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L’associazionismo solidale: Il comitato difesa migranti di Palazzo San Gervasio Numerosi studi negli ultimi anni in Itala hanno cercato di analizzare e studiare i percors

I CRITERI METODICI DI ANALISI E COMPARAZIONE DELLE LOTTE

7.1. L’associazionismo solidale: Il comitato difesa migranti di Palazzo San Gervasio Numerosi studi negli ultimi anni in Itala hanno cercato di analizzare e studiare i percors

associativi dei migranti. Tuttavia, come evidenziato anche nei manuali di sociologia delle migrazioni (Ambrosini 2005), l’attenzione si è sempre concentrata in particolare sulle forme dell’associazionismo solidale e caritatevole che svolgono un ruolo sempre più importante in Italia a fronte dello smantellamento delle garanzie sociali e ancor più per quel che riguarda i soggetti migranti, figure fragili o del tutto inesistenti dal punto di vista giuridico, istituzionale e anche elettorale.

Questa fitta rete di esperienze solidaristiche tuttavia riveste un duplice ruolo: da una parte “gli stessi volontari sanno bene che spesso rischiano di essere la carota o il comodo palliativo poco dispendioso o anche gratuito con cui il sistema di dominio attuale gestisce l’esclusione sociale quando non la criminalizza” (Palidda 2001, 55), dall’altro le esperienze di mobilitazione collettiva dei migranti di Caserta dimostrano come queste possano svolgere un ruolo attivo di “supportive association” di un movimento di lotta (Kriesi 1996).

Per dirla in termini foucaultiani, in queste esperienze sociali “il biopotere e la biopolitica si interfacciano e si costituiscono l’uno dentro l’altro marciando in direzioni diverse” (Negri 2009, 9).

Anche gli studi e le ricerche sulle migrazioni in Italia hanno focalizzato in modo particolare l’attenzione su questa dimensione solidaristica (Colombo, Hasher, companori, pugliese, morlicchio), sottolineando il peso e il ruolo anche come spazio attivo di costruzione di politiche e pratiche di accoglienza.

Tuttavia l’esperienza del Comitato Difesa Migranti di Palazzo San Gervasio ci descrive in modo abbastanza nitido come la generosità e l’impegno sociale degli attivisti della società civile possa facilmente essere piegata, sussunta e “catturata” dalle logiche del potere: infatti il centro di accoglienza, nato dall’impegno dei volontari del comitato di

152 offire un tetto per i braccianti, è diventato dapprima uno strumento per l’accaparramento e la dissipazione di denaro pubblico da parte del ceto politico locale e successivamente un ingranaggio del dispotivo repressivo, volto alla costruzione di un “reticolato mobile” in grado di arrestare la paventata “invasione” dei migranti durante le rivolte arabe della primavera del 2011.

La scelta del ministero degli interni di impiantare un paletto di quest’immaginario ma anche concretissimo filo spinato nel Centro di Accoglienza per i lavoratori stagionali di Palazzo San Gervasio, trasformando lo stesso in Centro di Identificazione e Espulsione, è infatti la dimostrazione forse più evidente del fallimento e dei limiti insiti nell’approccio solidale e caritatevole: non a caso i migranti stessi sono sempre restati sullo sfondo e, anche legittimamente, alla larga da questi percorsi organizzati, se non per un utilizzo strumentale delle risorse e delle strutture che questi riuscivano e riscono a garantire.

Malgrado il fallimento dell’esperienza del Centro di Accoglienza, il comitato difesa dei migranti e la sua gemmazione .- l’Osservatorio Migranti della Basilicata – persegue ancora oggi nel lavoro sul campo di assistenza e supporto ai migranti stagionali durante il periodo della raccolta del pomodoro tardivo. E’ evidente come il carattere stagionale e non permanente della presenza dei migranti in loco contribuisca non poco alla difficoltà nel radicamento delle esperienze associative locali. E, d’altra parte, la stessa presenza di simili esperienze di volontariato di fatto pregiudica l’esplicitazione e l’autorganizzazione di percorsi conflittuali di lotta: la donazione di un materasso o di una coperta inconsapevolmente rischia di generare uno stato di “soggiogamento” postcoloniale.

Le attività possono essere schematicamente ricondotte in tre filoni di intervento:

- assistenza sociale: gli attivisti del comitato si prodigano durante i periodi di raccolta del pomodoro a rendere meno difficoltosa la permanenza dei migranti nell’area attraverso la raccolta e la distribuzione di beni di prima necessità, vestiario, reti, materassi presso i casolari e le bidonville dove risiedono stagionalmente i braccianti - Erogazione di servizi: il comitato si è fatto promotore nel corso degli anni di progetti per la gestione di strutture e servizi per il bracciantato migrante, riuscendo di anno in anno a garantire attraverso il finanziamento pubblico, alcun servizi come il campo di accoglienza nei primi anni e più recentemente un servizio di navetta per facilitare la mobilità nell’area,

153 - Marketing sociale: Ciò che l’Osservatorio Migranti Basilicata (Omb) ha denominato “marketing sociale” è una forma di attivismo e di pressione politica che consiste nel richiamare alle proprie responsabilità l’amministratore, l’ente o l’associazione tenuto ad erogare un servizio o a prendere atto di una certa situazione.

Le tre differenti forme di azione in verità sono intrecciate tra di loro, seguendo una sorta di linea evolutiva: “il nostro volontariato non vuole essere sostitutivo dei servizi che

competono all’amministrazione, intendiamo fare un lavoro sussidiario, sostenere i comuni volenterosi e pungolare gli inadempienti ricordando loro doveri e mancanze: Ad esempio chiamiamo le Asp per sollecitarle a portare l’acqua ai casali abbandonati dove si riparano i migranti. Se la Provincia porta l’acqua noi non la portiamo più e possiamo dedicarci ad altro” (Osservatorio Migranti Basilicata, 2012).

In pratica le azioni del comitato riescono a incidere in modo poco significativo sulle strategie e i dispositivi di comando, incentrandosi esclusivamente nel tentativo di affievolire le dure condizioni di vita del bracciantato migrante; è un limite che loro stessi evidenziano allorquando – nel criticare i responsabili che presero in gestione il campo di accoglienza – spiegano efficacemente il rischio di rimanere custodi dei rapporti sociali di sfruttamento radicati nel distretto della clandestinità, “impegnati a

controllare e permettere che i lavoratori ospiti del centro vengano sfruttati tranquillamente da caporali e agricoltori locali” (Comitato Difesa Migranti 2009).

Se seguiamo l’approccio classificatorio tradizionale (Dougal 1987), riveduto e adattato alla situazione italiana (Ambrosini 2005), possiamo ricondurre l’attività del comitato lucano nella definizione “organizzazioni che svolgono una funzione assistenziale”. Se invece utilizziamo i criteri metodici di Gramsci possiamo classificare questo percorso di lotta dentro la seconda definizione: “il loro aderire attivamente o passivamente alle formazioni politiche dominanti, i tentativi di influire sui programmi di queste formazioni per imporre rivendicazioni proprie” (Q2288).

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