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L’assoluzione a Firenze.

II. L’omicidio Notarbartolo Un delitto di stampo mafioso.

2.9 L’assoluzione a Firenze.

Il 27 gennaio del 1903 la Corte di Cassazione di Roma annullava il verdetto emesso a Bologna. L’annullamento era dovuto al mancato giuramento di un testimone durante il dibattimento. Si trattava di Augusto Bortolani, colui che aveva rivelato a Codronchi e Lucchesi preziose informazioni per la riapertura del processo Notarbartolo. È interessante soffermarsi su questo evento, ricostruendo le vicende giudiziarie che portarono all’utilizzo di un cavillo (quello del mancato giuramento) per impedire l’esecuzione di una condanna pesante nei confronti di un membro importante dell’elitè politica.

Attraverso la lettura delle udienze, integrate dalle parole di Leopoldo Notarbartolo, contenute nel memoriale dedicato alla figura del padre, è possibile ricostruire la nebulosa vicenda del mancato giuramento di Bortolani.

L’11 dicembre del 1901 Augusto Bortolani veniva convocato all’Assise di Bologna. Il presidente della Corte Frigotto deferiva il giuramento e il testimone si apprestava a compierlo. Tuttavia, quando stava per iniziare l’udizione, il prof. Stoppato, uno dei difensori dell’imputato Fontana, cominciò a sostenere che, avendo il Bortolani perduto tutti i diritti civili, a causa della “condanna per falso a 18 anni di reclusione” - e quindi la capacità di giurare - la sua deposizione giuridica avrebbe reso nullo il dibattimento.

L’Avv. Stoppato si appellava agli “art. 31 del codice penale e art. 285 del codice di procedura penale”242. Leopoldo Notarbartolo rilevava come l’accusa “era dispostissima ad annuire” alle osservazioni di Stoppato, cadendo così “in una trappola”: “è falso che nel codice a quel tempo vigente a chi ha perduto i diritti civili sia inibito giurare”243. La Corte

accolse l’istanza avanzata dal difensore di Fontana, rinviando Bortolani senza averlo sentito. Questo è il testo dell’ordinanza emessa:

Poiché per l’art. 31 del codice penale la condanna alla reclusione per un tempo maggiore dei cinque anni ha per effetto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Poiché pubblico officio è quello di testimoniare essendo equiparato per l’art. 207 cod. penale. Poiché per l’art. 285 cod. procedura penale l’interdetto dai pubblici uffici e incapace a fare testimonianza giurate e solo è permesso di essere assunto per semplici indicazioni o

242Udienza dell’11 dicembre del 1901, ASBO, Processo contro Palizzolo e altri. 243

schiarimenti. Poiché però a seguito del prestato giuramento la Corte non crede possa il Bortolani Augusto anche per semplici indicazioni essere indetto244.

Il 20 dicembre del 1901 il pubblico ministero Bertola chiedeva alla Corte

la revoca dell’ordinanza emessa dalla Corte stessa il giorno 11 andante, colla quale, ritenuto Bortolani Augusto incapace a deporre quale teste con giuramento, licenziò il Bortolani stesso, escludendolo dalla lista, ed eleva in proposito formale incidente245. Bertola formulava tale richiesta perché si era reso conto del rischio in cui poteva incorrere il dibattimento giudiziario: l’annullamento a causa della mancata udizione di un testimone regolarmente indetto. La Corte respinse la sua richiesta. E, allo stesso tempo, il presidente Frigotto decise di chiamare Bortolani con i suoi poteri discrezionali. Vale la pena citare questa parte di udienza, che ritengo fondamentale:

“Il Presidente avverte il Bortolani che è chiamato col suo potere discrezionale e che quindi non dovrà giurare”246.

Bortolani veniva udito senza però aver giurato regolarmente. Da qui nacque la motivazione che portò la Corte di Cassazione ad annullare il processo di Bologna. Amaro fu il commento di Leopoldo Notarbartolo:

Soltanto per la forma del giuramento Bortolani la Corte di Cassazione di Roma annullò il dibattimento svolto per undici mesi a Bologna! (...)

E perciò il dibattimento dové essere ripetuto a Firenze. Così può maneggiarsi quella cosa che si chiama legge!247.

