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Pasolini sceglie l’articolo di giornale

L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta

3.2. Pasolini sceglie l’articolo di giornale

Intorno ai primi anni Sessanta Pasolini ha attraversato una crisi personale e

psicologica, scatenata da fattori molteplici che egli ha interiorizzato e che lo hanno

portato a una sorta di «abiura dalla precedente esperienza»236 letteraria. Tra i motivi

scatenanti si ricordano le difficoltà proprie della letteratura a quell’altezza storica,

l’avvento del neocapitalismo omologante e il susseguirsi di «nuovi fatti politici contemporanei [che] sono sempre meno, per Pasolini, momenti attivi di incontro o di

scontro, e sempre più invece termini di una situazione bloccata e inerte»237.

Per quanto riguarda la crisi della cultura italiana dell’epoca è Marco Belpoliti a sottolinearne le cause:

In crisi è prima di tutto la ricerca di tipo ideologico e razionalistico, che ha caratterizzato la cultura italiana degli anni Cinquanta. La stessa idea di impegno è passata di moda; si è conclusa la grande ondata della Resistenza: la caduta di questa speranza ha fatto sί che si aprisse quella crisi e tutti gli scrittori si sono trovati all’improvviso isolati, non ci sono stati più nessi tra loro; ognuno ha continuato la propria ricerca personale e stilistica, ma isolandosi dagli altri. Questo non permette che esista una rivista letteraria, una rivista militante238.

Lo scrittore avverte il momento critico della letteratura italiana e «sembra volerlo

affrontare attivamente. In interviste del ’65 egli parte dalla dolorosa presa di coscienza dell’orrendo futuro tecnologico preparato dal neocapitalismo, per riaffermare la necessità di misurarsi con questa nuova realtà»239. Sono appunto gli anni in cui Pasolini

abbandona la poesia: del ’64 è la raccolta di liriche Poesie in forma di rosa, poi si

assiste a un silenzio letterario fino alla pubblicazione, nel ’71, di Transumanar e

organizar; ma Pasolini continua a scrivere, «non pubblica e cerca altre strade»240.

236 Ivi, p. 8. 237 Ibidem. 238 BELPOLITI 2001, p. 54. 239 FERRETTI 1978, p. 15. 240 Ivi, p. 13.

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È possibile scorgere una spiegazione a questo silenzio rifacendoci a quanto ha rilevato

Benedetti circa il crollo delle poetiche, inteso come «impossibilità di assumere uno stile

o una scrittura come scelta responsabilizzante e individualizzante […]; crisi che non

sembra aver mai colpito gli scrittori che si riconobbero un tempo nel Gruppo 63»241.

Pasolini, al contrario, ha sofferto la perdita delle certezze garantite dalle poetiche, che

«forniscono quel complesso di ragioni che spingono un autore a scegliere una certa

forma di espressione»242. Insieme alle poetiche crollano anche le ideologie e il nostro

scrittore si trova costretto a mettere in discussione il ruolo impegnato dell’intellettuale, sottolineando come «nessuna delle ideologie ufficiali attraverso cui interpretare la vita di relazione ci possiede, [questo implica] uno sforzo di mantenersi all’altezza di un’attualità non posseduta ideologicamente» [PI 423]. Oltre alla crisi culturale, Pasolini sembra soffrire anche per l’avvento di un periodo storico deprimente, che culminerà nella distruzione dell’individualità, nella rinuncia, sebbene inconsapevole, alla libertà di scelta e nel falso mito del benessere. Egli, inoltre, lamenta la «caduta di un individuo

che protesta e del diverso come momento di rivolta anticapitalistica nella situazione

italiana»243; anche il suo rapporto con il Pci si incrina, e Pasolini inizia a nutrire

interesse «per certi fatti politici internazionali diversi che vede estranei rispetto all’area

comunista»244.

In questa nuova fase egli sembra muoversi all’insegna della polemica, della «ricerca di nuove vie, al di fuori dell’ambito letterario»245; è così che volge l’attenzione al cinema, intensifica la produzione saggistica in modo da compensare, probabilmente, il

vuoto poetico. Sono gli anni in cui accetta e inizia la collaborazione, dapprima alla

rivista comunista «Vie Nuove», su cui tiene una rubrica a partire dal maggio 1960,

241 BENEDETTI 1998, p. 39. 242 Ivi, p. 37. 243 FERRETTI 1995, p. 6. 244 Ibidem. 245 FERRETTI 1978, p. 18.

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Dialoghi con Pasolini; a seguire, dal ’68, partecipa al settimanale «Tempo», in cui gli

viene affidata la rubrica Il Caos. Si impegna in questa nuova esperienza con passione,

«perché ci crede, perché ha bisogno di un contatto diretto con le persone, che né i libri

né i film gli possono dare»246.

