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IL TRIANGOLO PRImARIO Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciat

9.1. UNA TRIADE FIN DAGLI INIz

Francesca Dabrassi, Antonio Imbasciati

Alla luce di tutto l’excursus sulla relazione madre-bambino e sui ri- levanti suoi effetti sul futuro individuo, di massimo rilievo si presen- tano tutte le prospettive, sociali, assistenziali, terapeutiche che pos- sano garantire il miglior esito del trapasso generazionale ed evitarne i rischi. Si tratta di un’opera preventiva che prevede uno screening tempestivo per programmare e attuare supporto, assistenza, psico- terapie: tutto ciò non sul bimbo, ma sulla diade e, come dimostra- to da studi più recenti, sulla triade: coppia con bambino, nonché sull’entourage familiare e sociale. In questo quadro riprendendo un nostro precedente lavoro (Dabrassi, Imbasciati 2010), ci sembra op- portuno sottolineare uno dei più recenti contributi della ricerca che affermerebbe paradigmi diversi da quelli considerati classici, sia del- la psicoanalisi che dell’Infant Research, per la globalità di tutti i di- sturbi psichici: all’origine di questi si dovrebbe indagare come l’es- sere umano si strutturi fin dalla sua primissima infanzia in una rete di relazioni che può essere definita sociale. Una tale socialità inizia dal fatto che il neonato, subito alla nascita e forse prima, è immerso in relazioni plurime, dirette o indirette, anziché diadiche. Tale concetto è espresso dal termine «triangolo primario», nell’accezione degli au- tori che lo propongono (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery 1999).

Una visione moderna dello sviluppo umano riconosce al neona- to competenze cognitive e sociali che gli consentono di elaborare informazioni non solo provenienti dalla realtà esterna (Piaget 1923, 1936), ma anche di creare o mantenere situazioni di interazione con la figura di accudimento, solitamente intesa la madre (Stern 1974a, b), o meglio ancora con entrambi i genitori (Fivaz-Depeur- singe, Corboz-Warnery 1999).

Le ricerche focalizzate sui processi di regolazione tra caregi- ver e bambino hanno messo in luce la precocità della sincronia dei ritmi sia nella comunicazione corporea che nelle vocalizzazio- ni tra genitori e neonato (Trevarthen 1997), dove quest’ultimo ha parte attiva nella relazione. Da questi studi sono derivati costrutti teorici quali la promozione dell’attenzione focale, considerata il precursore della costruzione di una «teoria della mente» da parte del bambino (Fogel 1977; Camaioni 2003), la responsività dell’adul- to nel cogliere i segnali del bambino (Ainsworth et al. 1978), la ca-

pacità di riparazione da parte dell’adulto di rimediare quando com-

pie un errore durante l’interazione con il bambino (Tronick 1989) e infine la capacità di espressione di affetti positivi (Emde 1991) che favorisce il riferimento sociale necessario al bambino per orientar- si verso i suoi obiettivi e essere in grado di condividere l’esperien- za anche a livello di significati, attraverso quella che viene chiamata la sintonizzazione affettiva (Stern 1985, 1995), e l’intersoggettività,

primaria e secondaria (Trevarthen 1978). L’intersoggettività prima- ria, riconosciuta solo da alcuni autori (Meltzoff, Moore 1995), ca-

ratterizzerebbe già le prime interazioni precoci e consisterebbe in una capacità (innata) a condividere le sensazioni e gli stati mentali altrui. Gli autori basano i loro presupposti su quegli esperimenti da cui si evince la capacità dei neonati di imitare e usare manifestazio- ni non verbali in una sorta di «proto-conversazioni», dimostrando la capacità di variare tempi e intensità della comunicazione insieme ai loro partner e una sensibilità alle capacità materne di rispecchia- re i loro affetti. L’intersoggettività secondaria emergerebbe, invece, tra i 9 mesi e la fine del primo anno di vita del neonato e impliche- rebbe la capacità di condividere con altri attenzione e intenzioni, e quindi la capacità di istituire una comunicazione referenziale (Bre- therton 1992; Tomasello 1995).

Questa nuova visione del neonato ha comportato il progressi- vo affermarsi di un modello teorico e clinico di tipo relazionale, che considera la generalità dei disturbi psichici come dovuti non a un conflitto intrapsichico, secondo il paradigma della psicoanalisi clas- sica (pulsionale o fantasmatica), quanto come espressione sintoma- tica di modelli relazionali interiorizzati disturbati, patologici (Malagoli Togliatti, Zavattini 2006). Questo si è tradotto in psicopatologia nella necessità di costruire nuovi strumenti di assessment affidabili, in gra- do di valutare la qualità delle relazioni precoci tra genitori e bambi- no e rilevare quei casi che possono essere terreno fertile dove si può strutturare un disagio psichico del piccolo (Fava Vizziello 2003).

