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L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta

3.4. Pasolini e il Sessantotto

Un discorso a parte merita il giudizio di Pasolini nei confronti del Sessantotto. La sua

partecipazione al settimanale «Tempo» coincide con il periodo in cui egli è mosso a fare

i conti con il Movimento Studentesco, e contribuisce ad «acuire la sua crisi letteraria

fino al punto da farla esplodere in una nuova stagione poetica: il trauma del ’68

rimetterà in discussione tutte le prese di coscienza di Pasolini, costringendolo a

interrogarsi sulla sua collocazione nella società e a ricercare un nuovo ruolo

intellettuale»270. La posizione dello scrittore di fronte al Movimento Studentesco, come

vedremo, ha un carattere ambiguo: inizialmente egli esprime tutto il suo sdegno per quei

giovani borghesi che si scagliano contro i propri padri in una lotta intestina; aveva

individuato nei giovani che si ribellavano alla borghesia «il prodotto di quella stessa

270 FERRETTI 1995, p. 6.

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[classe] che li aveva cresciuti e che loro stessi contestavano. Osservava come i giovani che volevano essere l’alternativa al sistema erano perfettamente omologati tra loro»271

.

In seguito, invece, «farà propri molti motivi della contestazione»272. Circa

l’atteggiamento pasoliniano nei confronti del movimento del Sessantotto è Gian Carlo Ferretti a fornire precise indicazioni:

Nelle prime rubriche si ritrova la sua presa di posizione più nota: il terrorismo giovanile come fascismo di sinistra, come contraddizione interna che l’onnicomprensivo sistema borghese è in grado si assorbire […]. Il potere degli studenti finisce per rientrare nella problematica del potere tout court […]. Ben presto però il giudizio di Pasolini sui movimenti giovanili si arricchisce, arrivando anche ad accentuare elementi di giustificazione e di comprensione o di simpatia273.

Per comprendere il carattere ambiguo circa il rapporto pasoliniano con il Movimento

Studentesco è interessante l’articolo Le ossessioni di Fortini, nel quale, per la presenza, nel suo ultimo libro, Poesia e errore, «di riferimenti stilistici, su un piano metaforico, al

mondo terminologico della guerra» [Ivi 1190], Pasolini non perde occasione per

sminuire la portata del Movimento Studentesco, che non ritiene una vera guerra, dal

momento che secondo lui «la guerra la fanno gli operai, e può dirigerla solo il Pci»

[ibidem]. Ci troviamo qui di fronte a quella «congerie criticamente quasi intrattabile»274

di cui parla Bellocchio, in cui si intrecciano critica letteraria e polemica sociale. Pasolini

infatti, mentre analizza i testi poetici di Fortini, fa trasparire le sue considerazioni circa

il Sessantotto, che riteneva una guerra civile, convinto che la vera rivoluzione potessero

farla soltanto gli operai:

Pasolini era a favore delle rivolte degli operai che si ribellavano al datore di lavoro, perché riteneva fosse un momento di vera rivoluzione, sentita e partecipata. Riteneva invece molto diversi gli studenti, che erano quali sempre di estrazione sociale borghese: la loro era soltanto 271 SCIUGA 2013, pp. 170-171. 272 SEGRE 1999, p. XXXVIII. 273 FERRETTI 1995, p. 12. 274 BELLOCCHIO 1999, p. XXVIII.

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guerra civile […]. La massa degli studenti che si definivano dissenzienti era la massa dei giovani del neocapitalismo che a parole combattevano e volevano ottenere subito tutte le riforme, mostrando la sola e mera pretesa di comandare il sistema anziché abbatterlo per poi contribuire a costruirne uno migliore […]. Nelle barricate c’erano i figli rampanti che si schieravano contro i padri in una sterile contrapposizione, priva di basi ideologiche.

Per lo scrittore soltanto un movimento che poggiava su una profonda consapevolezza e una severa autocritica avrebbe potuto affiancarsi alla protesta degli operai275.

Pasolini era consapevole quindi della mancanza, da parte dei ragazzi, di una coscienza

autocritica e di una solida base ideologica su cui fondare i propri ideali di protesta. Sicuramente l’avvento della società consumistica ha contribuito ad aggravare la loro condizione; piano piano essi si stavano trasformando in automi, conformisti alle regole

del finto benessere imposto dal nuovo potere economico. Così Pasolini avanza l’idea della necessità, per i giovani, della cultura, affinché non siano sottomessi al sistema, un

tipo di sapere che alimenti il loro spirito critico. Egli, tuttavia, è consapevole del

disinteresse per la cultura da parte dei giovani, del fatto che molti di essi preferiscano

rimanere ignoranti pur avendo i mezzi per migliorarsi.

Soltanto qualche mese dopo, nell’ottobre del ’69, in risposta a un lettore, Pasolini sembra aver attenuato la sua posizione riguardo il Movimento Studentesco, che saluta

con amarezza, dal momento che ha preso coscienza delle conquiste dei giovani, nell’ambito dei diritti sociali, politici e umani; infatti ricorda come «la novità che gli studenti hanno portato nel mondo l’anno scorso (i nuovi aspetti del potere e la

sostanziale attualità della lotta di classe) abbia continuato a operare dentro di noi,

uomini maturi» [Ivi 1252].

L’entusiasmo di Pasolini circa i positivi risultati ottenuti dalle lotte operaie durante l’ondata delle manifestazioni è ribadito in un articolo del gennaio ’70, in cui risponde a una lettrice emigrata ormai da anni in Canada. Dopo aver elogiato le classi popolari

275 SCIUGA 2013, p. 171.

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italiane come le «più intelligenti e simpatiche del mondo» [C 199], esprime tutto il suo

orgoglio per i grandiosi risultati ottenuti dalla classe operaia italiana, «che per la prima

volta ha attaccato la nuova classe borghese neocapitalistica, e si è inserita nella nuova

fase della storia del nostro Paese, con la forza di chi può portare, a tale storia, un corso

anziché un altro» [ibidem]. Uno dei motivi per cui gli operai hanno lottato è stato quello

di una trasformazione economica e politica della vita dei cittadini italiani, in modo tale

da diminuire anche le emigrazioni; si tratta di una conquista importante, per quel

periodo, dal momento che il governo non ha avuto, per gli emigrati, il minimo interesse

di fornirgli «le cure delle quali un minimo di democrazia dovrebbe imporgli il dovere»

[Ivi 200].