La sentenza della Cassazione rinviò il processo a Firenze, per dare il via a un nuovo dibattimento. Esso iniziò il 5 settembre del 1903. Il presidente della Corte era il magistrato toscano Alceste Marini. L’ufficio del pubblico ministero era rappresentato dal sostituto

244

Udienza dell’11 dicembre del 1901, ASBO, Processo contro Palizzolo e altri. 245Udienza del 20 dicembre del 1901, ASBO Processo contro Palizzolo e altri. 246Ivi.

247

procuratore del Re dottor Mauro Fuortes e dal sostituto procuratore del Re dottor Giuseppe Facchinetti: il primo sostenne l’accusa per il delitto Notarbartolo, il secondo per il delitto Miceli. Rispetto a Bologna vi erano stati diversi cambiamenti all’interno degli schieramenti degli avvocati, sia di Parte Civile che di Difesa. Agli avvocati di Parte Civile Altobelli, Marchesano e Castelli, si unirono i fiorentini Giovanni Rosadi e Gino Sarrocchi. Il collegio di difesa di Palizzolo era composto dai deputati Pietro Rosano di Napoli e Francesco Aguglia di Roma, dall’avvocato senese Enrico Falaschi e dai fiorentini Guido Donati e Domenico Pucci. I difensori di Fontana erano il palermitano Giovan Battista Salerno, il bolognese Germano Mastellari e il fiorentino Carlo Anforti. Nicolò Trapani invece era difeso dal romano Ernesto Trapanese e dal fiorentino Gaetano Casoni. Erano presenti molti uomini politici, alcuni dei quali veri “maestri dell’arringa”248.

Il 30 ottobre del 1903 il deputato Rosano lasciò la difesa di Palizzolo per assumere il dicastero delle Finanze nel secondo ministero presieduto da Giovanni Giolitti. Fu sostituito dal deputato Francesco Spirito, avvocato di grande fama.

Dieci giorno dopo, il neoministro Rosano si suicidò nella sua abitazione di Napoli, con un colpo di rivoltella al cuore. Egli, non avrebbe retto ad alcune accuse di corruzione formulate nei suoi confronti. Rosano, avrebbe accettato una somma ingente per sottrare al domicilio coatto Giovanni Bergamasco, un ricco socialista napoletano249.

Il nuovo processo vedeva una certa riluttanza, da parte di molti testimoni, a ripetere le deposizioni rilasciate all’Assise di Bologna. Nicolò Urbano, la cui testimonianza si rivelò certamente decisiva per il precedente verdetto, dichiarava:

Non credo che il Palizzolo abbia dato il mandato, non lo credo capace, e voglio fare un esempio: se io dopo aver fatto questa deposizione torno in Palermo e mi ammazzano (ed è la cosa più facile) diranno che è stato Palizzolo. Ma certamente chi saranno? I partigiani di Palizzolo. E per me forse, per mio sospetto, è successo lo stesso per l’omicidio del Notarbartolo. Il Palizzolo è per me un poeta, un letterato, un vanaglorioso, di buon cuore, un imbecille; non un delinquente; in Palermo lo chiamavano “La Cocotte”; esso subisce

248Poma, Onorevole Alzatevi, p. 112. 249

le conseguenze del canagliume che lo circonda, ed è il canagliume che lo ha potuto rovinare250.

Tra il “canagliume” di cui si circondava, secondo Urbano vi sarebbe stato il castaldo Matteo Filippello, il quale “sapendo le antipatie che vi erano tra Notarbartolo e Palizzolo per motivi di partito”, avrebbe “potuto mettere mano in quell’assassinio”251

Filippello era stato inserito nella lista dei testimoni chiamati dalla Parte Civile.

Per convincerlo a rilasciare la sua testimonianza, bisognò “mandargli intimazioni e minacciare di farlo accompagnare dai carabinieri”252. Testimonianza che non si ebbe

tuttavia. Il fedele castaldo di Palizzolo venne condotto con la forza a Firenze, e, dopo pochi giorni dal suo arrivo, si suicidò (28 gennaio 1904), impiccandosi alla ringhiera delle scale dello stabile di Borgo Allegri 3, a pochi passi dalla Basilica di Santa Croce. Le sue possibili affermazioni avrebbero avuto senz’altro un forte impatto sul dibattimento.

Rispetto a Bologna le deposizioni sfavorevoli a Palizzolo erano diminuite. Il brigadiere dei R.R. Carabinieri Emilio Vignali raccontava:

“Il sindaco di Mendolilla, Filippi Moscarella (ora morto), dichiarò alla notizia dell’assassinio di Notarbartolo: «Questo l’ha fatto uccidere Palizzolo”253.

