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Il processo di Milano.

II. L’omicidio Notarbartolo Un delitto di stampo mafioso.

2.4 Il processo di Milano.

Il 14 gennaio del 1899, la Corte d’Assise di Palermo, in merito all’omicidio Notarbartolo, emise una sentenza di rinvio a giudizio nei confronti di Carollo e Garufi.

La Parte Civile, nella persona di Leopoldo Notarbartolo, insoddisfatta di come stavano procedendo le ricerche, ottenne che il processo venisse celebrato alla Corte d’Assise di Milano. La Procura Generale di Palermo fece pratiche per elevare suspicione contro la giuria di Palermo e rinviò il dibattimento nella città lombarda149.

L’11 novembre di quell’anno, iniziarono le udienze nella città lombarda. All’Assise di Milano, in una clima condito da forte emotività, il figlio della vittima accusò apertamente Raffaele Palizzolo. Così, un cronista dell’Avanti, ha descritto l’evento:

Io non vi so dire il fremito d’ansia, la sospensione d’animo dei magistrati, dei giurati, del pubblico a queste parole, invincibilmente una attenzione acuta, dolorosa quasi legò il pretorio alla parola rapida, incisiva, sicura di quel giovane ventottenne che veniva a reclamare vendetta contro il presunto potente assassino del padre150.

148

Testimonianza di Vincenzo Cosenza, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri, 29 novembre 1903. 149

Notarbartolo, La città cannibale, p. 231. 150

“Avanti”, 18 novembre 1899, consultato in Sala Periodici, Biblioteca Centrale di Firenze, in data 3/12/2016.

Sotto la spinta della Parte Civile, il processo contro i due ferrovieri divenne una vera e propria “pubblica istruttoria”, contrapposta alla istruttoria ufficiale che si trascinava dal 1893, senza che si riuscisse a pervenire alla scoperta dei rei.

Non ho avuto la possibilità di rintracciare alcun materiale giudiziario relativo al processo celebratosi a Milano. Mi limiterò ad alcune considerazioni.

Nelle aule milanesi emersero alcuni tentativi di depistaggio promossi durante la prima istruttoria palermitana, portati avanti da alcuni funzionari pubblici. L’ispettore di Pubblica Sicurezza Alfredo Cervis accusò il suo collega, Francesco Di Blasi, di aver depistato le indagini, di aver trafugato prove e occultato relazioni accusatorie. Di Blasi venne arrestato in aula per falsa testimonianza. Qualche mese dopo, un’inchiesta promossa dal prefetto di Palermo De Seta, riesumò un biglietto, con cui, appena il giorno successivo l’omicidio, l’ispettore incriminato dichiarava, di sua spontanea volontà, di voler essere destinato alle indagini, indicando alcune “piste” del tutto irrealistiche. L’inchiesta, nelle sue conclusioni, affermava:

“La di lui intima relazione col comm. Palizzolo dà motivo di dubitare che non sia stato estraneo in lui l’interesse di avere in mano le fila della matassa per la salvare il suo amico e protettore”151.

La testimonianza di Cervis, inoltre, lasciava intendere come Palizzolo avesse trovato indulgenza, se non complicità, nel questore di Palermo del 1893, Eugenio Ballabio, il quale, messo a confronto col Di Blasi, lo apostrofò come “un mentitore e un vile (che) ha portato il disonore sulla questura di Palermo”152. Il generale Mirri, ministro della Guerra nel governo Pelloux e già capo della Pubblica Sicurezza in Sicilia nel periodo dello stato d’assedio promosso da Crispi, stigmatizzava l’atteggiamento della magistratura, che accusava di “massima rilassatezza, negligenza, anzi colpevolezza”153. Di nuovo Michele Lucchesi, chiamato come testimone a Milano, affermava:

“Una mano magica, misteriosa ma potente, ha influito in questo processo! Così si spiega come (…) (esso) venga a svolgersi dopo sei anni mentre sarebbero bastati appena quattro mesi”.154

151

Rapporto del prefetto De Seta del 15 maggio 1900, cit in. Lupo, Storia della Mafia, p. 123. 152“Giornale di Sicilia”, 3 - 4 dicembre 1899 cit. in Ivi

153“Giornale di Sicilia”, 15 - 16 dicembre 1899 cit. in Lupo, Storia della Mafia, p. 123. 154“Giornale di Sicilia”, 23 - 24 dicembre 1899, cit. in Ivi.

