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DALLA PSICOPROFILASSI OSTETRICA ALLA PSICOLOGIA CLINICA PERINATALE

CAPITOLO 2 L’AREA OSTETRICA

2.3. DALLA PSICOPROFILASSI OSTETRICA ALLA PSICOLOGIA CLINICA PERINATALE

Antonio Imbasciati

La suddetta espansione di una possibile assistenza fondata sulle so- pravvenute scoperte sulla formazione della mente infantile dalle re- lazioni, può essere documentata da un vecchio articolo (Imbasciati 2004c), al tempo di attualità, di cui riportiamo qui alcuni passi.

Da molti secoli, da millenni, da quando l’homo sapiens sviluppò una «cultura», in tut- te le culture si è costituito, nelle varie forme di collettività, un corpus di conoscenze, di credenze e di prassi per un’assistenza alla donna che partorisce. Gravidanza e parto furono e sono tuttora gli eventi che garantiscono la continuazione della vita oltre gli anni concessi al singolo, e lo sviluppo stesso delle collettività umane: uno sviluppo che ben presto, nei primordi, da semplice proliferazione della specie diventò pro- gressivamente sviluppo della cultura. La costituzione della famiglia, quale nucleo di gestione di emozioni sulle quali si innesta la riflessione sulla necessità di migliorare le proprie condizioni, nonché l’inventiva per attuarne il progetto, diventò nucleo di ag- gregazione di gruppi più vasti, di collettività, che necessitavano dì essere organizzate: dalle «tribù» si passa alla «civiltà», e dalla gestione (comportamentale) delle emozioni alla riflessione, al pensiero, alla conoscenza. Possiamo qui scorgere, nel collettivo, quel passaggio, dall’emozione dal pensiero, che la psicoanalisi più recente (dall’opera di Bion in avanti) ha elucidato nello sviluppo mentale del singolo. Ma anche possiamo qui intravedere come proprio le emozioni primarie connesse alle progenie, possano considerarsi fulcro di pensiero, nonché parallelamente, secondo i più recenti studi sui rapporti tra comunicazione, linguaggio e pensiero, fulcro di socializzazione e quindi di civiltà.

Il passaggio dall’emozione informe al pensiero non è né semplice, né rapido, né line- are, nel singolo come nel percorso collettivo. Così, tra il punto di partenza emotivo e quell’elucidazione organizzata che viene studiata sotto l’ampia denominazione di pensiero, si interpongono credenze: qualche volta felici intuizioni che preludono la conoscenza, più spesso credenze arbitrarie, inutili, errate, talora dannose; e conse- guenti prassi, codificate in regole dettate più dall’angoscia che da percorsi conosciti- vi; regole a priori spesso rigide, anch’esse talora dannose, incorporate nelle religioni e nelle ideologie. Così, nella considerazione e nella prassi delle varie forme di colletti- vità civilmente organizzate, gravidanza, parto e cura del neonato sono state fatte og- getto di regole, mutevoli nel tempo e nei luoghi, per le quali si sono costituite perso- ne esperte nell’applicarle. Nel tempo e nelle varie culture, con fisionomie differenti, si è costituita la figura dell’ostetrica: la sage femme, come nella felice dizione francese. Donne in aiuto alle donne, per il mantenimento della vita, utilizzando l’esperienza diretta di generazioni di donne. Ma non fu dimenticata, in alcune culture distanti dalle nostre, la presenza e l’assistenza del partner, alla donna che gli dà la progenie, come attestano testimonianze di culture a torto considerate primitive.

Nella nostra civiltà «occidentale» la cultura delle esperte, più tardi dette ostetriche, subì una lenta ma radicale trasformazione, nel secolo diciannovesimo e ventesimo, a opera del progresso della medicina, che sull’onda delle frequenti complicanze, ta- lora mortali, delle vicende perinatali, sviluppò un’ostetricia basata su cognizioni bio- logiche e medico-chirurgiche. Le ostetriche furono addestrate in apposite scuole ospedaliere, perché la loro opera diventasse più adeguata alle conoscenze scienti- fiche che si andavano accumulando nell’area relativa alloro operare. Ne venne fuori

un’ostetrica che operava in subordine, per lo meno conoscitivo, al medico, specia- lizzandosi questi nell’area che fu detta ostetrico-ginecologica. Ne venne però fuori anche quella che fu detta la medicalizzazione della cultura del parto; e della prassi delle ostetriche. Sui vantaggi e sui difetti ditale medicalizzazione ampiamente si è discusso e scritto […].