Non è la prima volta che Pasolini collabora e scrive per una rivista; si ricordano gli

articoli elaborati tra il ’42 e il ’43, essenzialmente di critica d’arte, pittorica e musicale, anche se non mancano scritti politici, pubblicati su «Architrave» e sul «Setaccio», due

riviste fasciste. All’epoca non si era ancora avvicinato al marxismo, tuttavia non si considerava affatto un fascista; in questi articoli infatti si scorge «uno stato d’animo di turbamento, d’incertezza […]. La scrittura è spesso contorta, faticata [a causa di una] necessità di reprimersi»247.

A distanza di anni però il pensiero politico di Pasolini è maturato, grazie alla lettura di

Gramsci si è accostato al marxismo, pur mantenendo un atteggiamento ideologico

indipendente dovuto a una sorta di «refrattarietà alla politica [da sempre associata] alla

violenza»248.

Il suo spirito pedagogico, tuttavia, lo induce ad assumersi responsabilità collettive e su

invito della direttrice della rivista «Vie Nuove», Maria Antonietta Macciocchi, inizia la

corrispondenza con i giovani lettori comunisti, che si rivolgono allo scrittore per avere

delle risposte sui più svariati temi, tra i quali spiccano il neofascismo come nuova forma di potere, l’avvento del neocapitalismo, la crisi del marxismo, la rigidità del Pci su argomenti come il sesso, la censura operata dalla Chiesa, la nozione di impegno. Sono

gli stessi temi affrontati anche nella rubrica successiva, in cui egli spazia sugli

argomenti più svariati dell’attualità, «dalla letteratura alla politica, dal costume alla

246 BELLOCCHIO 1999, p. XXVI. 247 Ivi, p. XVIII. 248 Ivi, p. XVII.

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recensione»249. In questa seconda esperienza giornalistica, Pasolini non è più costretto

in una corrispondenza con i giovani lettori comunisti, non è più vincolato al ruolo di

guida, ma si presenta come figura solitaria, libero dalle limitazioni dovute all’impegno;

sono gli anni in cui «non si trova più a rispecchiare le posizioni ufficiali o maggioritarie

del Partito, ma agisce, con metafora sportiva, da battitore libero»250. Egli si sente così

autorizzato ad affrontare temi della politica, della cultura e del costume italiani e a esporre il personale punto di vista. Nell’articolo inaugurale della rubrica Il Caos scrive:

Io non sono un qualunquista e non amo neanche quella che si chiama posizione indipendente. Se sono indipendente lo sono con rabbia, dolore e umiliazione. E se dunque mi preparo, in questa rubrica, a lottare contro ogni forma di terrore, è, in realtà, perché sono solo. Il mio non è qualunquismo, né indipendenza, è solitudine. Non ho alle spalle nessuno che mi appoggi […]. Il lettore sa che io sono comunista: ma sa anche che i miei rapporti di compagno di strada col Pci non implicano nessun impegno reciproco. Se provo delle simpatie politiche sono simpatie che non comportano nessun patto [Ivi 1095-1096].

Ferretti ha ricordato che Pasolini corsaro inizia a farsi sentire in questa rubrica, che, a

differenza della precedente, «prende spunto da avvenimenti di cronaca, fatti letterari,

sociali e politici. Pasolini si spoglia del ruolo confidenziale e si trasforma in una voce

che predica nel deserto, in un profeta. Sente crescere la propria solitudine e la

determinazione ad affrontare di petto i problemi»251. Come vedremo, uno dei suoi

bersagli preferiti sarà la borghesia, che egli si impegna «ad analizzare come male

ovunque essa si trovi […]. Sintomo della presenza del male borghese ė il terrorismo,

moralistico e ideologico» [C 33].

L’incontro con i giovani, grazie alla corrispondenza su «Vie Nuove», coincide con la

presa di coscienza, da parte dello scrittore, di una diffusione ormai inarrestabile del

«neocapitalismo corruttore [e della] desistenza rivoluzionaria, termini di una visione

249 BELPOLITI 2010, p. 31. 250 MENGALDO 1987, p. 423. 251 BELPOLITI 2001, p. 57.

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senza speranza»252. Da qui il suo impegno a scuotere le nuove generazioni a lottare per

non cadere nella trappola oppressiva del finto benessere neocapitalistico, causa

principale dell’«abbassamento del livello culturale sottoproletario»253 .

La collaborazione di Pasolini con «Vie Nuove» dura cinque anni, ma è possibile

scandire il periodo in due fasi, che si distinguono sia per i temi affrontati, sia per

l’atteggiamento e il tono con cui egli li affronta. Sarà proprio un lettore a mettere in evidenza la differenza tra i due momenti, in un articolo del giugno ’65; egli infatti fa notare a Pasolini di aver trattato in passato argomenti più interessanti rispetto a quelli

attuali, che non attirano più l’attenzione dei lettori, soprattutto anche per l’uso di un linguaggio spesso inaccessibile. Lo scrittore si difende abilmente, cercando di trovare

una giustificazione al minor interesse suscitato dai suoi ultimi testi, dettato

probabilmente dai temi affrontati o dalle frequenti interruzioni per gli impegni

cinematografici:

Sono pronto a sottopormi a esami di coscienza, a vivisezioni anche laceranti. L’egoismo che mi protegge nel mio vero lavoro, per cui questa rubrica è spesso una faticosa interruzione. Una certa confusione nella mia posizione, che agli occhi semplici di molti lettori di Vie Nuove può parere antipatica (il Vangelo). Uno scadimento in me di una certa purezza e passione, residuo degli anni della Resistenza [SPS 1067].

