I PERCORSI DI LOTTA NELL’AREA RURURBANA DI CASTEL VOLTURNO: IL MOVIMENTO DEI MIGRANTI DI CASERTA
3.1 L’analisi del contesto locale
3.1.3. La Soweto italiana: statistiche e ricognizioni sulla presenza migrante nell'area di Castelvolturno
Per cercare di comprendere la consistenza della presenza dei migranti nell’area di Castel Volturno le statistiche formali ci restituiscono evidentemente una visuale molto parziale, eppure già è possibile intravedere attraverso questi dati un processo di “emersione” che rappresenta comunque un indicatore seppur limitato della vastità e complessità dell'insediamento migrante.
I registri comunali di Castel Volturno certificano infatti la percentuale di residenti stranieri più alta tra i comuni delle regioni meridionali, con un trend inarrestabile di crescita negli ultimi 5 anni.
Dalla consultazione della banca dati on-line dell'Istat è possibile verificare che se nel 2005 i 1.996 migranti ufficialmente residenti corrispondevano al 9,1% dei 21.926 residenti totali, nel 2010 i 2.933 migranti erano il 12,1% dei 24.149 residenti totali. Il contributo rilevante dei migranti è testimoniato anche dall’abbassamento dell’età media dei residenti ufficiali a 36,7 anni, uno dei dati più bassi a livello nazionale, così come la percentuale dei residenti coniugati.
Ma Castel Volturno è soprattutto l’unico comune in Italia dove le componenti straniere maggiormente rappresentative non sono le comunità più numerose presenti in Italia (rumeni, tunisini, ucraini, marocchini, pakistani, albanesi e le altre nazionalità europee e asiatiche), ma i migranti provenienti dall’Africa Subsahariana, che infatti sono oltre il 55% dei migranti residenti, a testimonianza di come l’insediamento ormai pluridecennale abbia contribuito non solo all’emersione di una componente anche stanziale, ma anche al depotenziamento di quel ciclo di sostituzione dei migranti europei (De Bonis 2005) che ha invece caratterizzato gli altri contesti rurali e urbani dell’Europa meridionale.
Basti considerare che in termini assoluti la comunità nigeriana di Castel Volturno, con i suoi 1040 residenti ufficiali, è la quinta più grande in Italia, preceduta solo dalle grandi
66 metropoli del centro-nord come Roma, Torino, Padova e Verona, così come si trovano solo poche grandi città nel nord Italia con un numero maggiore di migranti ghanesi ufficialmente presenti sul proprio territorio comunale.
Giovani, non coniugati, provenienti dalle regioni dell’Africa subsahariani: queste le caratteristiche facilmente riscontrabili sul campo che in qualche modo si rispecchiano anche nella composizione degli stranieri ufficialmente residenti nel comune.
Cercare invece di quantificare la presenza reale dei migranti nell’area è un compito particolarmente complesso, per cui le stime approssimative di organismi e osservatori privilegiati sono abbastanza contraddittorie: la forbice varia dalle 7.000 presenze di soli migranti irregolari ghanesi e nigeriani (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni 2010, 4) ai 15.000 paventati dal municipio (Consiglio Comunale di Castel Volturno 2010), fino alle stime che parlano della presenza nell'area di 20.000 migranti, cioè un numero maggiore degli stessi residenti ufficiali.
L’unica possibile certificazione, anch’essa parziale e puramente indicativa, sulla presenza irregolare di migranti sul territorio è rintracciabile attraverso il numero di tessere rilasciate dal locale distretto sanitario n.40 di Castel Volturno per l'accesso alle prestazioni sanitarie agli stranieri non regolari: nel 2011 i tesserini sanitari STP rilasciati ai soli cittadini nigeriani e ghanesi erano circa 4500.
Le presenze diffuse e capillari sul territorio di alcune strutture di servizio e di supporto per i migranti, ci possono fornire un ulteriore indizio sulla consistenza numerica dei migranti nell’area: le oltre 40 chiese pentecostali censite nell’area (Di Sanzo e Maggi 2010) sono ad esempio una testimonianza concreta della presenza sul territorio di un numero sempre più consistente di appartenenti alle religioni animiste dell’Africa Subsahariana, la cui proliferazione riflette il forte bisogno di identità e socialità ma anche la forte richiesta di servizi assistenziali che molte volte solo queste strutture garantiscono sul territorio.
Allo stesso modo, l’enorme e sproporzionata quantità di transazioni monetarie effettuate attraverso il continuo proliferare sul territorio di decine di agenzie di money transfert, se è vero che richiamano l’attenzione sulla loro possibile funzione di riciclaggio di denaro sporco da parte di organizzazioni criminali, tuttavia la “scandalosa” movimentazione di una parte dell’8,2% del totale delle rimesse italiane dal solo comune di Castel Volturno verso la Nigeria e altri paesi subsahariani (Galullo 2011), potrebbe rappresentare più
67 banalmente solo un indicatore della discrasia tra la popolazione migrante formale e informale.