Vi sono tuttora difficoltà, nella cultura sanitaria, ad afferrare pienamente il senso e l’importanza dello psichico nella sua relazione coi processi biologici che regolano l’organismo. Si comprende la cosiddetta malattia psicosomatica – concetto oggi scientificamente obsoleto – ma molto meno la costante modulazione psichica della fisiologia somatica […].

Il fatto che i processi psichici modulino quelli organici appare misterioso e comunque viene sottovalutato. Si ammette che processi psichici possano interferire con quelli biologici – così si suoi dire – ma il concetto di interferenza è erroneo, e conferisce al fenomeno l’attributo del patologico. I processi psichici non interferiscono, ma re- golano, e sempre, gli automatismi biologici e con notevoli effetti. Ancor meno si considera come, dicendo «processi psichici», non si tratta di strutture insite nel sin- golo individuo, ma di processi che avvengono sempre per la relazionalità, mutevole nel tempo, che ognora e diversamente ogni individuo attraversa. Alla radice di questi misconoscimenti non c’è un’adeguata considerazione che a quanto individuiamo o inferiamo come processo psichico corrisponde sempre un processo neurale, che interessa tutto l’encefalo, anche se più intensamente la corteccia, e che questa, in collegamento con le strutture subcorticali, e particolarmente via ipotalamo, neuroi- pofisi, ipofisi, sistema endocrino, sistema neurovegetativo e anche sistema immu- nitario, regola tutti i processi biologici dell’organismo. In altri termini non è ancora del tutto assimilata la concezione attuale della psicosomatica, e che non esiste il presunto «misterioso salto della mente al corpo».

E ancor meno si considera – dicevo – il fatto che qualunque processo psichico, e neurale, dipende non solo dal modo con cui il singolo apparato psico-neurale ha im- parato a funzionare a seguito delle pregresse esperienze di quell’individuo (la struttu- ra funzionale individuale), ma anche dalle esperienze ognora attuali: queste vogliono dire relazioni. «Relazioni umane», allora, come oggi si suol dire, deve, oggi, avere un preciso e attuale riferimento scientifico, alla neurofisiologia, alla psicofisiologia e alla psicologia, in particolare a quella che studia i processi emotivi. Qui includo la psicoanalisi, nel suo sviluppo moderno, e non fraintesa (purtroppo accade) come coincidente con status delle sue origini storiche. Non si può oggi, pertanto, parlare di relazioni umane intendendo l’aggettivo umano nel senso comune. Purtroppo in- vece ciò accade, nella cultura sanitaria, e così l’etichetta «relazione umana», o anche «umanizzazione della medicina», copre l’ignoranza dei progressi della psicologia, e della psicosomatica in particolare, e si presta agli abusi. Gli abusi per cui professionisti della sanità non specificamente specializzati e dunque non adeguatamente compe- tenti nelle scienze psicologiche si impadroniscono rozzamente e riduzionisticamen- te di prassi alle quali non vengono sottesi adeguati presupposti scientifici. È ricorren- te, oggi, constatare quanto gli operatori più diversi, usino termini tratti dal linguaggio delle scienze psicologiche senza minimamente sapere cosa quelle «parole» in realtà significhino.

Nel quadro delle difficoltà della cultura sanitaria ad assimilare i contributi della Psicosomatica, della Psicoanalisi e della Psicolo- gia Clinica, così come nei precedenti paragrafi è stato sommaria- mente tratteggiato, si impose il ruolo dell’Ostetricia quale campo

privilegiato perché nella pratica si dovessero progressivamente ri- conoscere, sotto l’incerta etichetta di fattori umani, proprio quei contributi che a livello scientifico generale incontravano diffiden- ze e difficoltà applicative. Dalla prassi clinica delle ostetriche, più ancora che in isolati settori medici (già è stato accennato all’ope- ra pionieristica di Ferruccio Miraglia) sono nate intuizioni che, mes- se nella pratica, hanno poi prodotto sviluppi clinici e di qui ricerche e riconoscimento scientifico.

