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Un’autonomia prevedibile

I mezzi giuridici tradizionali, cioè tipicamente coattivi, sono stati concepiti ignorando che gli agenti decisori non sono gli esseri razionali dei manuali di economia neo-classici. Le regole di default di cui si servono in maniera crescente il settore pubblico e il settore privato invece ne tengono conto per poter determinare quel che può accadere quando un soggetto non esprime alcuna preferenza esplici-

103 M. Foucault, Corso del 14 gennaio 1976, in Microfisica del potere, a cura

di A. Fontana, P. Pasquino, Einaudi, Torino 1997, p. 211; cfr. P. Macherey,

Il soggetto delle norme, ombre corte, Verona, 2017, p. 19. È una società che

Foucault colloca nell’era industriale della fine del XVIII sec., ma sembra qui riattualizzata.

104 Il tema sarà sviluppato soprattutto nella seconda parte del libro, a par-

tire dal cap. 6, infra.

105 Il carattere mite e non coercitivo del neopaternalismo è indubbiamente

un elemento chiave di questo approccio, ma è anche il primo e migliore indizio del collegamento col neoliberalismo contemporaneo. Il secondo indizio è la particolare soggettività dei suoi destinatari. Svilupperemo questi temi soprat- tutto nei capitoli 6, 7, 8.

ta106. L’autonomia rispetto al default può dunque esprimersi solo in

senso negativo, con un diniego – l’opting-out. Diversamente, è una non-scelta – cioè l’automatismo del default.

In questo “gioco della spinta gentile”, autonomia e automatismo sembrano sovrapporsi: la prima è imprevedibile e potenzialmente fallace, ma, se confluisce nel secondo, può aspirare all’efficacia, cioè all’infallibilità, attraverso i default. Poiché l’automatismo è stato predisposto dal nudger, esso ha anche i requisiti della totale preve- dibilità, che, a questo punto, appare come il vero significato della “coazione a semplificare”. La psicologia comportamentale insegna che l’inerzia intellettuale e morale degli individui ha un notevole ef- fetto sociale, quello di indurre a percepire il default come una sorta di “regola di maggioranza”: se la maggioranza si comporta così vuol dire che è una buona soluzione. L’automatismo del default stabilisce perciò il punto di riferimento più utile per le decisioni107: l’agente ne

ha bisogno se vuole scegliere efficacemente senza perdersi nel caos delle possibilità che gli si parano davanti108. Da parte loro, le istitu-

zioni possono conseguire risultati importanti prevedendo (cioè pre- disponendo) la “scelta” che farà la maggioranza delle persone. Il bias

106 Sunstein, Semplice, cit., pp. 82-86.

107 Cfr. in particolare Sunstein, Semplice, cit., pp. 149 ss.

108 Secondo Sunstein l’autonomia è tanto più salvaguardata quanto più

opportunamente si restringono le sue opzioni di scelta. Autonomia e libertà di scelta si separano concettualmente. G. Dworkin ha stabilito prima di lui questa distinzione, definendo la libertà come la capacità di una persona di fare ciò che desidera avendo a disposizione opzioni di scelta significative che non siano pre- cluse anche parzialmente da altri agenti o da istituzioni sociali, mentre l’autono- mia è il potere di autodeterminazione: G. Dworkin, The Theory and Practice of

Autonomy, Cambridge University Press, Cambridge, 1988, p. 105. La questione

cruciale, dunque, è capire quali sono i tipi di architetture che interferiscono con l’autodeterminazione o autonomia di un individuo (ivi, p. 155). Il vero problema del nudge non è la libertà di scelta, ma la limitazione, le interferenze con l’auto- nomia. Può bastare la trasparenza come disclosure a preservare la libertà di scelta dalla manipolazione? E come ne viene tutelata l’autonomia? Ci sono momenti in cui i teorici del nudge riducono la questione a cosa di poco conto, quasi fosse ridicolmente presuntuoso soffermarsi su di essa; ma, si sa: più che alle concet- tualizzazioni dovremmo secondo loro affidarci all’esperienza: Thaler e Sunstein,

dell’inerzia si amplifica cioè per effetto del bias della social influence. Come scrive Sunstein,

un approccio ragionevole consiste nel selezionare l’automatismo che

riflette la scelta che la maggioranza delle persone farebbe se fosse ade- guatamente informata. [...] Il modo più naturale di soppesare le scelte è

di valutarne costi e benefici. Se si è visto che una regola di default tende ad attecchire […] [è] quasi certamente la migliore.109

Stupisce la scelta di quel ‘naturale’. Viene infatti da chiedersi: se fosse così naturale pensare in termini costi-benefici davanti a una scelta di qualunque tipo, che bisogno avremmo del nudge? L’appello all’average person rappresentato attraverso l’automatismo del de- fault sembra in realtà un invito al conformismo sociale, per quanto nobilitato da una spinta morale verticale da parte di nudger pubblici e privati che vogliono il benessere delle persone; ma sembra anche in contraddizione con l’argomento già ampiamente sfruttato della razionalità limitata dell’homo oeconomicus.

