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L’inchiesta privata di Franchetti e Sonnino.

1.3 I provvedimenti di pubblica sicurezza

1.4.2 L’inchiesta privata di Franchetti e Sonnino.

In contemporanea all’avvio dei lavori della Commissione, due giovani intellettuali toscani79, Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, decidevano di compiere un’altra inchiesta, “privata”, al dì sopra di possibili influenze derivanti da logiche governative. Il lavoro dei due voleva porre l’accento sull’inadeguatezza del ceto dirigente siciliano, e dunque della sinistra meridionale, candidatasi, dopo la vittoria elettorale del 187480, alla guida del Paese. I due si divisero i compiti da svolgere.

Sonnino si occupò della condizione contadina, criticando i patti agrari - ritenuti iniqui - e proponendo la mezzadria toscana quale strada obbligatoria per un abbassamento generale del tasso di violenza nelle relazioni di classe81.

Franchetti invece si occupò delle questioni concernenti la politica e l’amministrazione locale. Nel suo scritto, il giovane intellettuale rilevava come si era di fronte a una classe dirigente abituata a considerare le istituzioni come uno strumento di sopraffazione, incapace di sviluppare una concezione della cosa pubblica imperniata sull’impersonalità delle legge. A suo dire, per il modo tardivo e incompleto in cui è uscita dal feudalesimo, la Sicilia non era in grado di avere una concezione adeguata di governo, prevalente solamente sul piano formale dopo il 1860, con l’imposizione di un ordine giuridico ritenuto di livello superiore (quello dello Stato Italiano).

Franchetti sosteneva che in buona parte della popolazione siciliana mancava il “sentimento della legge superiore e uguale per tutti”. Le relazioni sociali avevano un’indole

78

Cit. in Santino, La mafia dimenticata, p. 118. 79

All’epoca dell’inchiesta, né Leopoldo Franchetti, né Sydney Sonnino erano parlamentari. Il primo lo sarà a partire dal 1882. Mentre il secondo dal 1880.

80Cfr. Giuliano Procacci, Le elezioni del 1874 e l’opposizione meridionale, Feltrinelli, Milano, 1956. 81

esclusivamente personale e davano luogo a forme estese di clientelismo e un’infinità di associazioni prive di regole:

Queste vaste unioni di persone d’ogni grado, d’ogni professione, d’ogni specie, che senza aver nessun legame apparente, continuo e regolatore, si trovano sempre unite a promuovere il reciproco interesse, astrazion fatta da qualunque considerazione di legge, di giustizia e di ordine pubblico: abbiamo descritto la mafia, che una persona d’ingegno, profonda conoscitrice dell’Isola ci definiva nel modo seguente: “La Mafia è un sentimento medioevale; Mafioso è colui che crede di poter provvedere alla tutela e all’incolumità della sua persona e dei suoi averi mercé il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dall’azione dell’autorità e delle leggi82.

Quindi pure il giovane intellettuale toscano negava l’esistenza di un’organizzazione criminale vera e propria. Sotto questo aspetto, non vi sono molte differenze rispetto alle conclusioni dell’inchiesta ufficiale della Commissione. Si riaffermava la supremazia del tratto culturale - “spiccatamente siciliano” - il quale renderebbe spiegabile e comprensibile il fenomeno mafioso.

A Palermo, lo stesso autore dell’inchiesta verrà definito mafioso, nel senso di un uomo dotato di forte coscienza di sé. Durante il suo viaggio in Sicilia, Franchetti raccolse “l’opinione dei siciliani”, attraverso le parole, non solo delle élites, ma anche dalla mafia stessa, o di personaggi più direttamente collusi con essa. Ad Alia, Sonnino e Franchetti discussero con Guccione. Mentre, a Valledolmo, con Runfola. Non stiamo parlando di due personaggi qualsiasi. Lupo li ha definiti come “le due massime figure di gabellotti manutengoli”, i quali, intrattengono i due viaggiatori sull’”inefficacia della pubblica sicurezza e sulle relazioni tra mafia e briganti”83. A Palermo Franchetti incontrò il giovane Raffaele Palizzolo84, un esponente politico del partito regionista. Egli ammetteva di non avere problemi con i briganti nei suoi possedimenti di Alia, grazie ai buoi rapporti

82

Leopoldo Franchetti, Condizioni politiche e amministrative, G. Barbera, Firenze, 1876, p. 38. 83

Lupo, Storia della mafia, cit., p. 87. 84

Proveniente dal notabilato palermitano e futuro deputato del Regno, Raffaele Palizzolo è una figura centrale per capire l’intreccio pericoloso che legava alcuni membri dell’élite isolana al mondo della criminalità organizzata. Maggiori informazioni biografiche sul suo conto saranno presenti all’interno del secondo capitolo dell’elaborato, dove mi soffermerò anche sul network di relazioni che ruotavano attorno al deputato.

intrattenuti da “suo fratello”85 e si vantava dell’amicizia che lo legava all’ex prefetto

Medici86.

