) di una cultura psicologica nell’ostetricia, e alla progressiva scoperta della sua importanza psi- cosomatica nelle vicende della gestazione del parto, del puerpe- rio e dell’allattamento, si diffondeva, sull’onda delle ricerche cli- niche sperimentali sui neonati e sui bambini, nonché di quelle più generali di psicosomatica, negli adulti, malati e sani1, la conoscen-

za del rilievo che in qualunque aspetto dell’assistenza medico sani- taria poteva avere l’apporto delle scienze psicologiche: siamo alla fine degli anni Ottanta e si parla di «umanizzazione della medicina» (Imbasciati 1994b).

La medicina, o meglio l’assistenza medico sanitaria, era dunque diventata disumana? Le tecnologie biomediche tale l’avevano resa? L’organizzazione assistenziale del resto già aveva comunque in Ita- lia spogliato dei rapporti umani il rapporto medico/paziente, da molte decadi (Balint 1957; Balint, Balint 1959, 1968; Sullivan 1953) invano riconosciuto implicato nella malattia come fattore curati- vo, ignorando nella pratica la sua azione psicosomatica. Il medi- co, sia esso stato definito «medico di famiglia», sia poi «medico di base», ma anche il medico ospedaliero, sembrano tutt’oggi esse- re diventati, se non burocrati, passivi esecutori di «programmi», di organizzazione prestabilita, di parcellizzazione di competenze e di operatività (si vedano le prestazioni specialistiche), di «linee guida» politiche. In queste ultime decadi si sono sentite numerose lamen- tele dalla parte dei pazienti sulla mancanza di rapporto umano: il malato è un numero, un «letto» nell’ospedale, non una persona. Attualmente è nostra impressione che il pubblico italiano si sia, per così dire, abituato, e si lamenti di meno, salvo per casi salienti di 1. La psicosomatica, originariamente scoperta e declinata in funzione di alcune malat- tie, si è progressivamente dimostrata implicata in ogni tipo di malattia: comunque sem- pre essa è in gioco nelle vicissitudini somatiche, e psichiche, psicosomatiche (appunto) normali di ogni individuo, sganciata dal concetto di malattia. Oggi si preferisce parlare di equilibrio psicosomatico (Imbasciati, Margiotta 2005, 2008).

vergognosa inefficienza con conseguenti evidenti danni (morte ta- lora) per i pazienti: se ne è attenuata la coscienza? O il clima poli- tico sociale che si sta instaurando fa dimenticare ai migliori la sor- te di chi soffre?

Nel progressivo quadro di cui sopra la psicosomatica, ben ri- conosciuta a livello di studi e ricerca, è tuttavia rimasta scolla- ta dalla pratica ospedaliera. Riforme dell’assistenza, partite con le migliori intenzioni, nella loro applicazione hanno peggiorato la si- tuazione: le applicazioni della psicosomatica sono rimaste soffoca- te nell’organizzazione delle istituzioni sanitarie. I responsabili a li- vello dirigenziale, forzati a essere sordi alle nozioni scientifiche da parte dei vertici politici, a loro volta stretti in un sistema che co- stringe a sbandierare ottimismo, nel quadro generale del rispar- mio delle risorse economiche, non hanno potuto applicare la gran messe di contributi scientifici che la ricerca nel frattempo aveva messo a punto. D’altra parte la cultura psicologica della formazio- ne dei nuovi medici a lungo è stata in ritardo rispetto ai progres- si scientifici e quando, dopo il 1986, se ne è voluta un’applicazione al curriculum universitario, questa è stata vanificata, da mistifica- zioni e successivamente da mancanza di risorse: una cosiddetta Psicologia Medica è rimasta un grosso equivoco nella nostra cul- tura (Imbasciati 1993). Così la mancata fruizione dei giovani di una formazione più adeguata ha perpetuato un’ignoranza che si è ac- comunata al perverso gioco politico amministrativo di cui sopra.

In tale «gioco» l’appariscenza al grosso pubblico delle tecno- logie biomediche, sempre più perfezionate e reclamizzate nel- la loro macroscopica visibilità dei relativi macchinari e attrezzature, ha prodotto un grosso e pericoloso equivoco psicosociale, del re- sto già in atto in settori diversi da quello sanitario: inculcare, o co- munque rafforzare l’idea che ciò che conta per curare le malattie e per stare bene è dato dal progresso tecnologico, mentre il fattore umano non conta. Le tecnologie sono ritenute scientifiche men- tre i fattori umani, ovvero i dati delle scienze psicologiche – poco conosciute e più spesso misconosciute, se non mistificate da pre- giudizi, obsolete concezioni, riduzionismi al limite della ciarlatane- ria – non vengono presi in considerazione come scientificamente fondati; mentre una cernita valutativa di quanto appare in lettera- tura mescolando ciò che genericamente è chiamato «umano» con quanto è invece proprio delle scienze psicologiche, è spesso im- possibile. Inoltre le tecnologie, in quanto comportano applicazio-

ni transitive2 sono «più comode» dei fattori umani, che compor-

tano invece compartecipazione emotiva e impegno del soggetto: l’intersoggettiva è a ogni buon diritto un farmaco, di cui la psico- somatica ha dimostrato l’efficacia (Imbasciati 2009), ma che è sco- modo. Nel generale clima sociale attuale tale farmaco viene messo in ombra. Nel clima politico ciò collude con la necessità demago- gica di far apparire che la sanità funziona anche con le scarse risor- se e la disfunzionalità del sistema. L’appariscenza è ciò che conta, anche se questo rinforza a livello sociale uno stereotipo che an- drebbe invece combattuto, favorendo conoscenze e applicazioni che la psicosomatica ha scientificamente raggiunto.