Il mondo politico dell’epoca era preoccupato dalle possibili ripercussioni del processo. L’allora presidente del consiglio Pelloux confidò a Sidney Sonnino di temere per la possibile tenuta degli equilibri politici, a causa di un processo giudiziario che aveva qualcosa di “troppo largo e indefinito”155. All’Assise di Milano, effettivamente, si ebbero alcune deposizioni che possono farci comprendere meglio le preoccupazioni di Pelloux. Nelle aule milanesi erano molti gli esponenti politici pronti a scaricare Palizzolo.

Rudinì, al riguardo, affermava in una lettera inviata all’ex commissario civile Codronchi:

Io non mi porto garante di Palizzolo. La corrente d’opinione che si è formata contro di lui dice che è uomo capace di delinquere. Ma (…) l’accanimento posto, nella prima istruttoria, contro di lui, dimostra, quasi, che si sia cercato ad arte di fuorviare la giustizia allontanandola dalla buona pista. Or quel che si vede a Milano non modifica ancora i miei apprezzamenti. Temo che anche la parte civile sia stata spinta ad arte fuori di via. Sarebbe un colmo!156

Rudinì sosteneva poi che il vero scandalo stava nella mancata incriminazione di Fontana, accusando di negligenza la magistratura157.

A Palermo gli avvenimenti preoccupavano la magistratura, così pesantemente chiamata in causa. Il procuratore Cosenza protestava in particolare per lo spazio che il tribunale milanese dava alla parte civile:

Fu dato l’ignobile e nauseabondo spettacolo di un solenne giudizio pubblico trattato non nell’interesse alto e sereno della giustizia, ma nel solo intento di dare sfogo ad una privata vendetta. E si vide (…) un privato accusatore che si eresse a giudice inquirente contro due che non erano accusati né presenti in giudizio; e cotesto privato accusatore non solo si diede ad istruire sulla colpabilità degli assenti, ma pretese e proclamò di averla pienamente accertata e dimostrata, prima che gli assenti fossero stati interrogati, e prima che potessero far sentire le proprie discolpe158.

155

S. Sonnino, Diario 1866 - 192, a cura di (B.F. Brown), Bari, 1972, Vol. I, p. 428. Vedasi anche p. 423. 156Lettere cit. del 5 ottobre 1899 cit., in Lupo, Storia della mafia, p. 127.

157Lettere cit. in Ibid, p. 128. 158

Il carattere della procedura, piuttosto atipico, veniva giustificato dalla Parte Civile come una necessità, una sorta di forzatura, di fronte alle influenze di Palizzolo, in particolare sul procuratore Cosenza, definito “uomo che dolorosamente dimostrò come da lui non si possa sperare il trionfo del vero e della giustizia”159.

Palizzolo puntava alle sue conoscenze della macchina giudiziaria e poliziesca palermitana, su un network di tipo prevalentemente locale. I Notarbartolo potevano fare affidamento sul campo moderato - aristocratico (in particolare, sul principe di Camporeale e il principe di Scalea), nonché sul rapporto col Governo e gli ambienti di Corte. Le indagini sull’omicidio segnavano nuovi sviluppi e venivano riprese quando tale congiuntura politica si dimostrava influente. Possiamo fornirvi qualche esempio. La congiuntura politica fu favorevole quando si proclamò lo stato d’assedio in Sicilia: il generale Mirri procedette all’arresto dell’intera cosca mafiosa di Villabate. Quando nell’isola arrivò Codronchi in qualità di commissario civile. Mentre nei mesi cruciali del processo di Milano, si rivelarono fondamentali, addirittura, l’appoggio dato dal re Umberto I, su richiesta del principe Camporeale, oltre al rapporto che univa lo zio di Leopoldo Notarbartolo, il maggiore dell’esercito barone Gaetano Merlo, al presidente del consiglio dell’epoca, il generale Pelloux.