Tra le righe è possibile scorgere, a mio avviso, una critica alla rigidità di chi si professa

comunista, su argomenti che chiamano in causa la religione cattolica; a Pasolini preme

che «il Pci superi le sue rigidità dottrinarie e il suo moralismo e affronti temi ancora

tabù»254. Inoltre tende a sottolineare quanto sia venuto meno il suo impegno intellettuale

di insegnare al prossimo, i suoi obiettivi ora sono altri; egli infatti «sembra privilegiare

certi problemi ideali e politici, culturali e letterari più generali, che gli consentono di

252 FERRETTI 1978, p. 9. 253 Ivi, p. 10. 254 BELLOCCHIO 1999, p. XXVI.

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portare avanti un discorso spregiudicato e più producente sul suo rapporto con la società

e con la storia»255.

Il discrimine tra un prima e un dopo sono evidenti, come ricorda ancora Ferretti,

secondo il quale, nei primi articoli, fino al ’62, «la crisi degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta affiora lentamente e in forme attutite, in un contesto fiducioso e positivo,

quasi che Pasolini risenta di un condizionamento della sede in cui scrive […]. Egli accetta il ruolo che gli viene assegnato dal settimanale del Pci»256. Anche la scrittura e

lo stile sembrano rispondere di questo limite, presentandosi più convenzionali. Così

nella prima fase Pasolini presenta «un tono arretrato nel dialogo con i lettori, portato più

sui ritardi e antichi vizi della società italiana e su posizioni e autori datati»257, come

dimostrano gli articoli incentrati su D’Annunzio piuttosto che sui poeti avanguardisti. Interessante l’articolo Un monumento a D’Annunzio, del novembre ’60: al centro della discussione c’è il monumento eretto al poeta, in segno della sua commemorazione, nella città friulana Ronchi dei Legionari. Pasolini non perde occasione per esprimere il suo disaccordo circa la cerimonia commemorativa e focalizza l’attenzione sul fatto che D’Annunzio, che lui personalmente non apprezza, «rappresenti ed esprima l’Italia nel suo momento involutivo: nel momento in cui il Risorgimento ha mostrato i suoi limiti

[…] e la classe borghese è cominciata a diventare quella che è» [SPS 916].

Tra i bersagli contro cui polemizza nei primi articoli si ricordano il perdurare in Italia di

forme di governo fascista, nonostante alla guida del paese vi sia la Democrazia

Cristiana, l’eccessivo moralismo del marxismo, l’ottusità della Chiesa, la mancata obiettività della stampa borghese.

In uno dei primi articoli, scritto nel giugno del ’60, Pasolini insiste sul rigore della

stampa di sinistra, in particolare su temi legati alla sessualità, che spesso sembrano

255 FERRETTI 1978, p. 28. 256 Ivi, p. 23. 257 Ivi, p. 25.

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scritti «con l’angoscia proibizionistica di una vecchia zitella» [Ivi 882]. La causa va rintracciata nelle «origini della scelta marxista di un borghese, [caratterizzata] da un

irrazionale impeto morale. E questa moralità, spesso indignata, informa di sé tutto il

successivo comportamento» [ibidem].

Dopo la pausa di circa un anno, nel ’64 Pasolini riprende la collaborazione su «Vie

Nuove», tuttavia il suo atteggiamento è mutato. Egli è sempre più convinto del fatto che

in Italia vi siano «una società borghese tanto più immutabile quanto più impegnata a

rinnovare se stessa […], un universo capitalistico vincente, un futuro inferno del potere e del consumo, della stupidità e del nuovo fascismo»258. Il cambiamento dello scrittore implica anche l’incrinatura del rapporto tra Pasolini e la rubrica; infatti, già a partire dal ’62, si assiste a una sfiducia nella reale efficacia del discorso fin qui svolto, e la ricerca di nuove forme di dialogo che riflettano la nuova carica problematica, critica e anche

polemica di Pasolini»259. Il rapporto tra scrittore e rivista ha subito una lesione, non si

presenta più «fondato sul suo ruolo di intellettuale impegnato e di ammaestratore

ideologico. È l’approdo alla tendenziale rinuncia iniziata a suo tempo: che si manifesta

in quanto egli scrive a proposito delle sue opere, delle molte cose nuove accadute nel

mondo»260.