Nella storia della psicologia e della psicopatologia clinica in par- ticolare, anche se sono stati largamente riconosciuti il ruolo dei fattori affettivi e relazionali nello sviluppo fisico, psichico e psi- cosomatico del bambino, l’unità di osservazione è sempre sta- ta di tipo diadico. Si pensi al paradigma dell’attaccamento di Bow- lby (1988b), a quello della Bretherthon (1994) per cui il legame che il bambino instaura con la madre «determina» anche la qualità del legame con il padre, alla situazione sperimentale della Strange Si- tuation della Ainsworth (Ainsworth et al. 1978), all’ottica dell’Adult Attachment della Main (Main, Goldwin 1998), al concetto di «co- stellazione materna» di Stern (1995): da tutti si evince l’idea che il bambino tenda a sintonizzarsi naturalmente con un unico caregi- ver prima di passare a instaurare relazioni più complesse. Il para- digma stesso dell’Infant Research (Sander 1987; Cicchetti, Cohen 1995; Trevarthen 1997) sottolinea ampiamente come fin dai pri- mi giorni di vita la madre e il suo neonato siano disposti ad agire consensualmente e come questa matrice relazionale sia costituti- va dell’esperienza e dei significati interpersonali e personali del ne- onato, a meno che una deficienza nella relazione di accudimen- to intacchi la dimensione relazionale della psiche (Sameroff, Emde 1989; Imbasciati 1998; Imbasciati, Dabrassi, Cena 2007).

Ma in questo modo è difficile comprendere l’emergere e il for- marsi dell’intersoggettività stessa, di quel «senso di noi» (Klein G. 1976) su cui si basa la vita di ognuno. Alcuni autori (Tambelli, Za- vattini, Mossi 1995; Camaioni 1996; Howes 1999) affermano che il presupposto teorico secondo cui il neonato ha inizialmente una ca- pacità di regolare solo le relazioni diadiche per poi accedere, in un secondo momento, a quelle triadiche e alle triangolazioni dipende da un eccessivo riferimento a un costrutto «madricentrico», che fi- nora ha influenzato le procedure di ricerca. È come dire che senza un paradigma teorico che possa presupporre l’esistenza della trian- golazione1 e senza strumenti che possano coglierla, difficilmente gli

studiosi del settore possono «vederla» e «documentarla».

L’innovazione delle ricerche sulle relazioni primarie condotte dal gruppo di Losanna, che a partire dagli Ottanta hanno studia- to le possibili configurazioni di quello che viene definito il «triango- 1. Il concetto di triangolazione viene utilizzato sia nella teoria psicodinamica che nella te- oria dei sistemi familiari: nella prima il termine fa riferimento all’esperienza soggettiva del bambino di esclusione dalla relazione dei genitori (esperienza che potrebbe essere detta «edipica»); nella seconda fa riferimento al processo problematico in cui un bambino vie- ne preso nella relazione conflittuale dei suoi genitori al fine di deviarne la tensione.

lo primario», sta proprio nel fatto di aver introdotto lo studio del- la nascita della triangolarità stessa, ossia di quella capacità da parte del bambino di formare nella propria mente un’idea del «tessuto di relazioni», in cui è inserito quello che Zavattini (2000) definisce il «senso interno della relazionalità».

Il gruppo di Losanna, coordinato dalla Fivaz-Depeursinge e dal- la Corboz-Warnery (1993), parte dal presupposto che per studia- re la famiglia non è possibile soffermarsi solo sulle sue compo- nenti diadiche, ma la si deve considerare come un insieme unico, un’unica unità. Il concetto di «triangolo primario», così come con- cepito, nasce all’interno di una cornice teorica che associa la teo- ria dei sistemi con il paradigma etologico-microanalitico, oltre che con gli studi dell’Infant Research (Sander 1987; Cicchetti, Cohen 1995; Trevarthen 1997) e quelli di Stern sulla «sintonizzazione af- fettiva» e sulla costruzione del «Sé intersoggettivo» (Stern 1985). Lo scopo principale di questo nuovo modello è quello di superare i li- miti teorici e metodologici messi in evidenza da Hinde e Steven- son-Hinde (1998) e da Emde (1991) degli studi che, prima di loro, si sono interessati di studiare la triadificazione2. Questi ultimi, infat-

ti, hanno cercato di indagare la triade attraverso lo studio delle dia- di che la compongono (madre-bambino, padre-bambino, madre- padre) e si sono focalizzati sulle influenze che ogni membro della famiglia aveva sull’altro. Invece, il concetto di «triangolo primario» parte dalla considerazione sistemica che «tutto è una proprietà emergente» e che, quindi, la triade deve essere osservata come un insieme complessivo. Una particolare attenzione viene rivolta alla

prospettiva di comunicazione: le due autrici Fivaz-Depeursinge e

Corboz-Warnery (1993) sottolineano come lo scopo dei dialoghi precoci sia quello di condividere gli affetti positivi, espressi in modo predominante dalla comunicazione non verbale. Quest’ultima vie- ne concepita come organizzata gerarchicamente in livelli con dif- ferenziazione crescente, dalle modalità più contestuali a quelle più testuali, dalla disponibilità all’interazione (che si esprime a livello della parte inferiore e superiore del corpo) all’attenzione reciproca (che si manifesta a livello della testa e dello sguardo) fino al coin- volgimento espressivo (manifestazioni facciali e dello sguardo). An- che se l’influenzamento procede in entrambi i sensi, l’ordinamento gerarchico implica che gli influenzamenti che procedono dal con- testo al testo siano dominanti nel determinare il risultato dell’inte- 2. Termine con cui veniva indicata la triangolazione sul piano comportamentale.

razione. In particolare, le interazioni che vanno dal corpo verso lo sguardo sono dominanti rispetto a quelle che vanno dallo sguardo verso il corpo.

In questo modo è possibile identificare un pattern comunicativo, che nel momento in cui risultasse disfunzionale darebbe la possi- bilità di progettare un precoce intervento terapeutico che favorisca un’evoluzione familiare migliore.