In campo ostetrico, più che in altre aree, gli effetti psicosomati- ci sono salienti anche all’osservatore comune: il buon andamento della gestazione dipende dalla situazione psichica (sociale, relazio- nale, di coppia) delle donne (si pensi alle gestosi, agli aborti), così l’espletamento del parto, eutocico piuttosto che distocico, così come il puerperio e la secrezione lattea, per non dire delle oscure ragioni dell’infertilità che, come noto agli esperti, è psicogena nella maggioranza dei casi. Si tratta di effetti psicosomatici da secoli in- dicati nella cultura popolare, ma poco «creduti» da parte dei me- dici e degli operatori ostetrici, ancorché siano oggi confortati dalle conferme scientifiche: messe queste però in ombra, nella pratica, cosicché ogni applicazione di tali conferme scientifiche rimane im- pastoiata, almeno in Italia, nell’organizzazione sanitaria. O forse, se usiamo la distinzione di Jacques tra Organizzazione e Istituzione (Jaques 1951, 1955, 1956, 1961, 1970), l’applicazione è stata scoto- mizzata dall’oscura «Istituzione». Anche una psicosomatica ostetri- ca, pur evidente nella sua rilevanza, passibile di essere guida a una più generale applicazione della psicosomatica (Imbasciati 1998), è rimasta di assai difficile applicazione (Imbasciati 1994b, 1995a, b, 1996, 1997b, 1998; Imbasciati, Manfredi 1994). La medicina feta- le, nel frattempo sviluppatasi, avrebbe potuto dare un appoggio a una psicosomatica ostetrica, del resto continuamente corrobora- ta dalle ricerche scientifiche sulla percezione fetale e la comunica- zione gestante/feto (Imbasciati 1996, 1997a; Della Vedova, Imba- sciati 1998). Rilievo particolare in questi anni hanno infatti rivestito 2. «Transitivo» significa che il rapporto si esplica da un soggetto agente (operatore tec- nologico) su un soggetto passivo, che pertanto è «oggetto» (Imbasciati 1993), piuttosto che vero soggetto; a meno che «soggetto», anziché essere sostantivo, lo si voglia ironi- camente intendere come participio passato: soggezione del paziente? Sottomissione to- tale?

gli studi sulla percezione auditiva del feto e sulla conseguente pos- sibile comunicazione sonora tra la gestante e il suo bambino. In quest’area condussi con altri collaboratori una laboriosa ricerca longitudinale (Della Vedova, Manfredi, Imbasciati 1996; Manfredi, Imbasciati 1997; Imbasciati, Manfredi, Ghilardi 1997; Manfredi, To- masoni, Imbasciati 1999; Pagliaini, Imbasciati 2001) conclusasi in un volume nel 2004 (Manfredi, Imbasciati 2004): «Il feto ci ascol- ta… e impara».

Parallelamente allo sviluppo delle ricerche clinico-sperimenta- li, rese sempre più articolate lungo gli anni Novanta dalle progre- dite tecniche ecografiche, organizzatosi uno specialistico training per la psicoanalisi infantile approvato dall’IPA, nella letteratura psi- coanalitica si sono moltiplicati i contributi clinici rivolti al bambi- no piccolo (Vallino 1998, 2002, 2007, 2009; Vallino, Macciò 2004). Questi servono oggi da appoggio all’esplicitazione di grossi muta- menti teorici in psicoanalisi, a lungo tenuti impliciti per venerazione del maestro (Holt 1965, 1972, 1976, 1981; Gill 1976; Schäfer 1975; Eagle 1984; Fabozzi, Ortu 1996; Imbasciati 1998, 2006a, b, 2007a, b, 2010a). Sia il primo che il secondo gruppo di contributi portano a un’integrazione tra psicoanalisi infantile e Infant Research (spe- rimentale), che si traduce in un progressivo rilievo dell’importan- za dei primi tempi di vita dell’essere umano – dal feto al neonato, al bimbo piccolo – nella sua relazione con la madre e i caregi- vers: l’attenzione si rivolge allora essenzialmente al periodo peri- natale focalizzandosi sulla relazionalità (Greenspan 1997; Imbascia- ti 2010b, 2011a); l’intervento psicoterapeutico non è più rivolto al bambino ma sempre più ai genitori (Vallino 2009).

Si è così imposta alla nostra attenzione la necessità di formaliz- zare una Psicologia Clinica Perinatale (Imbasciati, Dabrassi, Cena 2007), declinata in chiave di assistenza alle donne nella gestazio- ne, nel parto, nel puerperio e nell’accudimento del bimbo. Si pro- pose pertanto, nel 1997 da parte di uno di noi (Imbasciati 1997a, b), il cambiamento dell’ormai sorpassata psicoprofilassi ostetrica a una più comprensiva Psicologia Clinica Perinatale.

2.3. DALLA PSICOPROFILASSI OSTETRICA ALLA