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Caporalato e rururbanità: le geografie del caporalato nell'area di Castel Volturno

I PERCORSI DI LOTTA NELL’AREA RURURBANA DI CASTEL VOLTURNO: IL MOVIMENTO DEI MIGRANTI DI CASERTA

3.1 L’analisi del contesto locale

3.1.5. Caporalato e rururbanità: le geografie del caporalato nell'area di Castel Volturno

Per reperire questa forza-lavoro just-in-time, basta recarsi alle prime luci dell'alba presso una Califfo ground. Le Califfo ground, come vengono chiamate dai migranti le rotonde di intersezione tra la strada statale domiziana e le arterie secondarie che si dipanano verso l'interno sono un fenomeno di riorganizzazione dell'intersezione fisica tra domanda e offerta di lavoro che si basa sul duplice accordo fiduciario tra proprietari terrieri e singoli lavoratori di più lungo insediamento e tra quest'ultimi e i network migratori nei quali sono inseriti: piuttosto che la criminalità organizzata è probabilmente nella costruzione di questi rapporti fiduciari e in questi sistemi di autocaporalizzazione (Pugliese 2009) che bisogna volgere attentamente lo sguardo per cogliere le modalità di organizzazione di un caporalato ormai sempre più etnicamente connotato.

Pur senza negare il ruolo pervasivo e asfissiante dei clan camorristici nella piana del Volturno, la persistenza di questa visione "ottocentesca" del camorrista che ogni giorno alle 4 del mattino si reca nelle piazze per reclutare i braccianti deriva probabilmente da una propensione autoassolutoria implicita in quest'ordine discorsivo: “si interpreta la

presa del potere da parte dei più forti in termini in fondo molto innocui, come macchinazione di racket al di fuori della società, non come compiersi della società in sé” (Adorno 1954, 272).

72 Insomma, se parliamo di caporalato “non c'è bisogno di fantasticare sui ruoli della

camorra: i signori camorristi hanno ben altre cose da fare” (Pugliese 1997, 34).

Nell'incrociare lungo la statale domiziana centinaia di giovani migranti in attesa di essere sfruttati per una dozzina di ore in cambio di poche decine di euro, nel leggere ed ascoltare i racconti di vita, le esperienze drammatiche di sfruttamento, le vessazioni e i ricatti a cui sono sottoposti, si cerca in qualche modo di esternalizzare l’origine di questi drammi umani verso un estranea ed esterna responsabilità diabolico-criminale, a conferma di come "la criminalità organizzata ha giocato negli ultimi decenni spesso il

ruolo di onnipotenza demoniaca sulla quale scaricare le responsabilità di ciò che accade e di ciò che non accade nel sud" (Piperno, Della Corte 2010).

L'onesta ammissione del presidente locale della CIA di Caserta sull'inesistenza del caporalato nell'area, perché domanda ed offerta si incontrano in modo informale sulle rotonde senza alcuna forma di intermediazione, ci fornisce un interessante indizio circa le responsabilità dirette del mondo imprenditoriale nello sfruttamento del lavoro migrante.

Al riguardo, un dato particolarmente importante riguarda il capillare processo di diffusione, articolazione e penetrazione di queste Califfo Ground verso l'area metropolitana di Napoli: l'inevitabile saturazione del mercato delle braccia nelle zone a ridosso di Castel Volturno ha progressivamente spinto i migranti ad “inaugurare” nuove

Califfo Gound posizionate sempre più in prossimità e anche all'interno dei confini

stessi della città di Napoli.

Il sovraffollamento di “pelle nera” nelle prime corse mattutine degli autobus della linea M11 Napoli-Mondragone e della linea ferroviaria “Cumana” sono la testimonianza di questo riposizionamento.

Si tratta di un processo diametralmente inverso alle dinamiche di delocalizzione della produzione che hanno interessato il contesto territoriale in questione: se infatti negli ultimi decenni “la piccola industria ha progressivamente abbandonato il centro storico

di Napoli in favore prima della periferia-nord, in seguito dei comuni ad essa confinanti e infine in quelli collocati lungo la direttrice N-E verso il casertano” (Cillo 1980, 132),

la forza-lavoro migrante si dispiega invece lungo la direttrice opposta. Parte dalla periferia per arrivare verso il centro.

La mappa dello “sciopero delle rotonde” del 7 ottobre 2010, pianificata dalle realtà associative dei migranti che organizzarono, in occasione della prima astensione al

73 lavoro dei migranti contro il lavoro nero e il caporalato, picchetti di protesta in prossimità dei principali luoghi del reclutamento, mostra in modo chiaro questa tendenza (fig.2).

Questa dinamica è rivelatrice dell'intercambiabilità extrastagionale del lavoro migrante: bracciante, manovale, carpentiere, ambulante, operaio nelle fabbriche e negli scantinati dell'economia sommersa napoletana. A differenza dei pionieri e degli abitanti del “ghetto di Villa Literno”, il serbatoio umano di Castel Volturno risponde ormai in modo multifunzionale all'esigenze produttive non solo dell'agricoltura locale.

74 Tuttavia con la chiusura ormai quasi decennale delle finestre d’opportunità rappresentate dai provvedimenti di sanatoria, oltre al tradizionale ruolo di primo approdo per i migranti provenienti dal sud del mondo, nella Piana del Volturno si registra ormai da alcuni anni massicci flussi di “ritorno” dei migranti dal nord Italia e non solo.

Vittime privilegiate della crisi economica, i migranti subiscono con il licenziamento anche la conseguente perdita della regolarità amministrativa: piuttosto che l’azzeramento del proprio progetto migratorio, la durata socialmente attesa del progetto

migratorio li porta a prediligere la “retrocessione” temporanea nella piana del Volturno,

in questa terra di mezzo tra l’Africa Nera e la Fortezza Europa che garantisce maggiore tolleranza e opportunità sociali, lavorative, abitative e relazionali anche per i migranti irregolari.

Alcune ricerche già da alcuni anni hanno evidenziato la presenza di percorsi migratori di retrocessione (Ires 2001), ma basta sfogliare il registro delle presenze dei centri di prima accoglienza, come il Fernandez di Castelvolturno e la tenda di Abramo di Caserta, per rendersi conto dell’impressionante numero di ospiti provenienti non dai tradizionali luoghi di sbarco ma dalle città del profondo nord, come Brescia, Treviso, Torino.

Infatti se “nei paesi a capitalismo avanzato è possibile rintracciare un meccanismo a

polmone che attira ed espelle lavoratori immigrati a seconda della congiuntura economica” (Perocco 2003), in questo contesto tale meccanismo si riverbera in modo

diametralmente opposto, determinando nelle fasi di crisi economica l’addensamento e la sovrapposizione sul medesimo territorio di vecchi e nuovi cicli migratori.

Il rischio evidente è che questa situazione esploda in modo dirompente, sotto la pressione esercitata da una parte dalle condizioni di vita sempre più difficili e precarie, per i migranti quanto per gli autoctoni, e dalle speculazioni di un ceto politico locale che cerca di rastrellare il consenso sociale importando le strategie xenofobe di odio razziale ben collaudate in altri territori.

A differenza di esperienze analoghe avvenute in altri contesti, come gli scontri razziali avvenuti a Rosarno nel gennaio del 2010, tuttavia al pogrom razzista difficilmente sarà possibile affiancare la deportazione di massa.

Nella piana del Volturno i migranti non sono solo quantitativamente molti ma anche “qualitativamente” indispensabili.

75 3.2 I Percorsi di lotta dei migranti sul territorio

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