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COmUNICAzIONE, SVILUPPO Antonio Imbasciati, Francesca Dabrass

CAPITOLO 8 IL DIALOGO EmOTIVO

8.1. L’INTERSOGGETTIVITà COmE FARmACO

Antonio Imbasciati

Gli studi sulla comunicazione madre/figlio, sulla qualità della re- lazione e sui suoi effetti neuromentali strutturanti, nell’ottimalità come nella disfunzionalità fino alla patologia, si sono focalizzati, in un primo tempo, sul bambino, vista l’importanza condizionante lo sviluppo dei futuri individui. Tuttavia quanto osserviamo e riscon- triamo come effetto nel bimbo ha anche la sua azione reciproca sulla madre: è nozione comune che avere e accudire un figlio pro- duce mutamenti nell’assetto mentale della madre, nonché, con minor rilievo in quella del padre, o comunque dei caregiver. Quan- to riscontriamo avvenire attraverso la PET nel cervello del neonato ha il suo corrispondente effetto nel cervello della madre che con lui dialoga, nelle interazioni, che veicolano significati, e comunque in ogni comunicazione non verbale. La ricerca psicologica si è per- tanto, in seconda battuta, focalizzata sul caregiver: si studia e si de- scrive il formarsi della genitorialità, dell’attaccamento prenatale e tutti i successivi sviluppi (Imbasciati, Dabrassi, Cena 2007; Imba- sciati, Cena 2010). I recenti studi sui neuroni specchio confermano un parallelo lavoro nei cervelli di due o più dialoganti anche adulti, comunque in interazione: questo è stato posto in relazione con le situazioni di empatia (Merciai, Cannella 2009).

Nel caso di un bimbo con il suo caregiver, le strutturazioni che si costituiscono nel bambino sono di gran lunga maggiori delle ri-

strutturazioni che possono accadere nel caregiver: il cervello di un adulto ha acquisito una struttura funzionale enormemente più sta- bile, pur tuttavia ancora «plastica». Sappiamo che ogni struttura costituita condiziona gli apprendimenti che la susseguono (Imba- sciati 2006a, b) e questi modificano la struttura, di solito sviluppan- dola in modo sempre più articolato: pertanto una struttura adulta, in quanto in precedenza a lungo da ogni esperienza costruita, non avrà le probabilità di modificarsi ulteriormente pari a quelle che ha un bambino. Tuttavia, come dimostrano le ricerche che hanno ri- levato modificazioni neurali a seguito di psicoterapia, ogni espe- rienza intima e prolungata, emozionalmente intensa, produce mo- dificazioni strutturali. Dunque anche il formarsi di quanto è stato clinicamente descritto come genitorialità dovrebbe avere il corri- spettivo neurale. Ciò che vale nella direzione dalla madre-caregiver al bimbo, dovrebbe pertanto accadere anche in direzione inversa, dal bimbo alla madre, confermando la nota osservazione che l’alle- viare un figlio modifica le persone nelle loro caratteristiche emoti- vo-caratteriali.

È del resto clinicamente accertato come qualunque rapporto in- terpersonale tra adulti, purché di qualche rilievo, modifichi le per- sone, dall’una all’altra e viceversa: esemplificative sono le relazio- ni amorose, l’assortimento di una coppia e le relative convivenze. Sono questi gli effetti della relazione, o meglio della reciproca as- similazione dei messaggi veicolati dalle interazioni intersoggetti- ve. Queste sono anche la base di effetti psicosomatici, evidenti nel bimbo, sussistenti anche nella coppia e nei singoli: la soggettività è sempre intersoggettività e, in quanto implica il cervello emotivo, modula le funzioni somatiche.

Da tempo una vasta letteratura ha descritto gli effetti del rap- porto medico-paziente: se questo è noto per ciò che riguarda so- prattutto il paziente, non mancano gli studi degli effetti sul medi- co (Stein 1989); effetti psichici così come anche psicosomatici. Più noti in quest’area sono gli studi psicoanalitici sugli psicoanalisti, sul loro controtransfert, che non di rado presenta aspetti somatici.

Attenendoci all’evidenza degli esempi studiati dalla letteratura sugli effetti che la relazione del medico ha sui pazienti, possiamo affermare come l’intersoggettività sia paragonabile a un farmaco. Quando i suoi effetti sono più evidenti in uno dei due (o più) sog- getti, come nel caso del paziente che mostra effetti psicosomatici (positivi o negativi sul decorso della malattia) a seconda della qua- lità del rapporto «umano» che il medico con lui instaura, nel caso

del bimbo, che con ancor più evidenza viene modulato psicoso- maticamente (oltre che strutturato neuropsichicamente) dal care- giver, si può parlare in modo proprio dell’azione di un farmaco, che può far bene così come male: farmacum in latino significa anche veleno.

Nel caso del medico, viene da considerare quanto la tecnolo- gizzazione progressiva della medicina e la complessa parcellizza- zione e distribuzione burocratica di compiti, possa togliere al me- dico stesso, pur volenteroso, e forse anche preparato, la possibilità che la sua soggettività agisca su quella del paziente modulando al meglio il suo psicosoma. Nel caso del bimbo, viene da considera- re non solo quanto un caregiver che non possiede capacità rela- zionali (per esempio una madre depressa, o troppo indaffarata, o con troppi conflitti e strutture disfunzionali) possa agire come un farmaco venenum, ma anche il caso, in analogia a quello del me- dico soffocato dall’istituzione, di una madre che, pur possedendo buone e anche ottime capacità strutturali di buona relazionalità per un accudimento positivo del bimbo, per situazioni esterne (lavo- ro, stress, lutti o disastri familiari) resti impedita dall’esplicare le sue buone capacità e pertanto agisca negativamente (farmacum/vene- num) sul bimbo. Di qui l’attenzione a una cura rivolta ai genitori:

raising parents (Cena 2011; Cena, Imbasciati, Baldoni 2010; Imba-

sciati 2011b, c).

In ogni caso la soggettività di ogni individuo interagisce con quella delle altre persone con cui entra in relazione, reciproca- mente anche se non simmetricamente, ovvero a seconda della preponderanza di direzione del flusso strutturante dall’uno all’altro e della complementare recettività dell’uno piuttosto che dell’altro.