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Pasolini, la Sinistra e la Chiesa

L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta

3.6. Pasolini, la Sinistra e la Chiesa

Interessante è anche analizzare il contrastato rapporto che Pasolini ha da sempre avuto

con la Sinistra italiana. Nonostante egli abbia riconosciuto, in molte occasioni, i meriti

del Centro-Sinistra, tuttavia, non ha mai mancato di muovere una personale critica al

Pci in particolare, di cui ha avvertito la crisi e avanzato ipotesi risolutive. Come ricorda

Ferretti, «nei confronti del Pci Pasolini si dice ancora compagno di strada, ma in realtà

l’accento batte piuttosto sui rapporti tesi [e soprattutto] sull’equivalenza tra il Partito stesso e le istituzioni borghesi»276. È proprio questo tacito accordo tra governo e classe

dirigente che lo scrittore non riesce ad accettare, fino ad arrivare, come vedremo, a

polemizzare contro la Democrazia cristiana, intesa come continuazione del fascismo.

Pasolini è convinto del fatto che l’errore più grande dei membri del Pci sia stato quello

di essere caduti nelle trame del potere borghese, che ha finito per corrompere anche loro e per sminuire gli ideali della Sinistra. In un articolo del marzo ’62 Pasolini risponde a un lettore che lo accusa di avere una visione troppo pessimista della realtà, e di essere

incapace di fornire soluzioni per una società migliore. Il suo pessimismo è dettato dalla

presa di coscienza della volgarità propria della borghesia e dal fatto che anche i

comunisti, a suo parere, possano spesso cadere nella volgarità, «ma soltanto nella

misura in cui sono influenzati dal mondo borghese» [BB 197].

276 FERRETTI 1995, p. 11.

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Pasolini è consapevole della forza oppressiva e omologante della borghesia al potere,

che, avvalendosi degli ideali neocapitalisti del benessere, del consumismo, ha

influenzato anche la Sinistra. È questa situazione che egli denuncia nell’articolo

pubblicato nel maggio dello stesso anno; lo scrittore lamenta il fatto che molti uomini,

che si professano comunisti, soffrano ancora dei condizionamenti derivanti dalla società

borghese, cosicché non sentendosi mai all’altezza delle situazioni, sviluppano odio verso l’altro. Ma per lo scrittore una soluzione ci sarebbe, «se il comunismo non si limitasse a essere una semplice idea, una scelta politica, una fede, ma diventasse cultura

nel senso pieno della parola, [in modo da] essere terapeutico e preventivo contro grandi

o piccole alienazioni» [BB 202]. Come ricorda Gianni Scalia, «Pasolini stava facendo, a

suo modo […], attraverso le sue intuizioni, un’analisi della società del Capitale, da marxista globale, integrale, in mezzo a marxisti progressisti e storicisti»277.

Già a partire dai primi anni Sessanta, nel corso della collaborazione su «Vie Nuove»,

Pasolini si impegna in un’analisi del marxismo, di cui auspica un rinnovamento che lo faciliti nel superamento della crisi. In un articolo pubblicato nel gennaio del’65, in risposta a un lettore che lo accusa di avere un atteggiamento spesso risentito nei

confronti dei suoi interlocutori, Pasolini fa notare che il suo bersaglio non sono

propriamente i corrispondenti, quanto «certi fantasmi che percorrono ancora il

marxismo e di cui essi sono, ingenuamente, succubi» [SPS 1046]. Egli auspica un

imminente rinnovamento del marxismo che lo liberi da antichi retaggi quali «il

conformismo, lo stalinismo, il patriottismo di partito» [Ivi 1047]; non riesce ad accettare

vecchie posizioni di lotta, soprattutto in Italia, dove si è formata una borghesia

egemonica, potente e oppressiva. Come ripeterà in articoli successivi, è convinto che il

marxismo debba mettere in discussione se stesso per agire realmente nel presente: «a

me non interessa celebrare le glorie e tenere presenti i meriti del Pci e del marxismo,

277 SCALIA 1978, p. 65.

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quello che è stato è stato […]. Andare avanti significa mettere in crisi quello che c’è dietro, sempre» [Ivi 1052].

In un articolo apparso su «Vie Nuove» nel luglio del ‛65, notiamo due diversi punti di vista, quello di Pasolini e quello del lettore, circa le situazioni attuali del neocapitalismo

e del marxismo. L’interlocutore è convinto che a essere in crisi sia il neocapitalismo e

non il marxismo; ma lo scrittore controbatte affermando quanto sia evidente il fatto che

il neocapitalismo non sia affatto in crisi, ma stia subendo una rivoluzione interna che ne

modifica le strutture. È il marxismo a essere in crisi dunque, proprio a causa dello

«sviluppo rivoluzionario del neocapitalismo […], che sta cambiando e pone delle alternative. Di qui la crisi dei partiti marxisti e la necessità di prenderne coscienza

finché il marxismo resti la vera grande alternativa dell’umanità» [BB 355]. Secondo Pasolini l’unico modo che ha il marxismo per uscire dalla crisi è affrontarla «attraverso l’acquisizione critica di nuovi dati della realtà e la concezione di nuovi metodi di lotta» [Ivi 356].

