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Il contesto territoriale di Castel Volturno tra scarti di vita e vite di scarto

I PERCORSI DI LOTTA NELL’AREA RURURBANA DI CASTEL VOLTURNO: IL MOVIMENTO DEI MIGRANTI DI CASERTA

3.1 L’analisi del contesto locale

3.1.1. Il contesto territoriale di Castel Volturno tra scarti di vita e vite di scarto

Il comune di Castel Volturno, pur avendo un’estensione di soli 72 kmq, si dispiega verticalmente per circa 24 chilometri lungo la fascia costiera del litorale domizio. Percorrendo l’area attraverso la principale arteria di collegamento, quella strada statale 556 il cui tracciato dai tempi di Appio Claudio Cieco fino a pochi decenni orsono rappresentava la principale via di comunicazione tra Napoli e Roma, è possibile scorgere non solo il disordine urbanistico e il degrado architettonico tipico delle periferie delle grandi città del continente africano, ma anche l’immediata percezione del carattere rururbano del territorio, con la sovrapposizione continua di cementificazioni selvagge sul lato costiero, con pochi tratti di pineta che hanno resistito al consumo sfrenato del suolo, e la persistente presenza di sacche di ruralità sul lato interno, dietro la linea di cemento che costeggia l’arteria.

24 Il concetto di Spillover migration, proposto da Light (1999), descrive “processi migratori

dilaganti, resisi autonomi da determinismi strutturali e dotati di un potenziale trasformativo esplicitato attraverso pratiche di adattamento e di inserimento originali” (Corrado 2004, 154). In questa prospettiva,

dunque, non è solo la domanda di consumo ristrutturata il motore del cambiamento nella struttura economica e sociale che attrae le migrazioni nelle economie avanzate. Le reti contribuiscono ad autonomizzare le migrazioni da condizionamenti strutturale. È enfatizzato, dunque in questo modo, il peso dell’azione migrante, anzi della co-azione. Una volta formate, le reti promuovono la semi- indipendenza dei flussi migratori dai processi di ristrutturazione globale per le loro capacità di riduzione dei rischi e dei costi emotivi, economici e sociali delle migrazioni

59 Ci troviamo infatti nel cuore di quel “modello campano di urbanizzazione incontrollata

delle pianure che ha come effetto, oltre al consumo irreversibile di suoli ad elevata capacità produttiva, la frammentazione dello spazio rurale in isole e chiazze sempre meno interconnesse, impoverite ed imbruttite, altamente esposte al degrado, alle interferenze ed alle pressioni delle attività urbane e industriali adiacenti. Una sorta di terra di nessuno, priva di identità, un continuum rururbano non più campagna, ma non ancora città (Regione Campania 2004, 141).

Il degrado del territorio è ancor più accentuato dal ruolo storico, solo negli ultimi anni parzialmente attutito dal riposizionamento lungo le direttrici interne (Caruso 2010), di sversatoio dei rifiuti e degli scarti della metropoli napoletana: basti considerare che dagli anni settanta fino al 1997 le discariche di contrada Bortolotto hanno rappresentato non solo il principale sversatoio dei rifiuti della provincia di Caserta e dell'area metropolitana di Napoli, ma anche il luogo privilegiato di interramento dei rifiuti tossici smaltiti illegalmente dalle aziende chimiche del centro-nord Italia. Tra queste la dicarica Sogeri, considerata tra le discariche più tossiche d’Italia per l’assoluta assenza di requisiti di sicurezza, ha rappresentato per decenni la vera “miniera d'oro” dei clan camorristici locali e dove si stima, non essendo mai esistito alcun registro di scarico, siano ammassati nei suoi 120.000 m2 circa un milione di tonnellate di rifiuti solidi urbani mai impermiabilizzati e coperti ancor oggi solo con un ormai sbrindellato telo di plastica .

All’inarrestabile crescita numerica e volumetrica delle altrettanto inquietanti “colline della vergogna” sorte a ridosso del territorio comunale di Castel Volturno - i cosiddetti “cimiteri” di eco balle di Giugliano e Villa Literno in cui sono stoccati a perdita d’occhio milioni di tonnellate di rifiuti talquali (per l’esattezza 1.888.127 tonnellate nel primo e 2.102.748 di tonnellate nel secondo) assemblati alla men peggio - si affianca il primato dell’avvelenamento delle acque dei Regi Lagni, un’imponente opera di ingegneria idraulica costruita dai borboni nel XVII secolo per la canalizzazione delle acque e da diversi decenni al centro di continui scandali per la mancanza di sistemi di filtraggio e depurazione degli scarichi di quasi 150 comuni campani che li utilizzano come vere e proprie fogne a cielo aperto, che sversano direttamente in mare, in corrispondenza del centro di Castel Volturno.

A questo bisogna aggiungere la “massiccia presenza nelle aree comprese nel territorio

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di grande entità” (ARPAC 2005, 94) come attestato dall’individuazione di tale area tra i

Siti Inquinati di Interesse Nazionale, malgrado sfugga completamente al Censimento ufficiale dei Siti Potenzialmente Inquinati l’immensa distesa di discariche illegali disseminate nei terreni circostanti, dove i contadini continuano ad utilizzare i pozzi altamente inquinati (nonostante il divieto imposto dopo i controlli successivi agli incendi di alcuni pozzi dai quali invece che acqua usciva gas infiammabile) e dove il fenomeno di asfissia delle radici delle piante, causato dalla presenza massiccia di metano non captato nella terra, determina l’impossibilità dalla coltivazione di alberi da frutto.

I laghetti tossici di Castel Volturno, da alcuni anni al centro di un milionario progetto di bonifica, sono un altro simbolo del degrado ambientale dell’area: si tratta di una cinquantina di specchi d'acqua affiorati dentro alcune cave abusive aperte negli anni '70 e '80 - un periodo d’oro per il business illegale del cemento in Campania - per estrarre la sabbia usata per la cementificazione abusiva e selvaggia della costa. Le ruspe della camorra si fermavano solo quando veniva spaccata la falda acquifera sottostante: con il conseguente allagamento dello scavo, il laghetto veniva utilizzato per sversarvi rifiuti, soprattutto liquidi e spesso tossici, ma anche auto vecchie, copertoni, scarti di edilizia e rifiuti speciali nocivi, come dimostrano i livelli di idrocarburi, cromo e piombo rilevati dai prelievi dell’ARPAC rispettivamente 40, 13 e 45 volte superiori alla norma (Pappaianni 2009).

Insomma, se è vero gli “scarti di vita” si incontrano con le “vite di scarto” (Bauman 2005), non è un caso che l’area di Castel Volturno si è venuta progressivamente a configurare come il luogo privilegiato di insediamento per i migranti irregolari.

Ma per spianare il loro arrivo è stato determinante l’attraversamento e l’arrivo sul territorio di altre “vite di scarto”: i terremotati napoletani.

3.1.2. Dai più ricchi ai più poveri: la parabola socialmente discendente di Castel

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