Il figlio dell’assassinato si espresse così:

Vedevamo che il Ministero ci sosteneva. Se una matassa si aggrovigliava mio zio (…) pigliava il treno per Roma e otteneva dal suo amico Pelloux tutto quello che volevamo. Così riuscimmo ad assicurare alla giustizia i documenti riservatissimi del Banco di Sicilia, della Questura e del comando dei R.R. Carabinieri di Palermo, e fin quelli del Ministero degli interni. Vedendo questo, i magistrati pigliavano ossequiosi l’imbeccata degli avvocati della parte civile, poliziotti e questori curvavano la schiena e venivano ad adularci e a farci la spia160.

Nelle vicende sin qui narrate dobbiamo pure ricollegare alcune gravi implicazioni di politica generale. Il processo di Milano seguiva la violenta repressione dei moti popolari

159Memorandum del 14 gennaio 1900, cit. in Ivi, p. 14. 160

del ‘98 e la prima fase dell’ostruzionismo parlamentare (giugno 1899). L’Estrema Sinistra era all’offensiva nei confronti dell’esecutivo, così duro verso i socialisti e arrendevole verso i mafiosi. In un dibattimento parlamentare incentrato sul bilancio del Ministero degli Interni, il deputato socialista Leonida Bissolati definiva così la politica italiana:

“ha due facce, e sull’una è la figura - simbolo del Palizzolo, sull’altra faccia c’è l’immagine dei deputati De Ambris, Chiesi, Turati, librettati e vigilati dalla Pubblica Sicurezza”161.

L’8 dicembre di quell’anno, la Camera dei deputati, su proposta di Pelloux, sospendeva le comunicazioni telegrafiche tra Roma e Palermo 162 e, calpestando le procedure

consuetudinarie, ottenne dal Parlamento un voto favorevole all’arresto di Palizzolo163, eseguito immediatamente. Anni dopo, all’Assise di Firenze, Ermanno Sangiorgi raccontò così l’arresto del deputato siciliano:

Non fu perquisita la casa Palizzolo perché non ne venne dato l’ordine né dall’autorità pubblica, né dall’autorità giudiziaria. Condotto il comm. Palizzolo nel mio ufficio, gli comunicai l’ordine di arresto, ed egli mi chiese: «Per peculato?, al ché risposi: «per peculato e pel l’assassinio Notarbartolo». Egli allora si portò una mano al petto, e lasciandosi cadere su di una sedia, disse: «Sono imputato ma non condannato», io proseguì: «O imputato o condannato, siete un uomo, e qualunque cosa abbiate bisogno sono qui per voi». Egli replicò: «Non ho bisogno di nulla, fatemi entrare i miei fratelli». Feci passare i suoi fratelli, non ricordo se due o tre, ed esso disse loro che era arrestato e ne accennò le ragioni, e quindi, proseguì: «Statevi tranquilli, se il processo si fa a Palermo contate sulla mia innocenza, se si fa fuori raccomandatemi l’anima a Dio»164.

Nella riapertura del processo, un ruolo importante, in un certo senso, lo ebbe l’Estrema Sinistra. Leopoldo Notarbartolo, infatti, si era affidato al patrocinio di due avvocati

161 Tornata del 1 dicembre 1899, Camera dei deputati cit. in Lupo, Storia della mafia, p. 129. 162Cit. in Ibid., p. 130.

163

Tornata dell’8 dicembre 1899, Camera dei deputati,

http://archivio.camera.it/patrimonio/archivio_della_camera_regia_1848_1943/are01o/documento/CD110005 6937.

164

socialisti: Carlo Altobelli e Giuseppe Marchesano. Entrambi poi saranno futuri deputati165.

Merita di essere menzionata l’elezione di Marchesano. Nelle elezioni politiche del 1900 vi era questa situazione nei collegi di Palermo. Nel 1° collegio, la fazione favorevole al Ministero, aveva deciso di candidare Raffaele Palizzolo, sul quale, gravava l’imputazione di assassinio di Emanuele Notarbartolo e già si trovava in carcere. Nel 4° collegio, a loro volta, i socialisti misero in lista Giuseppe Marchesano. Il risultato elettorale quale fu? Palizzolo né uscì sconfitto, mentre l’avvocato di Parte Civile riuscì ad entrare in Parlamento166. Si potrebbe interpretare come un segno dei tempi, poco favorevoli, in quegli anni, al potente notabile palermitano.