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Il movimento dei migranti di Caserta per classi d’età

Oltre alla caratterizzazione etnica, anche la composizione anagrafica ci fornisce un indizio sul ruolo centrale dei network migratori nell’impalcatura del movimento: basti

69 124 165 193 203 260 223 210 168 116 114 63 53 66 0 50 100 150 200 250 300 18-19 20-21 22-23 24-25 26-27 28-29 30-31 32-33 34-35 36-37 38-39 40-41 41-42 oltre età n u m e ro p a rt e c ip a n ti

79 osservare la percentuale dei partecipanti che all’epoca delle prime manifestazioni dei migranti nella piana del Volturno non erano maggiorenni o addirittura nemmeno erano nati.

Se è vero che ogni vittoria sul piano vertenziale, soprattutto in occasione delle regolarizzazioni connesse ai provvedimenti di sanatoria generalizzata, si traduce nello svuotamento e l’abbandono del movimento da parte degli attivisti, in quanto il permesso di soggiorno permette loro di emigrare al nord alla ricerca di opportunità lavorative migliori e più stabili, tuttavia la ricostruzione di un ulteriore ciclo di mobilitazione necessita di pochissimi mesi.

Certamente alla propensione diffusa, una volta liberatisi dalle catene dell'irregolarità, alla “migrazione nella migrazione” (Calvanese e Pugliese 1991), si sovrappone

l'effetto-pompa dei provvedimenti di regolarizzazione che si attiva attraverso le catene

migratorie (Blangiardo e Tanturri 2004), tant’è che alcuni studi sugli effetti dei provvedimenti di sanatoria hanno accertato come il fenomeno del soggiorno irregolare, nei contesti mediterranei, si riproduca molto rapidamente al punto che “il numero degli

irregolari tenda a rimanere elevato prima e dopo gli stessi provvedimenti di regolarizzazione generalizzata” (Reyneri 1998, 112).

Tuttavia se questa è una tendenza generale dei processi migratori, per comprendere come questa si riverberi nella riattivazione di percorsi di autorganizzazione e di lotta, piuttosto che rispolverare le teorie funzionalistiche sui vasi comunicanti, è opportuno in questo caso evidenziare il peso della memoria di lotta (Melotti 1999) che, a differenza delle traiettorie tradizionali di condensazione territoriale, in questo caso invece circola e si tramanda tra i cicli migratori anche e soprattutto attraverso le reti transnazionali. L’esperienza di vita delle diverse migliaia di migranti coinvolti nei differenti cicli di mobilitazione che si sono succeduti nei 15 anni di vita del movimento, hanno contribuito alla sedimentazione e alla circolazione di un sapere diffuso che individua nell’area del Volturno non solo come un luogo dove “poter vivere in relativa

tranquillità la propria condizione di irregolarità amministrativa, procacciandosi con più facilità un lavoro e un affitto in nero in attesa di uno spiraglio legislativo per poi fuggire al nord dove maggiori sono le opportunità lavorative” (Pugliese 2006), ma

anche uno spazio sociale dove poter agire collettivamente per accorciare i tempi della propria invisibilità.

80 In questo senso, alla successione voice-exit-voice che ha caratterizzato la concatenazione tra lotte ed emigrazione nell’esperienza storica del bracciantato locale della piana del Volturno (fine delle lotte contadine, emigrazione al nord, lotte operaie) in questo caso invece è un percorso inverso di exit-voice-exit che connota l’esperienza del bracciantato migrante attuale.

Tabella IV: Il movimento dei migranti di Caserta per cond. giuridica

La tabella 4 ci fornisce invece alcuni elementi di analisi per comprendere non solo la composizione ma anche le strategie di lotta del movimento dei migranti.

Le statistiche sulla condizione giuridica dei partecipanti infatti non solo rappresentano una conferma di una segmentazione in chiave gerarchica delle posizioni giuridiche dei migranti che rende sempre più sbiadita la semplificata dicotomia regolare/irregolare, ma ci indicano anche come la libertà di movimento diventa il terreno di lotta attorno al quale il movimento implementa la propria tattica vertenziale nei confronti della controparte istituzionale a partire dalla rivendicazione di salire questa scala gerarchica nella quale le “promozioni” o le retrocessioni di status più che rappresentare indicatori d’integrazione appaiono come vincoli alla libertà e alla mobilità.

