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GESTAzIONE E PARTO Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciat

3.4. PARTO E PUERPERIO

Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciati

Il parto è il momento in cui avviene il primo incontro «vis à vis» tra madre e bambino, un incontro che però può essere carico di ambivalenze. Se da un lato c’è la gioia di vedere finalmente il pro- prio bambino, di poterlo tenere tra le braccia, accarezzarlo diret- tamente (e non più solo attraverso la propria pancia), dall’altro il bimbo rappresenta anche l’emblema del dolore, quel dolore fisico, viscerale che può aver comportato non indifferenti cambiamen- ti della propria corporeità e che ha accompagnato il travaglio (cap. 6). Questo momento di ambivalenza porta con sé ansie, dolore e stress, che sappiamo possono indurre nella gestante cambiamenti fisiologici a livello endocrino, cardiocircolatorio, respiratorio e me- tabolico (Ferrari, Frigerio 1998).

Dalla letteratura, soprattutto di orientamento psicoanaliti- co, emerge che il parto corrisponde alla conclusione della ter- za fase della gravidanza (Pines 1972, 1982; Raphael-Leef 1980) e a una nuova dimensione della maternità. È un momento caratte- rizzato da forti ansie dovute alla paura di morte, di distruzione del proprio corpo e del bambino. Infatti, se da un lato la donna vive il parto come la possibilità di avere conferma della funzionalità del proprio corpo, della capacità di procreare, dall’altro teme un falli- mento in questo senso e pertanto si sente sopraffatta da senso di inadeguatezza (Ammaniti, Cimino, Trentini 2007). È a seconda di come è stata l’evoluzione delle vicende psichiche profonde nella bambina e nella donna (Imbasciati 1990) che la gravidanza e il par- to saranno vissuti in modo diverso. Nel caso in cui il figlio è per- cepito come un atto riparativo con i propri oggetti interni prima- ri (la propria madre), la donna vivrà il feto come essere diverso da sé e come qualcosa di creativo che ha potuto generare col proprio partner. Nel caso in cui il rapporto con la propria madre è stato in- vece problematico, la gravidanza sarà di tipo fusionale e la donna vivrà con grosse difficoltà la separazione che il parto, in particola- re la fase espulsiva, rappresenta. Infine, nel caso in cui lo sviluppo della donna sia stato caratterizzato da sentimenti di rivendicazio- ne nei confronti dei propri genitori, sentimenti che sono stati poi metabolizzati in una modalità schizoparanoide, la gravidanza e il parto saranno caratterizzati da angosce terribili che rappresentano l’aspetto manifesto di una più inconscia paura di punizione, spesso

simbolizzata dal sentimento di aver partorito un «mostro» (Imba- sciati, Cena 2007).

Le angosce che la partoriente vive durante il parto sono, secon- do Fornari (1981), diverse e specifiche a seconda della fase che sta vivendo: durante il periodo dilatante proverebbe più un’angoscia di tipo persecutorio dovuta alla sensazione di essere distrutta, la- cerata, frammentata; durante il periodo espulsivo proverebbe più un’angoscia di tipo depressivo dovuta alla paura più di far male, di danneggiare il bambino che di arrecare dolore a se stessa.

La separazione biologica che esso implica rappresenta un vero e proprio punto critico, che comporta necessariamente la rot- tura con uno stato precedente, e la necessità di una riorganizza- zione fisica e mentale. Talora si rileva la sensazione di aver perso qualcosa di sé (Breen 1992), anche se c’era la consapevolezza di un feto differenziato da lei, il passaggio dal «bambino immaginato» al «bambino reale» toccato e veduto (che a volte non corrisponde al primo) è difficile, o si crea la sensazione di uno «spazio vuoto» (Ferraro, Nunziante Cesaro 1992) da dover in qualche modo col- mare con la ricerca di nuove soddisfazioni.

Nel puerperio la partoriente può avere la sensazione di sentirsi «finalmente svuotata», ma nello stesso tempo di aver perduto im- portanti parti di sé. Questi sentimenti di perdita sono, secondo la Breen (1992), rivolti sia alla gravidanza stessa, che al bambino in- terno e a quello fantasmatico2, e quindi può costituirsi una triplice

sensazione di perdita: con la fine della gravidanza si perde quella parte di sé che si sentiva realizzata, piena, e appagata; nei con- fronti del bambino interno si ha la sensazione di perdere la parte di sé vissuta in simbiosi con il feto, mentre nei confronti del bambi- no fantasmatico può costituirsi il vissuto di aver perso quella parte del sé fantasmatico che (desiderava) temeva di non essere la buo- na madre ideale.

