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Una difficile istruttoria.

II. L’omicidio Notarbartolo Un delitto di stampo mafioso.

2.2 Una difficile istruttoria.

Il 1 febbraio del 1893 su una carrozza ferroviaria in transito sulla linea Termini - Palermo veniva assassinato Emanuele Notarbartolo. Egli godeva di ampi consensi trasversali, grazie alla capacità amministrative dimostrate come sindaco di Palermo (1873 - 76), e, successivamente, come direttore generale del Banco di Sicilia (1876 - 90).

La “voce pubblica” ipotizzava fin da subito il delitto di mafia. Perché si pensò a questa eventualità? Innanzitutto, l’aggressione banditesca pareva alquanto remota, dato lo scenario “moderno” (una linea ferroviaria) rispetto alla campagna, dove i proprietari si muovevano con circospezione per timore dei banditi. Lo scenario del delitto era così rassicurante per la vittima tanto da indurla ad abbandonare le precauzioni che adottava sin dal 1882, quando subì un sequestro (torneremo successivamente su tale avvenimento). Al

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Tra di essi figurava Giuseppe De Felice Giuffrida, fondatore del primo Fascio siciliano (Catania, 1 maggio 1891). Avrò modo di tornare sulla sua figura nell’ultimo capitolo dell’elaborato.

momento dell’accaduto Notarbartolo aveva il fucile scarico e stava dormendo Inoltre, l’omicidio venne compiuto con un’arma, il coltello, maggiormente usata nei delitti passionali che in quelli “per mandato”. Vi è poi un altro aspetto che merita di essere evidenziato. I mafiosi dell’area palermitana non usavano certamente uccidere possidenti e, tantomeno, eminenti figure pubbliche come l’ex direttore del Banco di Sicilia. Caso mai preferivano condizionare tali soggetti con ricatti e pressioni, riservando la massima sanzione “capitale” alle spie o ai possibili concorrenti in determinati settori: guardiania, gabella, intermediazione commerciale ed erogazione per l’irrigazione103.

Intorno al clamoroso omicidio si accumularono voci e indizi. Fino ad arrivare all’individuazione dei rei. Esecutore del delitto sarebbe stato un esponente mafioso della cosca di Villabate: Giuseppe Fontana. Mentre il mandante andava ricercato nel notabilato locale. A volere la morte di Notarbartolo sarebbe stato addirittura un deputato del Parlamento: Raffaele Palizzolo.

“Nei pubblici ritrovi, nelle vie, ovunque si diceva: la mano dev’essere stata del Palizzolo”104.

Ci troviamo di fronte a una commistione di un livello elevato, tra una parte delle élites locali - nella persona di Palizzolo - e il mondo dei delinquenti e dei facinorosi, nel caso specifico costituito dalla cosca mafiosa di Villabate. Un intreccio in grado di provocare l’uccisione di un membro dell’establishment.

Per individuare i possibili autori del delitto fu necessario un enorme sforzo da parte dei familiari della vittima. Portato avanti, in particolare, dal figlio Leopoldo. Egli si adoperò con tutte le sue forze - lo dimostrano molte delle vicende raccontate nel memoriale dedicato al padre - per rintracciare i colpevoli dell’omicidio. Sforzi che, come vedremo, non porteranno al risultato sperato, lasciandoci, a più di cent’anni dall’ultimo verdetto, senza un colpevole. Un omicidio privo di assassini verrebbe da dire. Almeno da un punto di vista strettamente giuridico.

Pochi giorni dopo l’assassinio di Emanuele Notarbartolo le Ferrovie Siciliane avviarono un’inchiesta volta a scoprire gli autori del delitto. Tra i sospettati figurava fin da subito il nome di Giuseppe Carollo, uno dei ferrovieri presenti sul treno al momento

103 Cfr. Salvatore Lupo, Il tenebroso sodalizio, Un rapporto sulla mafia palermitana di fine ottocento, in

Studi Storici, N.2, 1988, pp. 463 - 89.

