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IL TRIANGOLO PRImARIO Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciat

10.2. LA mODULAzIONE mATERNA

Antonio Imbasciati

Si studia oggi come una madre, un caregiver, a seconda delle pro- prie capacità emotive può far imparare – si potrebbe dire «inse- gnare» – al suo bimbo. È appunto questo il tema centrale dell’In- fant Research, imperniato sulla qualità del dialogo non verbale madre/bambino e su cosa e come in questo dialogo passa, e come esso viene assimilato dal bambino che in tal modo sviluppa la sua mente.

Quanto nel senso comune è stato chiamato «affettività» o «ca- pacità affettive» della madre, o «comunicazione di affetti» ritenuti fattori favorenti lo sviluppo fisico psichico e psicosomatico del ne- onato, nonché quanto sotto termini psicoanalitici di dinamica affet- tiva è stato rilevato dalla psicoanalisi infantile (Vallino 1998, 2002, 2007, 2009; Vallino, Macciò 2004), nonché ancora quanto rileva- to in termini cognitivo-comportamentali dalla maggioranza del- le ricerche sperimentali (dalla Ainsworth fin quasi ai giorni nostri), è in realtà un complesso dialogo di comunicazioni che strutturano il cervello: del bambino, e anche della madre. Su tale concetto cardi- ne è strutturato tutto il nostro presente testo. Poiché spesso, mal- grado le attuali conoscenze scientifiche nonché quanto dal nostro libro fin qui ricavato, gli operatori dell’infanzia, o meglio tutti i vari operatori della perinatalità, continuano a ragionare e ancor più ad agire in termini rozzamente affettivi e con ciò scivolano e vengono riassorbiti dal riduzionismo di concetti del senso comune (cfr. par. 4.1), riteniamo necessario, a scopi didattici, continuare a sottolinea- re come «affettività» significhi comunicazione che struttura il S.N.C. E ciò anche per gli adulti. E come tale strutturazione significhi ap- prendimento; così come ogni altra capacità riscontrata.

A seconda delle proprie capacità, un caregiver è di più o di meno in grado di capire i messaggi espressigli dal bimbo (e anche dal feto) e di rispondergli, in misura adeguata e congruente (vero dia- logo, sintonico) oppure in maniera disordinata, disorganizzante, in- trusiva, o di rispondergli deficitariamente, o di non rispondergli af- fatto (come accade per esempio alle madri depresse). A seconda di tali capacità della madre, suo figlio risponderà: in tal modo si in- staura un dialogo, che potrebbe essere vero dialogo, che favori- sce l’apprendimento del bimbo, e costruisce le sue funzioni neuro- mentali, in modo più o meno ottimale, ma potrebbe anche essere uno pseudo-dialogo, difettoso, deficitario, incongruente, sfavoren- te la costruzione della mente (delle relative reti neurali) del bimbo stesso (Imbasciati 2006a, b); al limite potrebbe essere patogeno.

Questo dialogo, nel bene e/o nel male, viaggia sulla comunica- zione non verbale della madre e del bimbo che intercorre, sem- pre e comunque, automaticamente e al di là della consapevolezza, nelle interazioni che compongono quanto viene chiamato accu- dimento. Sguardi, intonazione di voce e altre sonorità, espressivi- tà facciale e soprattutto l’insieme tattile-motorio, nonché la modu- lazione olfattiva (e gustativa nell’allattamento al seno) emessa dalla madre che si occupa del figlio, costituiscono i veicoli materiali di messaggi: sono i significanti di significati che vengono trasmessi.

Per significare, cioè trasmettere davvero un messaggio, è in- dispensabile che tali significanti siano adeguatamente codifica- ti dall’emittente e compresi, cioè adeguatamente decodificati dal ricevente; e così le risposte (cfr. par. 7.2). Codifica e decodifi- ca possono avvenire in sintonia: la madre possiede la capacità di emettere configurazioni sensoriali adeguate alle capacità di com- prensione del bambino in quel momento (capacità di decodifica) e per far questo deve possedere anche la capacità di capire (decodi- ficare) i significanti da lui emessi , cioè quello che in parole pove- re il «bambino gli vorrebbe dire», o «quello che il bambino vuole». Questa situazione ottimale non sempre però avviene: la madre può non possedere le suddette capacità, o averle parzialmente, o esse- re nella situazione momentanea di non poterle esplicare, per cause esterne o interiori. Così, a seconda della gradualità di tale capacità, il dialogo può essere positivo e favorire lo sviluppo, piuttosto che negativo e patogeno (cfr. parr. 4.2 e 4.3).