Quello della razionalità limitata è un argomento vecchio, an- che se qui viene usato in maniera innovativa. Originariamente vi ricorre Herbert Simon in polemica con la teoria dell’utilità attesa di Morgenstern e von Neumann, cioè per criticare l’ipotesi dell’ot- timizzazione nelle scelte economiche che idealizza il ruolo della ragione nei processi decisionali110. Qui viene riproposto a sostegno

del paternalismo mite del nudge ed esteso a tutte le sfere di com- petenza decisionale degli individui, a tutti gli individui in quanto umani, ma non ai nudger. Così facendo, Sunstein e Thaler banaliz- zano l’argomento della razionalità limitata e lo rendono funzionale a un suo uso asimmetrico: esso non investe, almeno in apparenza, gli

109 Sunstein, Semplice, cit., p. 152, corsivo nell’originale.

110 H. Simon, “A Behavioral Model of Rational Choice”, Quarterly Jour- nal of Economics, 69, 1955, pp. 99-188; Id., Models of Bounded Rationality,

The MIT Press, Cambridge, 1982. cfr. V. Mura, “Paternalismo e democrazia liberale: un equivoco da chiarire”, Meridiana, 79, 2014, pp. 54 ss. Per Simon è l’osservazione empirica a smentire l’idealizzazione della razionalità autonoma, sostituibile con l’ipotesi più realistica dei deficit cognitivi del soggetto che, nella raccolta delle informazioni, nella capacità di elaborarle e nel calcolo dell’utili- tà di ogni singola decisione, presenta evidenti e inevitabili limitazioni. Invece dell’ottimizzazione della scelta razionale, obiettivo irrealistico, meglio accon- tentarsi della scelta soddisfacente.

architetti della scelta. In assenza di ulteriori approfondimenti sem- bra perciò il classico “argomento boomerang”, quello che, secondo Virgilio Mura, potrebbe addirittura dimostrare l’illegittimità del ne- opaternalismo111. Tuttavia non scoraggia né Sunstein né i paternali-

sti soft112. Un paternalista soft come Feinberg, per esempio, sostiene,

come abbiamo visto, che l’autonomia individuale va rispettata solo se non produce danno a terzi, o è sorretta da un atto “perfettamente” volontario, ossia intenzionale e deliberato, compiuto da un agente completamente informato, non manipolato, capace di interpretare correttamente la realtà, non turbato da emozioni e non soggetto a coazioni di tipo nevrotico113. In altre parole, il soggetto non “merita”

di esercitare autonomamente la libertà di scelta (cioè non merita il rispetto del paternalista soft) quando è volubile e i suoi desideri non sono stabili nel tempo114; come se cambiare idea, stile di vita, orien-

tamenti fosse da concordare con l’autorità pubblica, impegnandosi in una sorta di programma esistenziale davanti all’autorità, pena la perdita di credibilità e quindi di autonomia presso di essa – pena la perdita della sua sovranità.

Evidentemente questo accordo non può ottenersi con una vo- lontaria adesione dei soggetti e quindi non può essere dichiarato, come sarebbe richiesto dai sistemi democratico-liberali per i qua- li il nudge è concepito. Questo comporta l’ipotesi che nel nudge ci

111 Mura, “Paternalismo e democrazia liberale”, cit., pp. 56-57. Questa os-

servazione è simile a quella di Edward Glaeser secondo il quale riconoscere i limiti della razionalità e della conoscenza umana dovrebbe ragionevolmente rafforzare la tesi che – semmai – conviene porre vincoli all’ingerenza pater- nalistica da parte dello stato: “Paternalism and Psychology”, The University of

Chicago Law Review, 73, 1, 2006, pp. 133-156.

112 Sunstein, ad esempio, sottolinea che i burocrati sono meno soggetti,

nella loro attività, al rischio di lasciarsi guidare dalle intuizioni e dall’istinto (che conducono ai limiti cognitivi di cui si è detto) perché devono fare più fre- quentemente uso del calcolo ponderato che limita questi rischi: Sunstein, The

Storrs Lectures, cit., p. 247.

113 Feinberg, Legal Paternalism, cit., pp. 115-116; cfr. sul punto E. Diciotti,

“Preferenze, autonomia e paternalismo”, Ragion Pratica, 24, 1, 2005, pp. 108 ss. È Mura a definire l’argomento di Feinberg come un argomento della razionalità limitata “travestito”: “Paternalismo e democrazia liberale”, cit.

114 G. Maniaci, “Contro il paternalismo giuridico”, Materiali per una storia della cultura giuridica, 61, 1, 2011, pp. 133-159.

sia effettivamente l’idea di un “programma esistenziale” di cui sono coscienti solo i nudger, e che i loro destinatari si limitano a subire inconsapevolmente. Continuare a difendere l’intento libertario e il carattere soft del nudge comincia ad apparire un’impresa quasi di- sperata.