104 Testimonianza al processo di Milano del questore di Messina Nestore Peruzy, cit. in Salvatore Lupo, Tra

dell’omicidio105. Il 24 febbraio del 1893 un ispettore di Pubblica Sicurezza si presentava

all’allora questore di Palermo Eugenio Ballabio. Egli portava con sé un verbale di denuncia, contenente un interrogatorio di Marino Longo, giovanotto e figlio di un ferroviere, il quale la sera del 1 febbraio 1893 aveva viaggiato sullo stesso treno di Notarbartolo, in un vagone non troppo distante da quello della vittima. Poco prima di giungere al ponte Curreri106, Marino Longo sarebbe stato allontanato dal frenatore Pancrazio Garufi, che lo minacciò di “togliergli la tessera di libera circolazione se non obbediva: evidentemente perché non vedesse quel che stava per accadere sul tragico ponticello”107.

Sempre nel mese di febbraio, il questore Ballabio ricevette la visita di un suo delegato. Costui aveva ricoperto a lungo l’ufficio di Pubblica Sicurezza a Villabate. Egli riferì al suo superiore di aver appreso da un certo Domenico Delisi - un “pezzo grosso locale”108 - che il sicario di Notarbartolo era Giuseppe Fontana. Fontana venne visto la mattina del 2 febbraio ad Altavilla da Angelo Troia, un ricco negoziante di olio. Ballabio chiamò quindi Delisi e si fece ripetere la storia.

Che cosa successe poi a questa possibile testimonianza, utilizzabile per poter incriminare Fontana? Leopoldo Notarbartolo ha scritto che il questore “ne fece un appunto con molta diligenza, e lo seppellì poi così profondamente che questo appunto non è mai stato ritrovato”109. Tale fatto sarebbe stato reso pubblico soltanto nel 1902, durante lo svolgimento del processo Notarbartolo dinanzi alla Corte d’Assise di Bologna.

Ho avuto modo di trovare i nomi di Angelo Troia e Domenico Delisi tra i testimoni uditi dalla Corte d’Assise emiliana. Ciò confermerebbe la veridicità degli avvenimenti raccontati dal figlio della vittima.

Soltanto nel maggio del 1893 iniziò il procedimento giudiziario volto a scoprire l’identità dei colpevoli. L’istruttoria venne avviata dalla Sezione di Accusa di Palermo, presieduta da certo Giua, un “magistrato che aveva quasi toccato il limite di età di 75 anni”110. A causa

105 Notarbartolo, La città cannibale, p. 200. 106

Stando alla ricostruzione proposta da Leopoldo Notarbartolo si trattava del punto del tragitto ferroviario in cui avvenne l’omicidio del padre, cit. in Ibid., p. 204.

107 Ivi. 108Ibid., p. 203. 109 Ivi. 110 Ibid., p. 208.

della sopravanzata età, Giua fu sostituito da un altro magistrato: il consigliere d’appello Trasselli. Leopoldo Notarbartolo lo ha descritto così

Il nuovo istruttore era un uomo tra 50 e 60 anni; palermitano e assai ben addentro alla vita locale. Mente piccina e poco limpida, era un uomo di parte; fervente crispino; aveva combattuto con quel partito la lotta elettorale del 1880, e abborriva Palizzolo che a Crispi aveva osato contrapporsi. Si infervorò dunque tutto nell’accusa rivoltagli da noi e dai fatti, e si diede a raccogliere tutti gli elementi che ben ritraessero la figura di Emanuele Notarbartolo, quella del suo assassinio e il fatale antagonismo tra i due111.