Basta percorrere la statale domiziana per verificare la diffusione ormai capillare di attività commerciali omo-etniche, cioè destinate ad una clientela straniera della stessa provenienza del venditore (dove è possibile trovare cibi e bevande sub-sahariane, abbigliamento e vestiti tradizionali, film nollywoodiani, cd musicali di cantanti ghanesi), malgrado gran parte dei servizi e delle strutture dei migranti di Castel Volturno è sommersa e impercettibile dall’esterno: si tratta di un pulviscolo di attività, scambi e piccoli mestieri intermittenti, confidenziali e clandestini che, sedimentate attraverso i differenti cicli migratori, riproducono un’economia informale su piccola scala destinata non solo a ricavare mezzi di sussistenza, ma anche a ritagliare uno spazio comunitario di sostegno alla riproduzione delle migrazioni.
Barbieri, babysitter, autisti, microgrossisti, calzolai, concorrono alla costruzione di un ambiente più “accogliente” per i migranti a tal punto da poter permettere di vivere anche senza dover necessariamente essere inseriti nei circuiti produttivi “ufficiali”, come efficacemente raccontava un migrante in fuga da Rosarno dopo gli scontri del gennaio 2010: “non c’è lavoro qui, la gente del posto ci tratta come bestie. Preferisco andare
via da Rosarno, torno a Caserta dove anche se non c’è lavoro, ho la possibilità di vivere e mangiare”.
La presenza consistente di strutture e servizi di supporto così come di tanti connazionali, e a volte anche di compaesani, non offre soltanto la sensazione di trovarsi nella “propria Africa”, ma diventa anche una sorta di scudo protettivo contro la condizione di irregolarità amministrativa, un “oasi di salvataggio” a disposizione tanto dei nuovi arrivati quanto dei migranti “retrocessi” da un decreto di espulsione.
L'American Palace, Shaolin House, Ghana House sono un esempio chiaro da questo punto di vista: si tratta di grandi strutture residenziali e turistiche, lasciate all'incuria e all'abbandono dai legittimi proprietari e successivamente occupate, riadattate e “rinominate” dai migranti, che fungono anche da veri e propri centri di accoglienza autogestiti come punto di approdo dall'Africa, così come gli armadietti con il lucchetto che traboccano in ogni stanza sono spesso l'unico ancoraggio fisso a disposizione dei migranti impegnati nella successiva rincorsa verso qualche impiego nelle attività stagionali agricole, turistiche, edili in altre località italiane.
68 Lo “scudo protettivo” non è solo di carattere comunitario, ma anche sociale ed istituzionale: se è pur vero che il piano straordinario di sicurezza predisposto dopo la strage di Castel Volturno del 2009, con l'impiego dell'esercito e l'invio di ulteriori centinaia di uomini delle forze dell'ordine per il controllo del territorio, si è ben presto ricalibrato nel contrasto e nella repressione non dei carnefici ma delle vittime di quel bagno di sangue (Mosca 2008), tuttavia è indubbiamente difficile riscontrare da parte degli appartenenti alle forze dell'ordine l'adozione della procedura formalmente prevista a fronte di casi accertati di irregolarità amministrativa.
A volte basta l'esibizione del “permesso di soggiorno in nome di Dio” rilasciato provocatoriamente dai missionari comboniani di Castel Volturno per protestare contro la legge Bossi-Fini o anche il tesserino di appartenenza al “Movimento dei Migranti e
Rifugiati di Caserta”, come strumento di identificazione personale in caso di controlli
da parte delle forze dell'ordine, al punto che l'eventuale adozione occasionale da parte degli apparati di polizia delle procedure “normali” previste per legge (controlli e retate sul territorio) è diventata oggetto di polemica e proteste da parte di associazioni laiche e cattoliche.
Tale inevitabile flessibilità istituzionale genera però anche reazioni polemiche di segno opposto, come nel caso del sindaco di Castel Volturno che parla apertamente di “un
territorio sfuggito al controllo e alla sovranità dello Stato Italiano” (Scalzone 2011),
con la sua maggioranza consiliare che denuncia come “il 100% degli immigrati in
questa città non paga la tassa sui rifiuti, non paga il trasporto pubblico, il 99% viaggia su motoscooter sprovvisti di targa, il 99% guida senza patente auto sprovviste di assicurazione rca, quasi tutti non pagano le multe, gli avvocati di ufficio, i ricoveri, l'assistenza sanitaria, la tassa di possesso” (consiglio comunale di Castel Volturno
2010).
Questo rovesciamento vittimistico dei ruoli nei dispositivi discorsivi delle autorità locali diventa però più difficile da esplicitare nel momento in cui si pongono i riflettori sui rapporti di sfruttamento lavorativo, cioè la relazione predominante che si instaura tra i soggetti migranti e il contesto locale.