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Il nudge tra scienza e politica

Il paternalismo libertario è asimmetrico in un modo evidente: produce un’antropologia differenziale che distingue tra umano ed econe, tra homo oeconomicus che possiede i requisiti del nudger e quello a cui si rivolge l’azione paternalistica. Esistono soggetti razio- nali e morali “migliori” le cui spinte gentili si addicono ad altri “in- feriori” e incapaci di usare al meglio la proprio autonomia. Per dirla con Sergio Caruso, che sembra proporsi come difensore del nudge, il paternalismo libertario è asimmetrico perché «rinforza la personalità delle persone meno riflessive, ma non è in grado di interferire con le ponderate decisioni di un soggetto autonomo e razionale (quale ognuno di noi è presupposto essere nelle filosofie libertarian)»115. A

noi sembra, invece, che il presupposto valga solo per i soggetti chia- mati a predisporre le architetture della scelta, la cui razionalità è meno deficitaria di quella degli altri. L’autonomia è un privilegio dei primi, agli altri spettano gli automatismi116.

Il ruolo e il contesto in cui opera il nudger sono fondamentali per capire le asimmetrie del paternalismo libertario. Quando Sunstein ri- conosce che possono esistere nudger pubblici e privati che scelgono automatismi nocivi, a causa dei propri limiti conoscitivi o per rispon- dere a interessi particolaristici, immagina non solo che il nudger abbia una razionalità più efficiente di quella del destinatario naturale delle spinte gentili, ma che esista un antidoto ai bias dei nudger che consiste nell’appello al sistema sociale in cui si trovano a operare, un ordine quasi naturale, potremmo dire “catallattico”, in grado di rappresen- tare un correttivo e una sanzione alle scelte più malaugurate dei go-

115 S. Caruso, Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, Firenze

University Press, Firenze, 2012, p. 158; sul “paternalismo asimmetrico” si veda G. Loewenstein et al., “Asymmetric Paternalism to Improve Health Behaviors”,

Journal of American Medical Association, 298, 20, 2007, pp. 2415-2417. 116 Vedi anche cap. 3, parr. 3-4, infra.

vernanti. Possiamo cioè confidare nel fatto che le forze del mercato metteranno un argine all’uso delle regole di default più dannose117.

Sempre per rassicurarci sul carattere benefico e leggero delle azioni di nudging, Sunstein afferma che, «per la maggior parte, le regole di default si applicano alle persone giuste»118, cioè che il nudge

ci indirizza verso ciò che avremmo già scelto in condizioni ideali. È una sorta di conferma a posteriori dell’architettura della scelta pre- disposta, ma sembra contraddire quel dato “naturale” che giustifica politicamente e moralmente il nudge, ossia il dato del Sistema 1119. Il

paradosso si dissolve se si ammette la possibilità che il nudge si basi non tanto sulla messa in dubbio della teoria della scelta razionale e sulla svalutazione morale e intellettiva dell’homo oeconomicus rea- le, quanto sulla volontà di perfezionare la prima, facendo dell’uomo reale un vero e proprio homo oeconomicus. Immaginare un intento perfezionistico, di addestramento morale delle condotte attraverso il nudge, risolve il paradosso facendo però collassare il paternalismo libertario: affidarsi alle regole del mercato ha sì un significato salvifi- co, ma trasforma il paternalismo del nudge in qualcosa d’altro, cioè in un paternalismo morale non liberale ma neoliberale. Riflettere su questa possibile implicazione sarà uno degli scopi perseguiti nella seconda parte del libro.

Gli esempi più famosi di nudger sono gli stessi Sunstein e Tha- ler. Dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Barak Obama ha posto Sunstein a capo dell’Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA)120. Come racconta egli stesso, sotto la sua guida l’OIRA ha

promosso la semplificazione di quasi duemila regole emanate dalle agenzie federali grazie all’uso di un linguaggio comprensibile, alla riduzione degli adempimenti burocratici, alla stesura di riassun- ti leggibili per normative particolarmente complesse, e soprattutto all’abolizione di adempimenti costosi e ingiustificati121. Ha inoltre

117 Sunstein, Semplice, cit., pp. 152-153. 118 Ivi, p. 154.

119 «In altre parole, i governi dovrebbero tentare di garantire, ove sussi-

stano le condizioni, che il da farsi sia facilmente e rapidamente gestibile dal Sistema 1»: Sunstein, Semplice, cit., p. 135.