L’ex questore Peruzy, già testimone di accusa a Bologna, affermava:

Era cosa notoria in Palermo che il Palizzolo proteggeva i mafiosi, e che questi lo appoggiassero nelle elezioni, ed anzi si vede che la sua elezione a deputato nel 1892 fosse dovuta ai mafiosi254.

Il testimone Luigi Campanella, riportò un episodio alquanto curioso, inerente ai rapporti tra Fontana e Palizzolo:

Dopo la sentenza di Bologna, trovandomi nel giardino Garibaldi in Palermo, parlavo di quella sentenza, ad un signore, che seppi poi essere un certo Di Morano Lorenza

250

Testimonianza di Nicolò Urbano, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri, 9 dicembre 1903, p. 515. 251

Ivi

252Notarbartolo, La città cannibale, p. 271.

253Testimonianza di Emilio Vignali, ASFI Processo contro Palizzolo e altri, 29 ottobre 1903, p. 224 254

impiegato a ritiro di quel Municipio, disse: «È una cosa curiosa che il Palizzolo non conosceva Fontana, e Fontana non conosceva Palizzolo, mentre lo sanno tutti qui in Palermo che il Fontana e il Palizzolo erano in intima relazione tra loro e che erano un anello di congiunzione». Io gli feci osservare perché non l’avesse detto prima, ed egli rispose per non immischiarsi in quell’affare, quantunque lui aveva ricevuto del male dal Notarbartolo, perché mentre era Sindaco di Palermo lo aveva sospeso da un anno dal servizio e dalla paga per aver dato una bastonata ad un individuo e non esser stato ancora condannato255.

Il pubblicista Girolamo Aprile De Luca, uno dei più accesi accusatori di Palizzolo, mitigava le sue affermazioni, sostenendo che

“tutte le cause relative al Banco di Sicilia non erano sufficienti a determinare il Palizzolo e dare il mandato per commettere il reato”256.

Il marchese Di Rudinì negava il possibile ruolo di Palizzolo nell’omicidio Notarbartolo, “minimizzando” poi certe responsabilità delle élites:

La risposta alla domanda se credo Palizzolo un mafioso od un capo mafia è assorbita dal fatto della onorificenza a lui concessa. Sarà che sia un capo mafia, ma per me è assolutamente inammissibile ciò, anche perché le classi dirigenti hanno subito ma non diretto la mafia257.

Il generale Mirri fu uno dei pochi testimoni che confermò le accuse contro Palizzolo. Nella sua deposizione raccontò un piccolo aneddoto riguardante un importante politico della storia del nostro paese.

Crispi mi dichiarò, quando era presidente del consiglio: «Guardatevi, quello è un gran mafioso (in riferimento al Palizzolo)258.

255

Testimonianza di Luigi Campanella, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri, 4 dicembre 1903 p. 495. 256

Testimonianza di Girolamo Aprile De Luca, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri, 9 gennaio 1904, p. 677.

257Testimonianza di Antonio Dì Rudinì, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri, 28 gennaio 1904, p. 839. 258Testimonianza di Giuseppe Mirri, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri,19 gennaio 1904, p. 751.

Tra i difensori di Palizzolo vi era il procuratore e primo presidente della Corte d’Appello di Palermo Vincenzo Cosenza. Colui che aveva curato la requisitoria contro gli imputati del procedimento svoltosi a Bologna. Egli ora affermava:

Se un’influenza vi è stata, è stata quella che ha portato il Palizzolo sul banco degli accusati. Con questo non ho voluto accennare all’influenza personale, ma all’influenza dell’ambiente che fu artificiosamente creato contro Palizzolo, contro il quale si era creato un coro di voci259.

Come si può notare dalle affermazioni riportate, il clima intorno all’omicidio Notarbartolo era cambiato. Il verdetto non poteva che arridere agli imputati.

Il 23 luglio del 1904 si concluse il dibattimento. Palizzolo, Fontana e Trapani vennero assolti per insufficienza di prove. Si trattò dell’ultima fase processuale del caso Notarbartolo.

Un omicidio privo di assassini, giuridicamente parlando.

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III. Che cos’è la mafia? L’Italia scopre la criminalità organizzata