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La rivalità tra Notarbartolo e Palizzolo.

II. L’omicidio Notarbartolo Un delitto di stampo mafioso.

2.7 La rivalità tra Notarbartolo e Palizzolo.

Notarbartolo e Palizzolo, due figure rilevanti dell’élite palermitana di fine Ottocento, risultavano alquanto differenti. Il primo era un notabile famoso per la sua integrità morale ed apprezzato quasi in maniera bipartisan. Mentre il secondo era un politico abbastanza “chiacchierato”, a causa delle relazioni che intratteneva con briganti e mafiosi.

Un terreno, quello delle relazioni pericolose, su cui Notarbartolo evitava di avventurarsi. L’ex direttore del Banco di Sicilia, quando era ancora in vita, si vantava di non frequentare privatamente Palizzolo.

A conferma di ciò, vi sono alcune testimonianze rilasciate da diverse persone durante il processo di Bologna.

Pietro Baccadeli, principe di Camporeale dichiarava che il Notarbartolo, nel 1891, quando “sentì parlare della candidatura del Palizzolo nel collegio di Corleone saltava in aria”209. Il deputato del Regno Pietro Lanza riferiva:

Una volta ebbi a domandare al Notarbartolo come mai non era intervenuto in casa Mirto ad una riunione politica, ed egli mi rispose: «Io non vado in posti ove sarei costretto a stringer la mano al Palizzolo». Un’altra volta lo stesso Notarbartolo mi disse: «Ti faccio una sola raccomandazione ed è di non far causa comune col Palizzolo»210.

Giovanni Notarbartolo, il fratello della vittima, affermava:

Spesso andavo a prendere mio fratello quando usciva dal Banco e vedendolo alle volte turbato gli domandavo che cosa avesse, ed egli mi rispondeva: «Che vuoi che abbia? Ho che i consiglieri del Banco e specie quel disonesto di Palizzolo, non mi lasciano in pace211.

209 Testimonianza di Pietro Beccadeli, ASBO Processo contro Palizzolo e altri, 25 febbraio 1902. 210Testimonianza di Pietro Lanza, Ivi.

211

La vedova Notarbartolo Marianna Merlo raccontava:

A proposito del Palizzolo ricordo che una talvolta, mentre io era a passeggio con mio marito, incontrammo il Palizzolo ed osservai che mio marito non lo salutò. Gliene domandai la ragione ed egli mi rispose che era una persona che egli disistimava e che mai me ne avrebbe fatto fare la conoscenza212.

Le prime frizioni tra i due avvennero nel campo delle istituzioni rappresentative. Nel 1873 la giunta clerico - regionista al comune di Palermo, all’interno della quale Palizzolo ricopriva l’incarico di assessorato all’annona, cedette il governo della città a quella liberale, guidata da Notarbartolo. Il nuovo sindaco invitò l’ex assessore, in una maniera alquanto brusca, a versare 3625 lire da lui dovute all’amministrazione comunale, in relazione ad un affare di acquisto di farine213. Nel 1875 Notarbartolo ottenne la direzione del Banco di Siclia, il più importante istituto creditizio isolano. Venne scelto dall’ultimo prefetto di destra, Gerra. Vi sarà lasciato anche dopo la cosiddetta “rivoluzione parlamentare”, per i meriti acquisiti nel risanamento dell’istituto in quegli anni, caratterizzati da gravi difficoltà per il Banco.

Una volta assunta la carica, il nuovo direttore analizzava le ragioni della crisi. Fautore di una linea prudentemente deflazionistica e lontana dalla “finanza allegra”, affermava in una lettera inviata al prefetto:

“Forse la misura del credito accordato (è) stata superiore al bisogno, donde la febbre di speculazioni arrischiate, le quali anziché giovare, hanno in sostanza nociuto al commercio vero e fecondo”214.

