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Le considerazioni di Gaetano Mosca e l’articolo di Luigi Sturzo.

III. Che cos’è la mafia? L’Italia scopre la criminalità organizzata siciliana siciliana.

3.4 Le considerazioni di Gaetano Mosca e l’articolo di Luigi Sturzo.

Commentando il processo Notarbartolo dalle colonne del Corriere della sera Gaetano Mosca lamentava la confusione fra mafia e clientelismo nell’opinione pubblica non siciliana. Politologo di grande fama e tra i principali critici del parlamentarismo, riteneva che per Palizzolo si dovesse parlare più del secondo che della prima, indicando nella piccola borghesia del collegio elettorale palermitano di Palazzo Reale la sua base clientelare. Sottolineava come la Sicilia non fosse “così corrotta che la mafia sia l’unica forza elettorale viva”307. Mosca figurava tra coloro che sostenevano l’innocenza del

deputato palermitano, anche se non biasimava di lasciare ai posteri un ritratto non troppo

307

benevolo nei suoi confronti, descrivendolo come un “professionista della politica”, aduso a soddisfare i favori personali dei suoi elettori.

Palizzolo era

un uomo che senza avere studi o meriti speciali, senza alcuna notorietà nelle arti produttive della ricchezza e neppure nelle professioni liberali, senza possedere una grande fortuna, senza essere inscritto ad alcuna parte politica, si diede alla vita pubblica ed a forza d’attività, di audacia e, bisogna dirlo, d’improntitudine, vi ebbe fortuna (…) Palizzolo fu forse il primo che diffuse a Palermo l’arte di cattivarsi i suffragi degli elettori mediante favori personali ed, usando abilmente quest’arte e sfruttando il malcontento che allora era grandissimo e si camuffava sotto il nome di regionalismo, riuscì ad entrare nel consiglio comunale e divenne poi assessore308.

Un ritratto non proprio roseo del deputato palermitano. Negli anni del processo Notarbartolo Mosca tenne una serie di conferenze a Milano e Torino, incentrate sul tema della mafia. Il contenuto di questi interventi venne pubblicato poi sul Giornale degli

Economisti. Successivamente, tali interventi furono riproposti - sotto forma di testo - da

diverse case editrici nazionali.

Secondo Mosca esisteva uno “spirito di mafia” inteso come “maniera di sentire”, tipico di “tante piccole associazioni che si propongono scopi vari”, qualche volta “delittuosi”. Lo spirito di mafia sarebbe consistito nel reputare segno di debolezza o di vigliaccheria il ricorrere alla giustizia ufficiale (polizia o magistratura) per la riparazione di possibili torti. Lo spirito di mafia

è un sentimento essenzialmente antisociale, il quale impedisce che un vero ordine, una vera giustizia si possano stabilire ed abbiano efficacia fra le popolazioni che ne sono largamente e profondamente affette309.

308

Mosca, Uomini e cose di Sicilia, pp. 70 - 71. 309

Gaetano Mosca, Che cos’è la mafia. Con un saggio di Antonio Ingroia e Gian Carlo Caselli, Laterza, Roma, 2002, p. 9,

Questo sentimento sarebbe stato diffuso maggiormente fra la popolazione siciliana. Secondo Mosca ciò era diretta conseguenza della “moralità del siciliano”, basata sui rapporti tra privati. Tale moralità

(…) si esplica a preferenza nei rapporti con i privati anziché nell’adempire scrupolosamente ai doveri pubblici del cittadino. Perciò nell’isola anche un galantuomo, indipendentemente da ogni spirito di mafia, posto nel bivio di negare la verità avanti la giustizia o di mettere in imbarazzo un amico od un conoscente, che gli ha rivelato un fatto grave fidando nella sua discrezione, e di mostrarsi quindi verso di questi leggiero e fedifrago, quasi sempre risolverà il quesito morale a danno della giustizia310.

Lo spirito di mafia enunciato sin qui portava alla costituzione di sodalizi criminali? La risposta è negativa. Il politologo negava qualsiasi carattere associativo della mafia. Tuttavia, sosteneva l’esistenza della cosca, dando un significato alquanto differente a questa parola, rispetto a quello immaginabile La cosca mafiosa era

“(….)Un organismo semplicissimo ma saldo e che non ha niente di fisso e di burocratico. Non ci sono né presidenti, né segretari eletti in una forma qualsiasi, né ruoli dei soci. Il sodalizio è diretto e sfruttato quasi sempre da tre, quattro o cinque persone più autorevoli per l’età, l’intelligenza, la posizione sociale, le prove fatte, le condanne riportate e soprattutto per l’esperienza e la perizia maggiore nell’arte difficile di delinquere impunemente. Se uno di questi membri eccelle sugli altri per il complesso di tutte queste qualità diventa di fatto il capo311.

All’interno della cosca si potevano conquistare posizioni di comando grazie alle proprie

capacità criminali. Non vi erano gerarchie prestabilite e nemmeno un carattere unitario di azione. “L’arte difficile di delinquere impunemente” accomunava i diversi soggetti coinvolti in questa sorta di sodalizio temporaneo. Tali soggetti non avrebbero avuto difficoltà a riconoscersi, anche se provenienti da zone o cosche differenti.