A livello sperimentale, psicologico e neurofisiologico, si è studia- to nelle decadi Novanta e Duemila il ruolo delle emozioni, intese non più e non tanto in quanto esperite dalla coscienza del sogget- to (il sentirsi emozionati), bensì nelle loro manifestazioni, esterne comportamentali somatiche, e nelle loro evidenze neurologiche, e si è progressivamente scoperto come il cervello emotivo sia base per tutte le funzioni psichiche, cognitività inclusa. Questo ha dato supporto sperimentale all’affermarsi della considerazione di pro- cessi mentali non consapevoli: in altri termini la ricerca sperimen- tale ha convalidato un concetto di inconscio sovrapponibile, anche se diversamente formulato, a quello, mezzo secolo prima descritto dalla psicoanalisi.

In queste ultime decadi è avvenuta un’integrazione tra le ricer- che sperimentali e il contemporaneo progresso della ricerca clinica psicoanalitica, cosicché anche in psicoanalisi il concetto di incon- scio è profondamente cambiato (Merciai, Cannella 2009; Imba- sciati 2010a, b, 2011a). I processi psichici inconsapevoli, definibili come mentali ad ogni buon diritto (si veda il concetto della parola inglese Mind, anziché la nebulosa distinzione italiana psiche/men- te) sono la base dello sviluppo e dell’evolversi di tutto l’essere uma- no, dall’epoca fetale fino a che dura la vita, nel corpo e nella mente inscindibilmente. D’altra parte fu proprio la psicoanalisi, col con- cetto di «inconscio», a formulare le prime ipotesi nello svolgersi dei processi che danno luogo a quanto è stato chiamato affettività: gli attuali sviluppi della psicologia delle emozioni danno ragione sia del ruolo basale dell’affettività nel generare (quasi un motore) tut- ti gli eventi mentali, sia al loro essere in massima e più importante parte inconsapevoli.

Parallelamente ai progressi della psicologia delle emozioni

gli studi sulle dinamiche psichiche profonde hanno permesso di vedere quanto quest’ultime fossero attive e peculiari nella donna in relazione alle sue vicende ses- suali, con al centro quelle riproduttive. Si è studiata la psicodinamica della femmi- nilità, e la particolare riedizione di questa quando la donna concepisce, conduce la

gestazione, partorisce e dipoi accudisce il neonato; i progressi della psicosomatica ne hanno chiarito l’impatto sulla corrispondente fisiologia corporea. E si è visto come la stragrande maggioranza delle difficoltà di gestazione, patologie in particolare, del parto (presentazione, travaglio), del puerperio, dell’allattamento, fossero dipendenti da corrispondenti dinamiche psichiche. È nata così l’idea di aiutare la donna, con «qualcosa» che avesse una valenza preventiva nei confronti delle difficoltà, normali e/o patologiche, del suo diventar madre. È nata la psicoprofilassi del parto, i corsi di “preparazione” al parto, o meglio si sono inventate le varie (talora variopinte) prassi per preparare la gestante a partorire in condizioni psichiche presumibilmente miglio- ri, nell’intento, o per lo meno nella speranza, di diminuire i rischi delle complicanze […].

La suddetta multiformità, del resto inevitabile quando si percorrono strade nuove, ha avuto e ha tuttora una complessa evoluzione. Ai contributi delle scienze psicolo- giche (psicodinamica e psicosomatica in primis) si sono sommati quelli provenienti dalle variazioni dell’assistenza medico-ostetrica, nonché quelli che più recentemente sono stati aggiunti attingendo (a mio avviso con poca cautela) alle scienze pedago- giche. È variata di conseguenza anche la terminologia: non sì parla più, per esempio, di «psicoprofilassi», e forse a ragione, ma piuttosto (e non so quanto a ragione) di «educazione»; educazione al parto, alla gestazione, educazione prenatale, perinata- le. La cautela – che qui sottolineo – che ritengo indispensabile nell’attingere al con- cetto educazione, sta nel fatto che i processi psichici che si attivano in gravidanza, nel parto e in tutte le vicende perinatali, sono inconsapevoli e pertanto difficilmente sondabili, soprattutto nella loro incidenza psicosomatica. Il concetto di educazione facilmente si presta a essere concepito in termini di processi coscienti: di qui i rischi di facili presunzioni che le prassi di intervento così escogitate realmente incidano sulla psicosomatica del parto.