Successivamente egli modificherà in parte le sue considerazioni, soffermandosi sulla concentrazione eccessiva dei finanziamenti su due soggetti a rischio, “La Trinacria” (casa armatoriale palermitana) e la Genuardi (ditta argentina di esportazione zolfifera). Tali finanziamenti venivano erogati a causa della presenza negli organismi dirigenti del Banco di personaggi fortemente interessati a queste società215. Al direttore generale - di nomina

212

Testimonianza di Marianna Merlo, ASBO, Processo contro Palizzolo e altri, 3 febbraio 1902. 213Orazio Cancila, Palermo, Laterza, Roma, 2009, p. 145.

214Lettera di Notarbartolo a Gerra, cit. in Romualdo Giuffrida, il Banco di Sicilia, 1972, p. 145. 215

governativa - si affiancava un consiglio generale di 50 membri, composto dai rappresentanti delle province e delle Camere di Commercio. Si trattava di uno strumento che avrebbe dovuto rappresentare le istanze della società civile. Nella realtà effettiva, tuttavia, veniva a configurarsi come una sorta di contropotere politico - clientelare, avverso alla struttura amministrativa verticale del Banco. In una lettera dell’aprile 1889, inviata all’allora ministro dell’Agricoltura del governo Crispi, Luigi Miceli, Notarbartolo sosteneva che diventava sempre più “difficile se non impossibile di amministrare con sicurezza di tutelare gli interessi delle istituzioni”, perché i membri del Consiglio generale del Banco, intendevano avvalersi di non chiari poteri dell’organismo per “asservire la Direzione generale e le commissioni di sconto (….) invadere tutti i campi”216.

Il problema era tanto più grave giacché i membri del consiglio non avevano precise competenze bancarie. Erano coloro “che più si agitano nelle elezioni provinciali, comunali e commerciali”.

All’interno del Consiglio di amministrazione vi era pure Raffaele Palizzolo, membro di tale organismo a partire dal 1886.

Notarbartolo voleva ottenere dal governo una riforma dello statuto del Banco che ridimensionasse le attribuzioni del consiglio e mutasse il sistema dei suoi membri, valorizzando per converso l’autonomia del gruppo dei funzionari, da lui incentivata. In una seconda lettera al ministro Miceli, inviata pochi giorni dopo la prima, il direttore affermava:

È già nella coscienza di tutti che dal Consiglio generale si fa un’opposizione personale che altrimenti non può chiamarsi. La lotta più o meno dissimulata dura da parecchi anni. Informino i volumi degli atti di quel consesso dai quali appare manifesto che esso si affatica ad oltrepassare i limiti della sua vigilanza amministrativa (…), ad assorbire tutti i poteri spettanti ai vari organismi dell’amministrazione compreso quello di dirigere e regolare l’azienda bancaria (….). Invero dei quattro consiglieri elettivi del Consiglio centrale, tre (marchese Ugo, comm. Palizzolo e avv. Figlia) votarono sempre contro le proposte dell’amministrazione217.

216Lettera dell’8 aprile 1889, cit. in Ibid. , p. 320 - 328. 217

Notarbartolo poteva fare affidamento sull’appoggio garantitogli da Miceli, ministro in un governo guidato da Crispi. Tuttavia, questo appoggio non bastava a far diminuire l’influenza, all’interno del consiglio di amministrazione, di fedeli crispini come Figlia, Muratori e Tenerelli. Emblematico è l’evento che si verificò il 23 aprile del 1889. Le due lettere “personali” vennero trafugate dal tavolo del ministro, e ad opera di Palizzolo, ricomparvero in copia nella seduta del 19 maggio del consiglio generale (il direttore era assente). In quell’occasione il deputato palermitano “attaccò il Notarbartolo dicendolo incapace di giudicare lui ed i colleghi, tacciandolo di prevaricazione per le accuse mosse a consiglieri che erano tali da anni e proponendo un voto di sfiducia che fu deliberato218”. La