Trasselli aveva buone ragioni per procedere alla ricerca del reo, soprattutto se si trattava del “nemico politico” Palizzolo. Nell’autunno del 1894 l’istruttoria giunse a un punto cruciale. Come abbiamo visto in precedenza, tale periodo coincise con lo scoppio dei moti sociali dei fasci siciliani e lo stato d’assedio imposto da Crispi. La repressione in Sicilia si fece forte e, l’allora capo della sicurezza isolana, generale Giuseppe Mirri, procedette all’arresto dell’intera cosca di Villabate, con l’imputazione di associazione a delinquere. Tra gli arrestati vi era pure Giuseppe Fontana. Una volta condotto in carcere, egli venne interrogato anche sull’omicidio Notarbartolo. Domandatogli se la mattina del 2 febbraio si trovasse ad Altavilla, negò con forza e produsse un alibi. Fontana dichiarò che - sin da alcuni mesi prima del delitto - era entrato in società con tali Saccone, Perez e La Mantia112. Si trattava di soggetti pregiudicati. Il primo e l’ultimo erano clienti di Palizzolo. Fontana “si occupava di negoziare limoni. La società che essi formarono, pensò ad acquistare i limoni in Tunisia. Da lì, spedivano i limoni a Perez, rimasto a Palermo”113. Questa

campagna agrumaria sarebbe incominciata nell’autunno del 1892 e finì l’estate successiva. Durante questo periodo Fontana si sarebbe mosso soltanto una volta da Hammamet, la

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Ibid., p. 213.

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Riporto alcune informazioni inerenti ai tre soggetti, tratte da alcune udienze del processo Notarbartolo. Saccone, Perez e La Mantia parteciparono in qualità di testimoni al dibattimento.

Saccone Andrea, “di anni 36, possidente e trafficante in agrumi , nato e residente a Falconiale”, cit. in ASBO,

Processo contro Palizzolo e altri, udienza del 6 marzo 1902.

Perez Pigruto Antonino, “di anni 54, da Palermo”, cit. in ASBO, Processo contro Palizzolo e altri, udienza del 5 marzo 1902.

La Mantia Pietro (non sono disponibili informazioni sul suo conto), cit. in ASBO, Processo contro Palizzolo

e altri, elenco dei testimoni.

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cittadina tunisina prescelta dai tre soci per svolgere la loro attività. Precisamente in data 8 febbraio 1893. Egli poi avrebbe trascorso diverse settimane in Sicilia, sino ai primi giorni di marzo. Fontana presentò diverse prove a sostegno di tale alibi.

Nello stesso periodo in cui Fontana rispondeva alle domande postegli dalla polizia, il capostazione di Termini Salvatore Diletti affermò di averlo riconosciuto tra i viaggiatori del treno, all’interno della stessa cabina dell’assassinato. La vicenda che portò a tale riconoscimento è alquanto tortuosa. Da qualche mese Ballabio era stato sostituito da un nuovo questore: Michele Lucchesi. Poliziotto spregiudicato e dotato di pochi scrupoli, antico collaboratore di Malusardi, si adoperò affinché l’istruttoria potesse chiarire l’innocenza o la colpevolezza di Fontana. Egli convocò Diletti, rivolgendogli le seguenti parole:

Mio caro Diletti (…) vi ho fatto venire così misteriosamente perché ho bisogno di un favore di cui nessuno deve saper niente. Ho arrestato un tale che io credo sia l’assassinio di Notarbartolo, ma, capirete, si tratta di pena grave, e io vorrei avere la coscienza tranquilla. Ve lo mostrerò senza ch’ei vi possa vedere, e voi mi direte se è quel tale dalla figura torva che voi avete veduto nel vagone dell’ assassinato; e di quel che mi direte serberò il segreto più assoluto114.

Anni dopo, nel corso del dibattimento processuale di Bologna, Lucchesi raccontò così il riconoscimento di Fontana:

Il Diletti vide parecchie celle prima di arrivare a quella ove era il Fontana e a ciascuna di esse faceva una spallata e tirava avanti. Giunto a quella ove era il Fontana divenne pallidissimo, gli tremavano le mani e gli prese come un tremito convulsivo. Poi venne a me, disse: «è lui». Si usci dalle carceri e allora soggiunse: «Sono un gentiluomo e un uomo di coscienza, me ne hanno fatto veder tanti e ho dovuto escludere che essi fossero, ma ho detto che è lui e se non è lui gli rassomiglia molto115.

114Ibid, p. 228. 115

Lucchesi condusse poi Diletti dinanzi al procuratore generale di Palermo, Vincenzo Cosenza.