120 Carica ricoperta dal 2009 al 2012. 121 Sunstein, Semplice, cit., pp. 12-13.

sostenuto l’impiego di spinte gentili a basso costo, attingendo diret- tamente all’economia comportamentale, e «promettendo risparmi economici, un miglioramento significativo della salute della popola- zione, e un aumento generale della speranza di vita»122. Nello stesso

periodo, dall’altra parte dell’Atlantico David Cameron consigliava caldamente la lettura di Nudge ai deputati conservatori, e, diventato primo ministro nel 2010, istituiva a Downing Street il Behavioural Insight Team (BIT), chiamato poi, più confidenzialmente, “Unità Nudge”, con Thaler come consulente123. Quello delle spinte gentili

è un fenomeno sempre più internazionale, ed è una strategia usata dagli enti pubblici in Corea del Sud, Australia, Danimarca, Germa- nia e altri paesi ancora124. L’economia comportamentale ha suscitato

interesse anche a livello sovra-nazionale: la Direzione Generale per la Salute e i Consumatori dell’Unione Europea ha riconosciuto la rilevanza dell’economia comportamentale, e l’OCSE ha pubblicato un Consumer Policy Toolkit che raccomanda svariate iniziative che si ispirano ai risultati delle scienze comportamentali125.

122 Ivi, p. 13.

123 Ivi, p. 27. Il suo mandato era guidare i cittadini verso l’assunzione di de-

cisioni “migliori” nell’interesse della società: cfr. Sunstein, Effetto nudge, cit., pp. 9-10. Il sito web ufficiale della Nudge Unit dichiara che il suo lavoro si basa sulle idee tratte dal crescente corpus di ricerche accademiche nei campi dell’economia e della psicologia comportamentale, che dimostra che in molti casi mutamenti anche piccoli nel modo in cui le decisioni vengono inquadrate possono fare una grande differenza, sia in termini di scelta individuale sia in termini di risparmi economici. http://www.behaviouralinsights.co.uk. Nella homepage si dichiara che «We use insights from behavioural science to encourage people to make bet- ter choices for themselves and society».

124 Sunstein, Semplice, cit., p. 27. Franzini ci informa, ad esempio, che la

prospettiva di costituire anche in Italia una unità di supporto alle decisioni del governo, ispirata al modello britannico, è stata recentemente avanzata da A. Alemanno, M. Motterlini, “Sburocratizzare l’Italia”, Il Sole 24 ore, 9 marzo 2014.

125 Sunstein, Effetto nudge, cit., p 10; vedi Consumer Policy Toolkit, OECD,

luglio 2010, http://www.oecd.org/sti/consumerpolicy/consumerpolicytool- kithtm; DG SANCO, Consumer Behaviour: The Road to Effective Policy-Mak-

ing, European Commission, 2010, http://ec.europa.eu/environment/integra-

tion/reserac/newsalert/pdf/FB4.pdf. Ma per reperire numerose fonti di questo tipo si veda il sito iNudgeYou.com, http://www.inudgeyou.com/resources.

Non sorprende dunque che Vipin P. Veetil critichi l’antropo- logia differenziale del nudge. Essa comporta la sottovalutazione del fatto che il paternalismo, alla fine, deve essere esercitato dai buro- crati, cioè da una «Autocrazia Burocratica di stampo platonico» che aprirebbe «la strada verso la servitù»126. Non potrebbe essere più

chiaro, se non fosse che i burocrati e i tecnocrati, che immaginiamo alle spalle di nudger e policymaker mentre raccolgono, catalogano, organizzano i dati e i riscontri empirici, non sono gli unici “despoti”, forse nemmeno i peggiori. Per i neopaternalisti, a limitare la nostra autonomia non è il nudger ma noi stessi, cioè la nostra razionalità difettosa e l’inerzia che ne dipende. Se di paternalismo dispotico si tratta sarà opportuno individuare con più precisione il despota. A tal fine, un nuovo confronto, nella seconda parte del volume, con Gerlad Dworkin, uno dei più autorevoli teorici del paternalismo, contribuirà a rendere più evidente il fallimento del carattere mite del neopaternalismo del nudge.

L’intenzione è far reagire la riflessione sul paternalismo con una più complessiva sulla normatività (non solo giuridica) di stampo li- berale, e su quella che Michel Foucault ha definito ‘neoliberale’. La prima mette in campo la regola del diritto, la seconda invece pog- gia sulla distinzione tra “legge” e “norma”. In Il soggetto e il potere, Foucault descrive una società che funziona attraverso le norme (non con le leggi) e instaura una “cultura del prevedibile”, cioè una socie- tà che si serve di procedure di razionalizzazione che trasformano le pratiche di governo in pianificazione127. Non obbedire a leggi, ma

essere assoggettati a norme è per Foucault il presupposto per diven- tare soggetti in questo tipo di società, in cui la “libertà” è la forma specifica della servitù.