Certamente la concentrazione spaziale ha giocato un ruolo imprescindibile nella costruzione di questa esperienza di lotta: la scelta del movimento di sovrapporre un’assistenza sportellitico-burocratica personalizzata a percorsi di mobilitazione e

85 23 23 86 381 1198 321 17 22 199 303 257 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 Art. 17 Immigrati regolari Protezione Sussidiaria Rich. Asilo 6 mesi Senza Perm. di sog. Diniego Comm. Asilo Rich. Asilo da 3 mesi ex Art. 35 Problemi penali Ricorrenti PdS Resp. Frontiera asilo Motivi Umanitari

81 conflittualità sociale ha contribuito non poco a determinare un’alta e costante partecipazione alle iniziative di lotta.

Nelle giornate settimanali di apertura dello sportello, prim’ancora di usufruire dell’ assistenza legale gratuita gestita da alcuni avvocati ed esperti nel centro sociale ex- canapificio di Caserta, i migranti prendono parte all’assemblea del movimento, durante le quali vengono illustrate e discusse collettivamente, dapprima in lingua inglese e poi in lingua francese, le novità legislative in materia di immigrazione, lo stato di avanzamento delle vertenze in corso, le proposte e le strategie di mobilitazione e di lotta del movimento, alimentando un flusso prezioso di circolazione di informazioni.

Il processo di responsabilizzazione e di coinvolgimento parte da qui: piuttosto che una contropartita in denaro, spesso celata dietro l’adesione formale tramite tesseramento ad associazioni o sindacati, la fruizione del servizio di assistenza in questo caso viene invece subordinata alla partecipazione alle assemblee e alle mobilitazioni lì deliberate. A questo si affianca la strutturazione di uno spazio di direzione, denominato “Staff”, nel quale gli attivisti autoctoni del centro sociale ex-canapificio e alcune decine di migranti maggiormente coinvolti nell’attività del movimento, si incontrano nel delicato ed ambivalente equilibrio tra leadership etnica ed expertise locale: si implementa così un processo organizzativo che, sfruttando i network radicati sul territorio, riesce a penetrare in profondità nella disseminazione territoriale che caratterizza l’insediamento migrante nella piana del Volturno, fluidificando in tal modo i legami deboli del movimento, per dirla con le categorie di di Granovetter (1998), attraverso la loro sovrapposizione con i

legami forti.

Questa sovrapposizione fornisce l’architrave dei processi di mobilitazione a partire da una “solidarietà vincolata” (Portes e Sensenbrebber 1993) che allarga la partecipazione alla lotta anche oltre i soggetti direttamente coinvolti nella specifica vertenza e limita, in occasione dei raduni di protesta, il fenomeno del “crumiraggio” (addirittura, in occasione delle manifestazioni per strada, i venditori ambulanti vengono fisicamente costretti dai partecipanti a smobilitare la mercanzia e chiudere le proprie “bancarelle” in segno di solidarietà).

Al fianco di questa dimensione organizzativa interna, la collaborazione e la contaminazione culturale particolarmente originale tra gerarchie ecclesiastiche e settori della sinistra antagonista, fornisce al movimento un ventaglio largo di alleanze e di repertori di azione che vanno dalla disobbedienza civile ai tavoli di concertazione, dai

82 cortei e le manifestazioni alla persuasione lobbistica nei confronti delle controparti istituzionali.

Se le modalità organizzative ci possono fornire una prima risposta parziale sulla capacità di penetrazione sociale all’interno di un segmento sociale particolarmente refrattario ai processi di sindacalizzazione, il punto centrale nella tattica del movimento va probabilmente rintracciato nell’adozione di obiettivi di lotta pragmatici, incentrati nel costante tentativo di articolare vertenze per il riconoscimento del diritto arehndiano ad avere diritti, incuneandosi e allargando gli interstizi e i vuoti legislativi di volta in volta individuati all’interno di una legislazione, in tema di immigrazione ed asilo, disorganica e in continuo mutamento.

Si può dire che il movimento abbia colto sulla propria pelle come “le regole dello

sfruttamento dei migranti non si determinano sul piano dei rapporti economici, come avviene nel caso della forza lavoro autoctona, ma innanzitutto su quello politico e istituzionale: gli immigrati hanno di fronte lo Stato prim’ancora del capitale” (Sivini

2000, 28).

In questa prospettiva, l’azione di contrasto e di denuncia contro il caporalato e lo sfruttamento, così come la rivendicazione per il riconoscimento generalizzato alla libertà di movimento, sono elementi costanti nella costruzione simbolica del movimento che tuttavia trovano rari momenti di esplicitazione operativa – come ad esempio in occasione degli scioperi per gli aumenti salariali presso le califfo ground sperimentati per la prima volta nel corso del 2010 - , mentre il potenziale conflittuale viene adoperato principalmente come strumento di pressione nei confronti delle istituzioni nazionali per l’apertura di finestre di opportunità per la fuoriuscita dalla condizione di irregolarità, ma anche per l’adozione di chiavi interpretative estensive delle stesse norme da parte delle autorità periferiche dello stato.