Nel novembre del 1903 il questore - di fronte alla Corte d’Assise di Firenze (ultimo verdetto in merito al caso Notarbartolo) - raccontò così tale avvenimento

Quando condussi il Diletti nell’ufficio del ricordato Procuratore Generale io entrai nell’ufficio del gabinetto annunziandogli che tutto era andato bene e che avevo anzi condotto con me lo stesso Diletti perché potesse ripetergli quello che aveva a me detto. Il Procuratore Generale se ne mostrò contento e mi disse di fare entrare il Diletti, il quale venuto avanti sulla porta parlò con quel funzionario, ma io non intesi perfettamente quello che il Diletti disse essendovi, per educazione, trattenuto ad un passo di distanza, però intesi benissimo, perché finii per avvicinarmi a loro la chiusa del discorso del Diletti, e cioè che si raccomandava vivamente che il suo nome non si facesse perché altrimenti sarebbe stato ucciso116.

Il capostazione confermò quello che aveva detto in precedenza, scongiurando di non dover ripetere in pubblico una simile accusa, perché “se la mafia si fosse vendicata, i suoi innocenti bambini sarebbero rimasti senza pane”117. Un mese dopo il colloquio avuto con Cosenza, Diletti venne convocato dal magistrato istruttore Trasselli. Gli fu mostrato Fontana tra cinque altri detenuti, più o meno rassomiglianti a lui. Il magistrato chiese se tra di essi vi fosse colui che vide sul treno la sera dell’omicidio. Stando al racconto fatto da Leopoldo Notarbartolo,

Diletti non guardo nemmeno gli altri detenuti; fissò gli occhi su Fontana, esitò un poco; poi rispose: “No”. Vi è almeno fra essi colui che un mese fa vi fece tanta impressione vedendolo in una cella delle grandi prigioni? Diletti, senza riflettere che con una seconda negativa svalutava la prima non sapendo giocar di scherma con la verità, rispose daccapo: “No”. Il magistrato fece porre al verbale che Diletti aveva fissato Fontana, e che appariva titubante ed incerto118.

116Testimonianza di Michele Lucchesi, ASFI, Processo contro Palizzolo e altri, 14 novembre 1903. 117Notarbartolo, La città cannibale, p. 229.

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Trasselli aveva un rapporto stilato da Lucchesi in cui si narrava quello che era avvenuto alle carceri di Palermo, cioè il riconoscimento di Fontana. Un rapporto che contrastava con il mancato riconoscimento raccontato pocanzi. Come giustamente osservato dal figlio della vittima, “o quel rapporto o il riconoscimento mancato era falso. Bisognava dunque mettere faccia a faccia Lucchesi e Diletti, perché si guardassero negli occhi e apparisse bene chi aveva mentito; e contro il mentitore bisognava procedere”119.

Il magistrato però non procedette in tal senso e si limitò a portare agli atti il mancato riconoscimento, di fronte al procuratore generale Cosenza, colui a cui Diletti aveva confessato direttamente il riconoscimento del possibile sicario di Emanuele Notarbartolo! Ci troviamo nel 1895. L’istruttoria venne chiusa per insufficienza di prove. Caddero pure le accuse nei confronti dei ferrovieri Carollo e Garufi, ritenuti possibili complici del delitto. Fontana venne scagionato non solo dalla possibile incriminazione per il caso Notarbartolo. I componenti della cosca mafiosa di Villabate vennero assolti per insufficienza di indizi. Cadde così l’incriminazione per associazione a delinquere. Fontana poté tornare libero.

Vale la pena menzionare un fatto inerente al giudice Trasselli. Stando al resoconto120 di Leopoldo Notarbartolo e alla ricostruzione121 dello storico Giuseppe Barone, qualche mese dopo la chiusura dell’istruttoria, Trasselli ricevette all’interno della propria abitazione di Mezzo Monreale una visita notturna imprevista da parte di Fontana, quasi deferente nei confronti di chi lo aveva rimesso in libertà.

Terminava così l’istruttoria sul caso Notarbartolo. Si trattava della prima parte di un tortuoso iter giudiziario che si concluderà soltanto nel luglio del 1904.

119Ibid., p. 230. 120 Ibid., p. 221. 121