310 Ibid., p. 26. 311

“Le persone fortemente imbevute di spirito di mafia e molto più quelle che appartengono alle varie cosche, si riconoscono facilmente fra di loro per quello stampo, quel non so che di comune, che l’identità delle abitudini e dell’educazione morale ed intellettuale imprimono nei diversi ceti e nelle diverse professioni”312.

L’”identità delle abitudini e dell’educazione morale” erano quindi il segno distintivo di larghe fasce della popolazione siciliana, imbevute dello “spirito di mafia”. Le cosche oltretutto, dopo l’introduzione del regime rappresentativo parlamentare, non avrebbero disdegnato l’attività politica.

Pochi anni dopo che fu introdotto in Sicilia il regime rappresentativo, le cosche mafiose compresero subito il gran partito che potevano trarre dalla loro partecipazione alle elezioni politiche ed amministrative. Questa partecipazione diventò più efficace ed attiva dopo le leggi che allargarono il suffragio e che diedero il diritto di voto ai membri stessi delle cosche ed alle classi nelle quali questi possono avere più influenza e godono maggior prestigio313.

L’analisi di Mosca, come si può evincere dai frammenti di testo che ho proposto sin qui, subiva l’influenza di un approccio socio - antropologico, in grado di vedere l’essenza del fenomeno mafioso soprattutto in fattori di matrice culturale. Lo “spirito di mafia” teorizzato è incentrato su una lettura riduttiva del comportamento della popolazione siciliana, a suo avviso impegnata a curare soprattutto i rapporti tra privati anziché ad adempiere ai “doveri pubblici del cittadino”. La concettualizzazione di mafia offerta da Mosca risentiva grandemente dell’influenza di un paradigma che vedeva nella criminalità organizzata un mero dato culturale. Un paradigma che all’epoca era ben presente nell’opinione pubblica.

Alla discussione pubblica di allora incentrata sulla mafia partecipò pure il futuro fondatore del Partito Popolare Italiano: Luigi Sturzo. Sul numero del 21 gennaio de La Croce di

Costantino, in un articolo intitolato “La Mafia” firmato da un certo “Il zuavo” -

312Ibid., p. 55. 313

pseudonimo adottato da Sturzo - si sviluppava un’analisi del fenomeno mafioso, a partire dall’andamento del processo Notarbartolo:

Chi ha seguito con attenzione il processo, vedrà come anche quest’ultimo fatto è un effetto della mafia, che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; di quella mafia che oggi serve per domani esser servita, protegge per esser protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini creduti fior di onestà ad atti disonoranti e violenti. Oramai il dubbio, la diffidenza, la tristezza, l’abbandono invade l’animo dei buoni, e si conclude per disperare. (…) Gli alti papaveri commettono all’ombra concussioni, furti, omicidi; e quando si è arrivati con l’acqua al collo, si tenta il salvataggio. I giornali son pieni di fatterelli e di fattacci della mafia siciliana e specialmente dell’on. Palizzolo; son lunghe narrazioni d’imbrogli e di sopraffazioni, durati da un trentennio e più; con l’appoggio di tutti i governi e i ministeri. È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra patria, la immoralità trionfante nel governo314.

Un anno prima, il sacerdote e uomo politico aveva scritto un dramma costituito da cinque atti, intitolato La Mafia. L’opera teatrale venne rappresentata nel febbraio del 1900 a Caltagirone, all’interno del teatro “Silvio Pellico”, fondato dallo stesso Sturzo.

Il dramma era un’anticipazione delle considerazioni presenti nell’articolo apparso su La

Croce di Costantino. I personaggi dell’opera richiamavano alcuni dei protagonisti della

vicenda Notarbartolo, a cominciare dal cav. Ambrosetti e dal comm. Palica, considerabili come veri e propri alter ego del direttore del Banco di Sicilia ucciso e di Palizzolo. Del testo sono disponibili315 soltanto i primi quattro atti. Vi è però un riassunto del V atto, che si concludeva con la morte di Ambrosetti.

314Cit. in Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma, 2000, p. 97. 315

Così la Mafia ha vinto; l’Ambrosetti che credeva colpirla, ne è stato barbaramente assassinato; ed il popolo non saprà mai che quelli che lo governano sono i suoi ladri ed i suoi assassini in guanti gialli316.

Il dramma di Sturzo, al di là delle possibili valutazioni inerenti alla riuscita o meno dell’opera teatrale, era un vero e proprio atto di accusa nei confronti delle insidiose relazioni che vi erano tra élites e mafia. Il suo articolo coglieva alcune peculiarità delle criminalità organizzate, non solo della mafia siciliana. La ricerca di relazioni stabili e durature con soggetti economici e politici è una delle costanti che attraverseranno la storia delle principali organizzazioni criminali italiane, fin dalle origini. Come Napoleone Colajanni, forse Sturzo eccede nel delineare uno strapotere della mafia nei confronti della politica. Entrambi però, all’interno dei loro scritti, hanno il merito di affrontare il delicato tema delle responsabilità delle élites in Sicilia rispetto alla presenza della criminalità organizzata.