Questa pratica è stata per molti anni il fulcro centrale dell’azione del movimento: ai periodi di mobilitazione per rivendicare un provvedimento di una sanatoria, si alternavano in occasione a loro promulgazione, le fasi mobilitative per il controllo e l’estensione delle stesse.

Il primato di Caserta in occasione dell’ultima regolarizzazione del 2002 si può spiegare non solo sulla base del fatto che “quella di Caserta è una delle provincie con il

maggior numero di lavoratori irregolari in Italia” (Oim 2009, 6): il rigido e costante

83 di migliaia di pratiche di regolarizzazione è stato costantemente accompagnato da continui tavoli di confronto istituzionale con questura, prefettura e ministero degli interni, “strappati” di volta in volta all’indomani di manifestazioni e sit-in di protesta con l’obiettivo di “pilotare” gli elevati livelli di discrezionalità lasciati di fatto alla macchina burocratica e ai funzionari periferici per allargare le maglie della sanatoria. Allo stesso tempo, nelle fasi di chiusura e di regressione repressiva, in mancanza di strumenti di regolarizzazione ordinaria o straordinaria, il terreno della mobilitazione si concentra sul tentativo di forzare alcune finestre parziali di apertura come l’allargamento del diritto d’asilo in materia di protezione umanitaria e sussidiaria, i cui lunghi tempi di attesa per la valutazione dei presupposti diventano già un primo strumento per allentare temporaneamente la propria condizione di irregolarità.

In entrambi i casi, il movimento assume il ruolo attivo di agency: le mobilitazioni si incuneano negli interstizi normativi con l’obiettivo di giocare sui margini di ambiguità presenti in essi e sugli ampi margini di autonomia che i “burocrati di strada” detengono rispetto al mandato ricevuto dagli uffici gerarchicamente sovraordinati (Lipski 1980), con l’obiettivo di erodere i provvedimenti non condivisi e introdurne altri (Zincone 1999).

Già in passato alcune ricerche hanno verificato “gli elevati livelli di discrezionalità

lasciati ai funzionari e alla macchina burocratica che concretamente esaminano le istanze” (Triandafyllidou 2003), ma essendo la polizia di stato l’organismo istituzionale

preposto alla gestione del fenomeno migratorio, si viene a creare la situazione paradossale per la quale gli uffici della Questura acquisiscono un ruolo politico di interlocuzione e controparte istituzionale dei movimenti.

A differenza di altre esperienze e reti di advocacy coalition pro immigrati presenti in Italia, nel nostro caso alla persuasione lobbistica ad interpretare la norma nella versione più favorevole, si affianca la minaccia perturbativa del conflitto e della mobilitazione sociale: cosicché migliaia di migranti scendono in piazza per imporre un banale grimaldello interpretativo che però può rappresentare uno strumento tecnico-giuridico per la fuoriuscita di migliaia di non-persone (Dal Lago 1999) dall’invisibilità giuridica. La potenza perturbativa di questo movimento diverse volte è riuscita negli ultimi anni a forzare il quadro normativo ottenendo anche pratiche contra legem a favore dei migranti, pratiche che hanno implicato da parte delle burocrazie locali e ministeriali un

84 Oltre a questo il movimento ha conquistato alcuni “diritti locali”, come l’insediamento permanente di un’apposita commissione Asilo nella città di Caserta, l’allargamento dell’applicazione dell'art.18 della legge Bossi-Fini per l'emersione del lavoro irregolare attraverso la denuncia delle condizioni di sfruttamento del lavoro, che ha trovato nel contesto della provincia di Caserta una limitata ma concreta applicazione.

Allo stesso tempo il movimento ha giocato un ruolo attivo nel contrasto alle politiche di criminalizzazione dei migranti: al contrario di altre città italiane dove comitati di cittadini manifestano per le strade per rivendicare più controlli, sicurezza, e tolleranza zero contro i clandestini, qui invece sono i migranti irregolari che scendono in piazza per protestare contro le operazioni di polizia di contrasto all’ immigrazione clandestina, per denunciarne il carattere propagandistico, repressivo e discriminatorio, rivendicando una “sicurezza dei diritti di tutti” in contrapposizione al “generico e ambiguo diritto alla sicurezza” (Palidda 2002).

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CAPITOLO 4

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