La critica degli anni Cinquanta: Passione e ideologia
2.2. La nuova critica non è solo passione
Da un primo sguardo alla produzione critica pasoliniana degli anni Cinquanta-
Sessanta, è possibile rendersi subito conto dell’esclusione, dal suo programma di studio e analisi, di testi saggistici in forma di recensioni a opere letterarie, pittoriche o
musicali, che invece impegnarono lo scrittore durante la prima fase. Infatti, come
abbiamo già avuto modo di osservare, i saggi precedenti erano contraddistinti
dall’esclusivo interesse per l’arte, per l’esaltazione descrittiva dell’oggetto in esame; si trattava di quella passione che lo induceva ad assumere la veste del critico, a cimentarsi
nella descrizione artistico-letteraria di un fenomeno, senza alcuno schema concettuale
guida che lo orientasse. Non era possibile scorgere un intento programmatico dietro
questa tipologia saggistica, al contrario di quanto accadrà nella produzione critica che
andremo a indagare.
100 Ivi, p. XXVIII.
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Alcuni dei testi presenti in Passione e ideologia, quali i capitoli Neo-sperimentalismo,
Pascoli e La libertà stilistica, sono stati, precedentemente, pubblicati anche su rivista; in
certi casi i due testi sono pressoché identici, come si evince dal saggio posto in apertura
del primo numero della rivista «Officina», del ‘55, dedicato a Pascoli, che ritroviamo anche all’interno del volume, privo di alterazioni. In altri casi, invece, tra i due testi emergono alcune differenze, come nel caso del capitolo Neosperimentalismo, del ’56,
apparso qualche tempo prima sul quinto numero di «Officina». L’articolo è riproposto
in Passione e ideologia con qualche ritocco, ma non mancano omissioni di parte del
testo originale.
Sin dalla prima pagina sono evidenti le correzioni di tipo lessicale: nell’articolo apparso su rivista si legge: «ma bisognava pure decidersi a organizzare in qualche modo la
produzione, che ora gravita confusa allo stato fluido»101; nel testo inserito nel volume
invece si legge: «ma bisognava pure decidersi ad aggiornarsi su una produzione che ora
gravita, informe, allo stato fluido» [PI]. L’uso di verbi diversi, organizzare e
aggiornarsi, a mio avviso fa riferimento al fatto che Pasolini, quando pubblica l’articolo
sulla rivista, è coinvolto nella nuova ondata letteraria sperimentale, dunque invita i colleghi intellettuali a impegnarsi nell’organizzazione precisa del materiale poetico; invece, quando inserisce il testo nel volume saggistico, a distanza di qualche anno, non
resta che aggiornarsi, quindi informarsi su quel tipo di produzione letteraria «includente
i segni lisi delle poetiche novecentesche precedenti» [PI 407].
Sostanziali differenze tra i due testi si scorgono anche al terzo capoverso: sull’articolo del ’56 Pasolini insiste su termini quali “sperimentalismo”, “sperimentare”, fornendone una approssimata definizione, cosa che invece non è possibile riscontrare nel saggio
incluso in Passione e ideologia. Un’altra difformità si nota in relazione alla descrizione
del terzo gruppo dei neo-sperimentali: nel testo incluso nel volume è stata
101 PASOLINI 1956, p. 169.
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completamente omessa la parte in cui sono citati «i versi dialettali di T. Guerra e di C.
Vivaldi»102.
Altre volte, invece, due saggi relativi a uno stesso tema presentano alcune
dissomiglianze, in particolare nell’impostazione dell’argomento trattato oppure nelle finalità pratiche dello scritto. Un esempio è fornito dal saggio del ’47, pubblicato sulla
rivista «Poesia» col titolo Sulla poesia dialettale, una sorta di anticipazione della Poesia
dialettale del Novecento, edita nel ’52. Nel primo testo, Pasolini si mostra interessato
allo studio della letteratura dialettale «sotto l’aspetto di un fenomeno comune alla
letteratura in lingua» [SLA1 244]; lo scrittore è dunque deciso ad avviare uno studio di
quei poeti dialettali, quali Zorutti, Di Giacomo, Belli, che si «si collocano in un tempo
romantico» [Ivi 245], così argomenta:
Ciò che vogliamo dimostrare è il categorico perché della scrittura dialettale […]; un fatto intanto è sicuro, cioè che, tranne rari casi, il Romanticismo in lingua italiana fallisce […]. La lingua italiana, insomma, è rimasta nemica all’idea romantica, all’idea romantica dell’ingenuo, del popolare e dell’astratto. A ogni modo, è chiaro per noi che i grandi dialettali dell’Ottocento rappresentano un capitolo della storia letteraria italiana [Ivi 246].
Così Pasolini, avvalendosi di quanto affermato qualche anno prima, nel saggio La
poesia dialettale del Novecento, che apre il volume Passione e ideologia, intraprende un
vero e proprio studio della produzione lirica dialettale, immergendosi nelle regioni
italiane, in modo da fornire quadri esaustivi circa le diverse parlate; qui lo scopo non è
più dimostrare la validità della scrittura poetica dialettale, bensì di elevarla e inserirla
nel filone letterario, per produrre una nuova e diversa poesia. Inoltre, rispetto al testo del
’47, Pasolini «fa cadere il tema là ampiamente trattato della traducibilità o intraducibilità dei testi poetici dialettali»103.
102
Ivi, p. 179.