delibera venne annullata dal Ministero, poiché tra le facoltà del Consiglio non vi era quella di poter sfiduciare il direttore generale. Palizzolo però avrebbe ottenuto il risultato sperato, cioè l’allontanamento di Notarbartolo dal Banco di Sicilia. Esso avvenne per decisioni prese a Roma. Il 6 febbraio del 1890 Crispi decretò lo scioglimento dell’amministrazione del Banco di Sicilia, assieme a quella del Banco di Napoli. Le condizioni di bilancio dei due istituti erano abbastanza buone. Perché il presidente del consiglio prese tale decisione? Lupo ha evidenziato come sia Emanuele Notarbartolo, sia Girolamo Giusso (l’allora direttore del Banco di Napoli n.d.r.), fossero due esponenti della vecchia Destra. Essi, in alcune circostanze, si erano dimostrati restii ad assecondare i progetti crispini219. Vi era quindi una ragione dettata da equilibri politici. Io mi trovo concorde e propendo per tale ipotesi.

Un esempio ci viene dalla paventata costituzione di una società di navigazione italo - britannica, sponsorizzata dal ministro Miceli, in grado di assicurare alle derrate agricole del Sud uno sbocco sul mercato inglese220. Notarbartolo aderiva a tale iniziativa,

attirandosi l’inimicizia della più potente lobby cittadina: la Navigazione Generale Italiana (NGI) della famiglia Florio. Tale società non vedeva positivamente l’istituzione di una linea sovvenzionata al di fuori del monopolio che deteneva su scala nazionale. Appoggiando il progetto di Miceli, Notarbartolo si collocava sul fronte opposto, in contrasto con le larghissime aderenze dei Florio. Essi avevano considerevoli appoggi

218

Sintesi della I istruttoria cit. in Lupo, Tra banca e politica, p. 143. 219

Ibid., p. 144.

220

Siamo in un momento storico caratterizzato dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia. Era essenziale, quindi, ricercare nuovi mercati per i prodotti agricoli meridionali.

all’interno degli ambienti aristocratici e borghesi. Potevano, inoltre, contare sul blocco laburista, il quale aveva per base gli operai dei cantieri navali. Infine godevano di un ampio consenso traversale all’interno del mondo politico: i crispini, in primis, ma pure l’intero fronte conservatore e persino il repubblicano Napoleone Colajanni e i cosiddetti socialisti “marca Florio”221.

All’interno di questa composita lobby, ovviamente, non poteva non mancare Raffaele Palizzolo, strumento dei Florio all’interno delle battaglie parlamentari tendenti all’incremento delle sovvenzioni statali e alla resistenza contro i progetti antimonopolisti che venivano periodicamente avanzati, e che troveranno in Giolitti il massimo fautore. Ecco un suo intervento parlamentare, tenutosi alla Camera dei Deputati nell’aprile del 1885:

Io riconosco nel Florio e nel Rubattino degli individui benemeriti dell’Italia tutta, che hanno reso alla patria immensi servizi, ed a cui bisogna essere riconoscenti. (…) Pensate che mentre tanto rumore di guerra ci circonda, la società Florio - Rubattino rinuncia a milioni e milioni di utili certi per non privare l’Italia di quei potenti e veloci piroscafi di cui ha tanto bisogno (…). Ad una nazione come la nostra che ha 200.000 marinai e tante città fiorenti sul mare non si può dire: non c’è denaro. Una corazzata in meno, vi si griderà da ogni parte, ma non negate gli aiuti necessari alla marineria mercantile, a questa grande forza nazionale, a questa grande industria del paese222.

Dopo l’esautoramento di Emanuele Notarbartolo, l’atteggiamento del Banco di Sicilia verso la costituzione della società italo - britannica divenne sempre più freddo.