Altrettante facili presunzioni si riscontrano nell’uso dei concetti psicoanalitici, spesso intesi riduttivamente o come mere teorizza- zioni. La multiformità delle Scuole che nelle scorse decadi ha con- trassegnato la costituzione dei vari corsi di preparazione alla nasci- ta, comunque variamente denominati e differentemente impostati coi diversi apporti medici, fisioterapici, educativi e psicologici, dice della necessità della formazione di una cultura specifica che si oc- cupi della nascita, né questa potrà prescindere dal «prima» e dal «dopo» la nascita stessa, né dalla sola donna, né dal bambino sol- tanto. Di qui una cultura della perinatalità: né questa potrà limitar- si agli aspetti medici, ostetrici, neonatologi, pediatrici, ma dovrà essenzialmente essere improntata dai contributi, anzi dai concet- ti fondamentali, relativi alle scoperte psicologiche sulla formazione dello psichico (neuropsichico) nella relazionalità.

Questo significa che si deve contemplare un’attenzione e per- tanto prospettare un’assistenza, preventiva e continuativa, che inizi dalla formazione della coppia, dalle relative trasformazioni psichi- che dei due componenti nel loro specifico legame, dalla matura- zione di un progetto di filiazione fino alla sua attuazione, e da qui

agli sviluppi psichici e psicosomatici durante la gestazione, non solo nella donna ma anche nel futuro padre, e che vengano dirette sia sulla coppia stessa che in una relazionalità più ampia, familiare e sociale; assistenza prestata fino alle vicende dell’accudimento, con particolare attenzione alla relazione di allattamento, e poi svez- zamento, e infine lungo la relazionalità che si dipanerà nei primi anni di vita del nuovo essere umano, con il relativo completamen- to, specifico del singolo, della sua individuale maturazione neura- le. È quest’ultima la strutturazione di base di una mente, che con- dizionerà poi ogni successivo apprendimento e strutturazione, fino a quando l’individuo, diventato adulto e genitore, potrà trasmette- re, nel bene come purtroppo nella patologia, il patrimonio da lui acquisito ai propri figli. Le scoperte di questi ultimi anni sulla trans- generazionalità, hanno dato pertanto massimo rilievo alla scoper- ta di una catena transgenerazionale a lungo termine, progressiva o purtroppo anche regressiva, condizionata da quanto si struttura in epoca perinatale.

Una perinatalità come sopra intesa non può non essere imper- niata sui principi, i metodi e le scoperte della Psicologia Clinica, in- tendendone la costituzione e lo stesso aggettivo «clinico», in sen- so diverso da quanto si intende medicalmente (Imbasciati 2008a, b)3. Per tutte queste ragioni ci si è cimentati nell’individuazione e

delineazione di una specifica Psicologia Clinica Perinatale, dal- le proposte avanzate dal 1997 fino all’uscita di un nostro libro che appunto porta in copertina lo specifico titolo (Imbasciati, Dabras- si, Cena 2007). In questa «costruzione», per così dire, abbiamo ovviamente propugnato un’integrazione con le discipline medi- che (Ostetricia e Neonatologia in primis) e quelle sanitarie (Scien- ze ostetriche) più direttamente interessate, sottolineando tuttavia la necessità che queste siano inquadrate nello spirito della Psicologia Clinica, e non viceversa, come purtroppo riduttivamente accade: un approccio multidisciplinare, pertanto (Della Vedova et al. 2007), al quale però è indispensabile, onde evitare riduzionismi e mistifi- cazioni, tenere in conto l’impalcatura di base dei concetti derivati dalle scoperte delle scienze psicologiche e delle neuroscienze.

Nel quadro di una multidisciplinarità, così come sopra inteso, si auspica che possa essere impostata una «assistenza alla nascita» 3. È attualmente in atto, favorita dalla crisi di tutta la ricerca scientifica in Italia, con parti- colare riferimento all’università e alle scienze psicologiche (Carli 2011; Imbasciati 2011d), una mistificazione riduzionista di quanto ufficialmente continua a denominarsi Psicolo- gia Clinica.

continuativa, dalla coppia alla famiglia e al sociale, in cui possano essere utilizzati gli strumenti di screening, prevenzione e psicotera- pia nel frattempo dalla ricerca internazionale approntati (Della Ve- dova, Dabrassi, Imbasciati 2008; Imbasciati, Dabrassi 2008; Imba- sciati, Cena 2009; Della Vedova et al. 2009; Dabrassi, Imbasciati, Della Vedova 2009).

CAPITOLO 3

GESTAzIONE E PARTO