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Le difformità tra la produzione saggistica degli anni Quaranta e quella del decennio
successivo non si limitano a questo, ma investono anche gli ambiti socio-politico,
stilistico e soprattutto presuppongono un cambiamento del poeta stesso; si notano il suo
impegno a dar forma concreta alle riflessioni ideologiche e l’adozione di una tecnica di
analisi critica. È ancora Cesare Segre a informarci del fatto che «la conversione alla
sociologia non cancella, ma arricchisce la pratica critica seguita sino allora da Pasolini […]; così, quando esaminiamo gli scritti del periodo 1952-58, ci accorgiamo che il libro ha costituito un filtro critico severo»104.
Sicuramente i suoi incontri politico-culturali si sono rivelati propedeutici all’elaborazione di questi saggi e allo sviluppo di un pensiero politico personale. Tullio De Mauro ricorda, sempre in rapporto alla formazione del nostro scrittore, anche l’importanza di Carlo Emilio Gadda, «che non solo gli fu guida nella sperimentazione attiva del plurilinguismo, ma ispirò, affinò e precisò la sua capacità di attenzione al
ruolo creativo e sociale delle scelte di lingua»105. Nel volume sono ben due i testi che
Pasolini dedica allo scrittore, in cui emergono molte delle sue caratteristiche personali e
del suo metodo narrativo. Interessante sarà capire il motivo per cui il nostro poeta-
critico abbia scelto di dedicare un così ampio spazio a Gadda.
Ancora una volta, risulterà centrale il nome del Pascoli, che si intravede sin dal primo
capitolo, come modello per alcuni poeti dialettali otto e novecenteschi, tanto che Fortini parla di «un differenziarsi dell’influenza pascoliana sui diversi terreni regionali»106
.
Fondamentale sarà poi la scelta del poeta di San Mauro come emblema di qualsiasi
operazione di plurilinguismo in ambito letterario, dal momento che «la vena pascoliana,
104 SEGRE 1999, pp. XXXII-XXXIII. 105 DE MAURO 1992, p. 285. 106 FORTINI 1993, p. 6.
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perdurando nella poesia dialettale, continuerebbe la lotta contro il monolinguismo
condotta da crepuscolari e futuristi»107.
All’interno del volume i testi si caratterizzano, per la maggior parte, in saggi di critica
linguistico-letteraria, come mostrano i capitoli dedicati alla poesia dialettale e popolare,
oppure il capitolo Sui testi, in cui sono passati in rassegna i poeti secondo lui più
influenti del momento quali Ungaretti, Saba, Penna; troviamo anche un resoconto circa
la situazione della prosa italiana nei capitoli Osservazioni sull’evoluzione del Novecento
e La confusione degli stili.
In chiusura di volume vi sono due testi programmatici di rilievo, Il neo-sperimentalismo
e La libertà stilistica, nei quali cerca di rendere evidente come l’involuzione politica del
paese sia la causa dell’attuale involuzione stilistica in ambito letterario.
In questa raccolta critico-saggistica, è importante cogliere come Pasolini si avvalga
degli studi sullo stile e sulla lingua per intraprendere un’analisi di tipo storico-letteraria
della nazione. Cesare Segre ha fornito un giudizio, a mio avviso rilevante, circa il ruolo
che lo scrittore affida alla linguistica, che risulta
uno strumento principe per fare storia della cultura: essa viene a convergere con la problematica di Gramsci, già fortemente nutrita di speranza linguistica […]. Assunta come componente ideologica, la linguistica rappresenta una esigenza scientifica applicata alla sfera storiografica. Uno storicismo fondato sulla linguistica è […] impegnato a illuminare situazioni culturali e letterarie, a cogliere i movimenti del tempo […]. Lo storicismo diventa così anche strumento di ricerca letteraria […]. Lo storicismo di Pasolini è teso a individuare, nella letteratura, il rapporto storico e culturale con la società108.
Ecco così chiarito il motivo principale che ha guidato il poeta-critico a elaborare questi
saggi, in cui ogni riferimento alla sfera linguistica risulta finalizzato a quella socio-
politica.
107
SEGRE 1985, p. IX.
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Un esempio eloquente è fornito dal concetto di bilinguismo che, seppur utilizzato in
riferimento alla lingua, Pasolini adegua alla dialettica della vita sociale, «non fondata
sul contrasto tra classe dominante e classi dominate, ma sul maturare, nella classe
dominante, di spinte anticonservatrici, indirizzate a un lontano progresso»109. In base a
questi presupposti, lo scrittore pone il discrimine tra il poeta dialettale e quello
popolare: «il poeta popolare accetta la discesa di elementi della cultura superiore al suo
livello di cultura, mentre il poeta dialettale vive, nella sua appartenenza borghese, il
dissidio tra spinte conservative e innovative»110.
Sin dai primi capitoli è possibile quindi evincere l’intenzione programmatica di
Pasolini, ossia lo studio di un dato fenomeno linguistico-letterario, quale la poesia
dialettale novecentesca, la prosa maccheronica di Gadda, il rapporto monolinguismo- plurilinguismo, in realtà finalizzato all’osservazione dell’andamento sociale, politico ed economico della penisola.
Il volume si presenta unitario ed emblematico per quanto riguarda la nuova metodologia adottata dallo scrittore, tanto che Segre riassume l’attività critica pasoliniana di questo periodo come
un’antinomia partecipazione/storicizzazione. Se l’ipotesi è valida va integrata da una postilla: che la prima spinta era molto più consona al suo modo di vivere la letteratura e perciò venne trascinata in tutta la sua corsa da questa personalità sempre più forte; mentre l’elemento ideologico, calibrato in modo diverso secondo le evenienze, non mira affatto a cancellare, semmai solo a disciplinare l’irresistibile partecipazione111
. 109 Ivi, p. VII. 110 SEGRE 1999, p. XXV. 111 SEGRE 1999, p. XXVIII.
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