Pertanto il passaggio dal parto al puerperio comporta per la donna uno sconvolgimento particolare, che alcune volte eviden- zia fenomeni di scompenso e, in particolare, episodi di depressio- ne. Le stime riportano che il 10-18% delle donne è a rischio di svi- luppare una depressione post partum, il 2-3% un disturbo da stress post traumatico post partum, l’1-2% una psicosi puerperale e che 2. Mentre il «bambino immaginario» si colloca all’interno delle fantasie coscienti e realisti- che della donna e può essere condiviso con il partner, il «bambino fantasmatico» è radi- cato nelle fantasie inconsce infantili ed è connesso alle relazioni oggettuali e alle dinami- che delle rappresentazioni genitoriali (Lebovici 1983).

una percentuale che varia tra il 30 e l’85% è a rischio di sviluppa- re una depressione di natura più transitoria, come il maternity

blues3 (Monti, Agostini 2006). In quest’ultimo caso e nel caso del-

la depressione post partum, non trattandosi di sindromi importanti come avviene per la psicosi puerperale, si rischia di non riconosce- re e sottovalutare la situazione, che sappiamo può avere ripercus- sioni importanti sull’interazione con il bambino e il suo sviluppo af- fettivo e cognitivo (Murray, Cooper 1999; Tronick 1999; Agostini, Favoni Miccoli, Benassi 2002).

Il parto, pertanto, può essere vissuto non solo come un momen- to di gioia, ma anche come un «lutto» che costringe la donna a se- pararsi dal proprio figlio. Di qui la depressione puerperale. La se- parazione della nascita, simbolizzata dalla perdita definitiva della placenta e dal taglio ombelicale, può però venir compensata dal- la continuità della relazione, che si era instaurata durante la gravi- danza, con il figlio, purché tale passaggio avvenga armonicamente. Il superamento di questa fase di riorganizzazione sarebbe possibi- le grazie a un processo di «regressione» in cui la madre riesce a identificarsi con il neonato e a sviluppare una comprensione istin- tiva dei suoi bisogni, favorendo questo senso di continuità con la vita intrauterina. Winnicott (1958) definisce questo particolare stato di fusione come una forma di «follia». La capacità di essere madre è, almeno inizialmente, funzione della propria capacità di regredi- re e identificarsi con il neonato. Vi sono alcune donne, soprattut- to quelle che soffrono di psicosi puerperali, che non sono in grado di «preoccuparsi», nel senso di prendersi cura del proprio bambino. Winnicott (1958) parla in questo caso di una «fuga verso la sanità» che impedirebbe alla donna di cedere alla «malattia» che la stessa maternità richiede, cioè poter regredire con lui. La capacità di am- malarsi e guarire da questa malattia è invece presente in quelle che Winnicott ha definito «madri devote» (Winnicott 1987), ovvero ma- dri in grado di occuparsi totalmente del proprio bambino togliendo tempo all’ambiante circostante.

Stern (1995) parla di una «nuova e peculiare» organizzazio- ne psichica, che definisce «costellazione materna», che verreb- be adottata dalla donna con la nascita del figlio, in particolare con il primo. Tale organizzazione «comporta un insieme di tenden- ze, di sensibilità, di fantasmi, di paure e di desideri specifici. Cor- 3. Il maternity blues avviene generalmente 3-7 giorni dopo il parto con uno stato di de- pressione che si manifesta con irritabilità, labilità affettiva, crisi di pianto alternate a mo- menti euforici.

risponde a tre tipi di discorso: il discorso della madre con la pro- pria madre, in particolare con sua madre come madre di se stessa in quanto bambina; il discorso della madre con se stessa; infine, il discorso della madre con il suo bambino» (Houzel 2005). La don- na si trova in un cruciale passaggio: da figlia diventa madre e ora questo doppio ruolo, prima solo inferito durante tutta la gravidan- za, nel puerperio viene sperimentato più concretamente. Rispetto ai nuovi ruoli nella famiglia e nell’ambito sociale, la donna deve po- ter richiamare quei modelli identificativi, in particolare quelle azioni svolte dalla propria madre e vissute da lei bambina, per esercitare la propria funzione genitoriale nel contesto del quotidiano. La don- na si trova alle prese con interrogativi e dubbi sulla propria capacità di crescere il bambino e con le relative decisioni, come il desiderio di allattarlo al seno piuttosto che allattarlo artificialmente (cap. 7). Su questa dimensione intervengono peraltro ulteriori fattori, qua- li il mandato generazionale madre-figlia come pure la trasmissione intergenerazionale degli stili di attaccamento (Bretherton, Munhol- land 1999; Fonagy, Steel, Steel 1991; Fava Vizziello et al. 1995). Ma- dri dunque non si nasce, ma si diventa attraverso un processo che ha inizio molto prima della gravidanza vera e propria e che com- porta un progressivo avvicinamento alla maternità, e che subisce altresì profonde modificazioni in funzione della dimensione cultu- rale di riferimento (Fava Vizziello et al. 1993; Ammaniti et al. 1995; Stern, Bruschweiler-Stern, Freeland 2000).

CAPITOLO 4

LA mATRICE