L’accudimento, pertanto, non è il semplice provvedere alle ne- cessità materiali (cibo, pulizia) del bimbo, ma contiene in sé la ma- trice di quello che sarà lo sviluppo neuro-mentale di quel bimbo.

Quanto sopra descritto in termini di comunicazione può esse- re espresso dal termine «cure materne», evitando però le mistifica- zioni di cui abbiamo discusso al capitolo 4, e che spesso accadono nella cultura degli operatori perinatali (Imbasciati 1997b, 2008b). Questo vale anche per ciò che è contenuto nel termine «relazio- ne», o meglio «qualità della relazione» madre/neonato: anche qui avvengono abusi nell’operatività degli operatori, che in tal modo inconsapevolmente non vedono le loro deficienze formative3.

Quanto sopra è convalidato oggi dalle neuroscienze: si trat- ta della «Affect Regulation», piuttosto che della «Affect Disregula- tion», che producono rispettivamente il «Repair of the Self» piut- tosto che i «Disorders of the Self» di cui parla Schore (2003a, b); così come è stato detto e che qui ripetiamo. Gli affetti non sono un surplus per lo sviluppo, come purtroppo ancor oggi molti ope- ratori credono, o comunque esplicano tale credenza negandose- la in coscienza ma imprimendola nel loro comportamento profes- sionale. Gli affetti sono la strutturazione, la costruzione (Imbasciati 2006b) del cervello emotivo, di cui abbiamo delineato l’importan- za per tutto lo sviluppo del bimbo e del futuro individuo. Sviluppo anche somatico, psicosomatico, giacché il cervello emotivo è di- rettamente connesso con le funzioni cerebrali della base (ipotala- mo soprattutto) che regolano il S.N.V., l’assetto ormonale, il sistema immunitario, la riproduzione cellulare. Il cervello emotivo è il rego- latore psicobiologico dello sviluppo, così come fu dimostrato sa- lientemente nella sperimentazione animale (Hofer 1981, 1983; Tay- lor 1987) e poi confermato nell’uomo.

Qui di seguito, richiamando lo schema che al capitolo 4 riassu- meva l’intreccio delle diverse ricerche nello studio della perinatali- tà (fig. 1), nonché gli schemi relativi alle cosiddette cure materne e al loro effetto transgenerazionale (fig. 2 e fig. 3), riteniamo utile ag- giungere due ulteriori tabelle visivamente riassuntive.

3. In verità è questo un piccolo ma significativo esempio di come difficile sia nella nostra attuale cultura sanitaria organizzare un’adeguata formazione degli operatori: formazione innanzitutto emotiva, e pertanto attuata attraverso le forme che le scienze psicologiche hanno studiato; forme tutt’altro che di apprendimento tradizionale.

Fig. 6.La relazione.

Fig. 7.Le cure materne.

CURE mATERnE

› Significati veicolati dai significanti emessi dalla madre › Correlati alla struttura psichica primaria della mente materna › Modulati dalle capacità della mente materna di sintonizzare

(rêvérie) coi messaggi emessi dal bimbo

› Assimilabili dalla mente neonatale a costituire

la struttura mentale primaria del bimbo

NON CONSISTE NELLE CURE E PREMURE FISICHE NÉ NELLA PRESENZA ASSIDUA

EFFETTI

› Positivi nella misura in cui i significanti emessi dalla madre corri-

spondono a significati precisi e gli uni e gli altri costituiscono ri- sposte adeguate (vero dialogo e non pseudo-dialogo) rispetto ai significanti e significati emessi dal bimbo, a un livello di elabora- zione compatibile con le capacità di assimilazione e elaborazione in quel momento in atto nella funzionalità della mente neonatale.

› negativi nella misura in cui i significati materni non hanno corri-

spondenza precisa con rispettivi significanti, non costituiscono ri- sposta adeguata ai significati espressi dal neonato (significanti non compresi) e non sono assimilabili dalle capacità mentali del neo- nato in quel momento.