In particolare, dal febbraio del 1891, momento in cui la direzione dell’istituto venne affidata a Giulio Benso duca di Verdura, fervente crispino e azionista della NGI. Le relazioni tra la maggiore banca siciliana e il colosso armatoriale aumentarono. Nel luglio di quell’anno, mentre era in corso una discussione politica sul rinnovo delle convenzioni marittime, il nuovo direttore generale avviò un’operazione di rastrellamento, per un importo pari a un milione e ottocentomila lire, di 6950 azioni delle NGI. Lo scopo di ciò

221Cfr. Giuseppe Barone, Il tramonto dei Florio in Rivista Meridiana, N. 11 - 12, 1991, pp. 15 - 46. 222

sarebbe stato quello di “sostenere” il prezzo nelle piazze finanziarie di Milano e Genova223.

Il primo lotto, (3000 azioni), venne acquistato dallo stesso Florio, che però regolarizzava la transazione solo all’inizio dell’anno successivo, dopo che uno dei consiglieri di nomina governativa, Fortunato Vergara duca di Craco, aveva espresso perplessità, condivise peraltro dai funzionari del Banco, i quali consideravano queste speculazioni proprie di una banca privata e, perciò, proibite dallo statuto. Questi funzionari erano “la leva” formata da Notarbartolo, a lui rimasta fedele e, definiti dal giornale L’Epoca, “di trionfa vanità elevati agli alti gradi dal favoritismo del caduto Direttore”224.

Furono costoro a informare Notarbartolo degli ulteriori sviluppi della NGI. Nel 1892 gli acquisti non venivano più effettuati a favore di Florio, ma per conto di un altro personaggio di dubbia caratura: Salvatore Anfossi. Egli non godeva di buona fama.

All’Assise di Bologna Sangiorgi lo dipinse come “un imbroglione”, che “alla borsa non godeva buona opinione”225. Su tali vicende si svolse un’ispezione per volere dell’allora ministro del Tesoro Giolitti. L’ispezione venne affidata al Comm. Gustavo Biagini, il medesimo che, tre anni prima, aveva scoperto gli scandali legati alla Banca Romana. L’ispettore del Tesoro diceva dell’Anfossi:

È un sensale di cambio, non iscritto nel ruolo dei commercianti della Camera di commercio, ha per se stesso pochissimo valore e lascia molto a desiderare per la sua moralità226.

Secondo l’ispettore generale del Banco di Sicilia Pietro Bazan, le operazioni “furono fatte nell’interesse del Comm. Palizzolo”227, grazie all’intermediazione fornita da Anfossi.

Anche le vicende del Banco di Sicilia possono essere annoverate tra le possibili motivazioni che avrebbero indotto il deputato palermitano a disfarsi di Notarbartolo. Va segnalato un fatto: da diverse deposizioni che ho consultato, emergerebbe la paventata possibilità, prima che fosse ucciso, di un ritorno del politico moderato alla direzione

223

Marchesano, Processo, p. 452. 224

“L’Epoca”, 8 giugno 1890, cit. in Giuffrida, Il Banco di Sicilia, p. 256. 225

Testimonianza di Ermanno Sangiorgi, ASBO, Processo contro Palizzolo e altri, 31 gennaio 1902. 226

“Corriere della Sera”, 6 - 7 settembre 1899, consultato in Sala Periodici, Biblioteca Centrale di Firenze, in data 7/12/2016.

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dell’istituto creditizio. Vi citiamo due frammenti di testimonianze alquanto esemplificative. Lucchesi affermava:

“Colmayer (ex prefetto di Palermo, n.d.r.) mi disse che era intenzione del ministro Miceli di richiamare il Notarbartolo alla Direzione del Banco di Sicilia”228.

Rudinì, grande amico di Notarbartolo, auspicava da “sempre” il suo ritorno alla Direzione del Banco di Sicilia. Si espresse con queste parole dinanzi alla Corte d’Assise di Bologna:

Questo desiderio lo manifestai a vari amici. Andato io al potere non ebbi alcuna ragione di cambiare, ed il mio desiderio rimase, senza però poterlo tradurre in atto perché non stava in mio potere. Coloro ai quali manifestai del mio desiderio furono il Trabia e il Camporeale che sono incapaci di mentire229.