Un altro incontro che merita di essere menzionato è quello avuto con l’avvocato Gestivo, figura discutibile e legata al mafioso Giammona87. Gestivo definiva maffioso Albanese, disonesto Medici e inquadrava la vicenda della difficile gestione dell’ordine pubblico nel contesto più generale della storia post - unitaria, giudicando i moti del ’66 come il fulcro di tutti gli illegalismi governativi. Difendeva l’operato del già citato Giammona, a suo dire perseguitato dall’autorità governativa perché capo elettorale della sinistra a Monreale. Sosteneva l’esistenza di associazioni di mafia all’interno dell’ambiente della Conca d’Oro. “Qui - affermava Gestivo - fioriscono associazioni di mafia per la gestione monopolistica della gabella e della guardianìa, dotate di “statuto e affigliamento” (affiliazione). Molte di Palermo estendono le loro azioni fino a Termini o almeno corrispondono e s’intendono con simili società in quel paese”88.

Non sappiamo quanto Franchetti si rendesse conto del ruolo svolto da alcuni di questi soggetti all’interno dell’universo mafioso. Senz’altro, egli colse la strumentalità di molte delle affermazioni raccolte. Franchetti fece propria la tesi secondo cui quello mafioso è essenzialmente un comportamento, ma senza porre l’accento verso una sua presunta natura benigna. Nello stesso periodo dell’inchiesta, per esempio, Dì Rudinì sosteneva l’esistenza di “una maffia benigna, spirito di braveria, quel non so che di disposizione a non farsi soverchiare”, la quale avrebbe rappresentato un patrimonio comune di tutti i siciliani. Così la tesi del comportamento per il giovane toscano si rivela nell’esistenza di “una classe (quella dei facinorosi n.d.r.) con industria e interessi suoi propri, una forza sociale di per sé stante”89.

Il comportamento mafioso, per Franchetti, spiegava le solidarietà ideologiche che contro l’autorità costituita legavano i malandrini e la popolazione, ivi compresa quella classe dei proprietari (lui la definisce classe media) sulla quale, in tutta Europa, si riponeva la forza

85

Penso che ci si riferisca a Eugenio Palizzolo, uno dei fratelli del notabile palermitano. Ho incontrato questo nome in diverse udienze dei processi di Bologna e Firenze, inerenti all’omicidio Notarbartolo. 86

Leopoldo Franchetti, (a cura e con introduzione di) Antonio Jannazzo, Politica e mafia in Sicilia: gli

inediti del 1876, Bibliopolis, Napoli, 1995, pp. 68 - 9, 37 e 48 -9.

87Per approfondire tali vicende, rimando a Lupo, Storia della mafia, pp. 62 - 68. 88 Franchetti - Jannazzo, Politica e mafia, pp. 198, e 34, 32 e 62.

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delle istituzioni liberali. L’analisi svolta dal giovane intellettuale toscano è quindi incentrata sulla capacità di mostrare quale ruolo cruciale è stato giocato dalle elitès. Esse, a suo avviso, basavano il proprio potere sul controllo delle risorse locali, economiche (terreni demaniali ed ex feudi privati) e politiche (sistema elettorale nazionale e municipale).

Qua tuttavia, siamo di fronte alla concettualizzazione di un fenomeno generalmente meridionale, definibile a mio avviso con la categoria analitica di dependence élites90. Con tale categoria analitica ci si riferisce a élites che sono il frutto di processi di modernizzazione senza sviluppo e composte da classi dotate del potere di consumare risorse provenienti “dall’esterno”, ma non di crearne di nuove, le quali necessiterebbero, per il proprio consolidamento, della frammentazione regionale, dello spreco e della dispersione delle risorse. Nel contesto della Sicilia - occidentale, mi pare che risulti una peculiarità differente, cioè la forte commistione tra una parte consistente delle elitès e l’universo criminale, sia sotto forma di brigantaggio che di mafia. In particolare, la commistione risulta forte con la seconda.

D’altronde, una delle caratteristiche di lungo periodo che ha permesso alle diverse criminalità organizzate di “area tradizionale”91 una maggiore persistenza nel tempo è stata la capacità di interazione e relazione con il “vertice alto della piramide”. Ciò non dovrebbe stupirci, purtroppo. Il problema semmai è quello di capire quanto questa commistione sia stata vasta nel periodo analizzato.

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Si tratta di una categoria analitica utilizzata da Peter Schneider, Jane Schneider e Edward Hansen all’interno dello studio Modernization and Development in Comparative Studies in Society and History, Cambridge, 1972.

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