Le accuse al Potere attraversano, come abbiamo visto, anche la rubrica Il Caos,

insieme alla denuncia di un governo democratico formato da dirigenti borghesi e alla

critica della Sinistra italiana, accusata di essere scesa a compromessi con le istituzioni

borghesi. Nell’articolo Due vicende parallele, del luglio ‛69, al centro del discorso vi è l’amara constatazione di una crisi del Partito socialista, crisi dettata dal fatto che i socialisti sono dei borghesi che accettano questa loro natura, «tanto che in sostanza non

ne hanno nemmeno coscienza» [C 151]. Secondo Pasolini, la cosa preoccupante è che «l’essere borghesi nel senso più normale e banale della parola è così radicato nei socialisti che le loro contraddizioni sono insanabili, perché storiche e naturali […].

Perciò il Partito socialista vivrà sempre due storie, quella borghese, provinciale e

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Si tratta di un’ulteriore conferma della presa di distanza del nostro scrittore dalla Sinistra, con la quale da sempre ha avuto un rapporto di «polemica fraterna»278.

In molti casi Pasolini si trova di fronte interlocutori che ne contestano le posizioni

ambigue, spesso in riferimento a una possibile coesistenza di marxismo e religiosità.

Egli, tuttavia, «risponde con sobrietà ed efficacia»279, come nel caso dell’articolo apparso su «Vie Nuove» nel novembre del ’61. In risposta a tre lettori che lo accusano di tradimento della classe borghese, quindi cattolica, per abbracciare gli ideali marxisti,

spiega come l’approdo all’ideologia comunista non implichi affatto la scomparsa degli insegnamenti cristiano-cattolici improntati all’umanitarismo. È vero che questo

passaggio comporta il lasciarsi alle spalle il momento irrazionale, tipicamente religioso,

a favore di un momento razionale, improntato alla socialità, ma gli elementi religiosi

permangono nelle nostre coscienze, sono «storicamente morti ma umanamente vivi»

[SPS 984].

I residui dell’insegnamento religioso non impediscono allo scrittore di giudicare con

obiettività il carattere ottuso e ipocrita della Chiesa che, in nome di un falso moralismo,

giudica pericolosi certi libri; in realtà la Chiesa cerca di impedire libere letture ai

cittadini con lo scopo «di regnare su un popolo di analfabeti» [BB 177]. È quanto

afferma Pasolini in un articolo nel dicembre del ’61, in risposta a una lettrice che, condizionata dalla dottrina cristiano‐cattolica, vede dell’immoralità nella letteratura e nel cinema contemporaneo.

Anche negli articoli scritti per il «Tempo» Pasolini continua l’analisi del ruolo attuale della Chiesa, intesa come strumento del nuovo Potere capitalistico, che la tiene in

considerazione per pura «abitudine, per evitare guerre religiose; in realtà la Chiesa non

gli serve più» [C 92]. Pasolini, tralasciando le considerazioni circa il rigido moralismo,

278

FERRETTI 1995, p. 11.

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spesso ottuso, della Chiesa cattolica, è convinto che essa potrà sopravvivere nell’era moderna e riacquisire autorità soltanto se «avrà il coraggio di negare se stessa» [C 128].

Il passaggio da una civiltà contadina, paleoindustriale, a una società consumistica e

industrializzata ha sicuramente influito sul ruolo della Chiesa: «la religione cristiana è

una delle tante religioni della civiltà agricola […]. La fine della civiltà agraria non può che coincidere con la fine di una religione » [Ivi 129-130]. Secondo Pasolini, la Chiesa per sopravvivere nell’era neocapitalistica

deve prendere coscienza della propria relatività […]; deve saper negare se stessa in quanto organizzazione protetta dai vari feroci Stati che se ne sono sempre serviti; deve saper negare se stessa come alibi alla nuova moralità della borghesia, che cerca di mantenere rapporti di tradizione conservatrice e reazionaria con la propria matrice contadina […]. Se la Chiesa non saprà fare questo entro pochi anni sarà scomparsa per ragioni ormai di comune dominio: perché essa non è più necessaria al nuovo potere industriale, perché il mondo contadino, scomparendo, non produrrà più clero» [Ivi 131].