126 V.P. Veetil, “Libertarian Paternalism Is an Oxymoron: An Essay in De-

fence of Liberty”, European Journal of Law and Economics, 31, 3, 2011, pp. 321- 334. Nel finale approfondiremo anche il tema della burocrazia – termine mai utilizzato da Sunstein, nel senso istituzionale di ‘apparati’, ma solo in quello allusivo e deteriore di male da estirpare in nome della semplificazione.

In definitiva, a quale tipo di assoggettamento punta il neopater- nalismo del nudge? La domanda è interessante perché di fronte ad agenzie come OIRA e BIT sorge il dubbio che le critiche al pater- nalismo libertario, per quanto condivisibili, non problematizzino a sufficienza i motivi per cui gli stati occidentali di antica tradizione liberale decidono di ricorrere a politiche di nudging128.

Che certe persone preferiscono i cibi grassi a quelli dietetici e biologici, secondo Thaler e Sunstein è da ricondurre ai bias cogni- tivi e ai fallimenti comportamentali, non alle condizioni sociali ed economiche in cui versano le nostre società – né, tanto meno, a una scelta consapevolmente insalubre. Il ricorso esclusivo all’argomen- to psicologico per la giustificazione del paternalismo ha l’effetto di eclissare le ragioni sociali, cioè le interferenze di un dato sistema socio-economico e culturale sulle condotte individuali e collettive. Detto altrimenti, la pervasività dell’argomento psicologico elude del tutto i motivi per cui gli stati non sono più disposti a farsi carico del “costo” delle libertà del cittadino. Il costo è ora addossato ai singoli. Che sia questa la ragione per cui sembra meno necessario il ricorso all’uso della forza del diritto?

Occorre inoltre chiedersi se è pensabile che i cittadini di una de- mocrazia liberale, dotati di una certa struttura cognitiva e, si imma- gina, interessati a difendere il nucleo fondamentale delle loro libertà, possano decidere di darsi vincoli paternalistici soft come argine alla loro razionalità limitata e alla loro inerzia comportamentale. E in che senso deciderlo preserva la loro autonomia?

A queste domande cerca di rispondere un’indagine dell’istituto di ricerca sociale Ipsos Mori, condotta nel 2012 e rivolta a 18.500 adulti di 24 nazioni attraverso l’inchiesta «Acceptable Behaviour? Public Opinion on Behaviour Change Policy»129. L’obiettivo era ac-

certare il grado di consenso dell’opinione pubblica rispetto a inter-

128 Scrive Zappino: «il ricorso all’argomento psicologico e, dunque, “scienti-

fico” non rischia però di sortire l’effetto di addossare completamente al soggetto la responsabilità non solo dei comportamenti “viziosi” di per sé, ma anche dei motivi per i quali gli stati avvertono l’urgenza di arginarli?»: Zappino, “Il pater- nalismo, tra ‘proibizione’ e ‘disciplinamento’”, cit., p. 161.

129 Ipsos Mori, Acceptable Behaviour? Public Opinion on Behaviour Change Policy, 2012, http://www.ipsos-mori.com/DownloadPublication/1454_sri-ip-

venti tesi a condizionare paternalisticamente i comportamenti delle persone e il loro stile di vita130. L’indagine ha rivelato che i cittadini

sono in genere favorevoli a interventi paternalistici soft: quasi il 70% si dice bendisposto verso misure che inibiscono comportamenti dannosi, mentre l’87% degli intervistati è favorevole all’incentiva- zione di specifici comportamenti benefici. Il sondaggio ha inoltre ri- velato che vi è un generale dissenso verso interventi di paternalismo forte. Il consenso per il paternalismo è cioè inversamente propor- zionale all’intensità della misura adottata e tende a diminuire con l’aumento della forza autoritaria dei dispositivi.

Questi risultati danno consistenza all’ipotesi che paternalismo debole e forte, pur essendo concettualmente distinguibili, posso- no essere concepiti come poli opposti di una direttrice che lascia lo spazio intermedio alla mercè della creatività politica più sottile. Non solo, in molti casi un paternalismo soft è difficilmente evitabi- le, come scriveva già Mill, ma il rapporto fra libertà e paternalismo non può essere predeterminato, nella misura in cui scienza e politica possono allearsi, o per “disciplinare” gli Umani e indurli ad affidarsi supinamente agli interventi paternalistici che li esonerino dalle de- cisioni più complicate; oppure, nel caso in cui gli Umani abbiano una componente di Econe superiore alla media, a fare i nudger; o, più probabilmente, ad accettare di buon grado il fatto che un mondo popolato di Umani è troppo complesso, esposto al rischio e poco gestibile, e che dovremo prima o poi acconsentire a essere trattati tutti come Umani difettosi, anche se sentiamo che questo ci squalifi- ca e limita la nostra autonomia di scelta. In fondo ci conviene, è nel nostro interesse, e tutta la collettività ne trarrà vantaggio in termini di stabilità sociale.