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Meta-scelte Virtù e limiti di un approccio deliberativo

Sia una definizione concettuale sia una definizione empirica dei beni la cui realizzazione contribuisce al benessere individuale non riescono a far fronte alla sfida dell’eterogeneità di Mill; si possono trovare altri modi di salvare il paternalismo libertario? Alcuni auto- ri hanno suggerito che una prospettiva deliberativa potrebbe essere

46 Sunstein, Effetto nudge, pp. 79-81, 92-93.

47 Cfr. Sunstein, The Ethics of Influence, cit., p. 52. Per il concetto di ‘ac-

cordo teorizzato in modo incompleto’ (incompletely theorized agreement) cfr. anche Id., “Incompletely Theorized Agreements”, Harvard Law Review, 108, 7, 1995, pp. 1733-1772.

più adeguata del paternalismo libertario nel disegnare ambienti di scelta48. Un approccio deliberativo non ha l’obiettivo di individuare

le preferenze degli individui sui singoli beni, ma di chiarire, attraver- so una discussione pubblica, informata dalla migliore conoscenza disponibile e basata solo su argomenti razionali, le preferenze sulle ‘meta-scelte’, ossia sulle architetture che i funzionari pubblici posso- no legittimamente predisporre. La decisione finale non assumerebbe alcuna premessa tacita sulle concezioni del benessere delle persone.

Non è nostra intenzione discutere qui, in generale, i meriti e i de- meriti dell’approccio deliberativo. Se riuscisse realmente a raggiun- gere gli scopi che si prefigge, costituirebbe sicuramente un passo avanti rispetto alle generalizzazioni, concettuali o empiriche, del pa- ternalismo libertario riguardo alle preferenze delle persone. La scelta delle spinte sarebbe, per lo meno in questo caso, autorizzata da un coinvolgimento attivo degli individui. La prospettiva deliberativa, tuttavia, non prevede la mobilitazione di qualsiasi cittadino, ma solo di gruppi selezionati per consentire una conduzione ottimale della discussione e ciò significa che la popolazione coinvolta nel processo deliberativo non coinciderà, numericamente, con quella destinataria delle spinte gentili. Sicuramente i due gruppi presenteranno zone di sovrapposizione più estese rispetto a quelle garantite da altre forme politiche, incluso il paternalismo libertario.

Questo aspetto sembra suggerire che, comunque sia, anche l’a- dozione della proposta deliberativa sul piano politico non può pre- scindere dall’accettazione, sul piano etico, di un principio esigente di trasparenza e pubblicità delle spinte gentili. Un percorso delibe- rativo può rendere più esplicite le meta-scelte in generale, ma nelle situazioni specifiche l’agente che si confronta con un’architettura che prevede una regola di default o una formulazione che aumenta la salienza di certe informazioni deve essere messo nelle condizioni di sapere quali sono i fattori, deliberatamente selezionati, che po- trebbero influenzare la sua decisione. Anche quando le spinte fos- sero finalizzate a ottenere un allineamento tra scelte e preferenze, è opportuno che la persona sia consapevole del mezzo utilizzato per

48 G. Schiavone et al., “Libertarian Paternalism and Health Care Policy: A

Deliberative Proposal”, Medicine, Health Care and Philosophy, 17, 1, 2014, pp. 103-113.

ottenere questo effetto, a prescindere dal fatto che la meta-decisione sia il frutto di un percorso deliberativo (a cui non si è partecipato) o di un consenso di esperti in economia comportamentale. L’approc- cio deliberativo può offrire una trasparenza dei tipi d’intervento, ma non una trasparenza delle loro occorrenze (cfr. il par. 6 del terzo ca- pitolo per questa distinzione). Solo in questo modo si può ottenere un rispetto reale della condizione ‘secondo il loro giudizio’, perché il comportamento, di principio, sarà governato dagli interessi del- le persone e perché, nell’eventualità, le persone potranno affidarsi all’architettura qualora giudichino che essa riesca meglio di loro a realizzare quegli obiettivi che si sono prefissi. Questo principio di “discrezionalità” 49, necessario per preservare la fiducia in alcune re-

lazioni di affidamento come abbiamo già visto, è però applicabile solo se c’è una perfetta trasparenza tra chi fa le meta-scelte e chi ne è il destinatario.

7. Dignità

Vorremo chiudere questo capitolo con alcune considerazioni del modo in cui Sunstein affronta il problema della compatibilità tra l’uso delle spinte gentili e il rispetto della dignità umana. Spesso si ritiene che il rispetto della dignità degli individui costituisca il pri- mo passo, se non quello principale, per realizzare il loro benessere. La dignità è spesso presentata da Sunstein in una sorta di endiadi con il concetto di autonomia, quasi costituissero una coppia così intrecciata da essere difficilmente districabile. Ne discute in modo specifico e circostanziato rispondendo all’obiezione di Jeremy Wal- dron, secondo cui la manipolazione delle scelte influisce sul senso di sé come autori delle proprie decisioni e, quindi, contrasta con la dignità intesa come senso di rispetto di sé50. Sunstein distingue tra

una concezione soggettivistica della dignità, collegata al fatto che un trattamento che viola la dignità personale implica una perdita in ter-

49 Per considerazioni che vanno in questa direzione, cfr. Glod, “How

Nudges Often Fail to Treat People According to Their Own Preferences”, cit., pp. 605-608.

50 J. Waldron, “It’s All for Your Own Good”, The New York Review of Books, 9 ottobre 2014, https://www.nybooks.com/articles/2014/10/09/cass-

mini di benessere, e una concezione oggettivistica, più in linea con la critica kantiana di Waldron, secondo cui alcune azioni costitui- scono un insulto alla dignità umana, a prescindere dalla percezione soggettiva in termini di benessere. Nel primo senso la dignità è un bene che può essere bilanciato con altri beni, per cui una perdita di benessere causata da un affronto alla dignità può essere giustificata se serve a realizzare un altro bene per la persona. Nel secondo sen- so, la dignità è percepita come un bene la cui violazione non può essere giustificata da alcuna considerazione, perché la mancanza di rispetto non tollera alcuna compensazione. Un discorso complessi- vo sulla dignità richiederebbe una lunga digressione, sia perché è un concetto altamente frequentato nell’ambito della filosofia, sia perché è suscettibile di molteplici interpretazioni, che vanno dall’assegna- zione di un ruolo centrale nell’etica, alla maniera kantiana, fino a decretarne l’assoluta inutilità nella soluzione di questioni pratiche.

Per queste difficoltà ci concentriamo soltanto su un peculiare effetto che Sunstein collega alla violazione della dignità. L’uso di spinte gentili, anche quelle meno manipolatorie come i promemo- ria, potrebbero essere percepiti dai cittadini come forme di “infan- tilizzazione”:

Se il governo ricorda costantemente alle persone cose che già sanno, questa azione potrebbe essere considerata un insulto alla dignità, e una forma di infantilizzazione. Ogni bambino, e chiunque sia stato una volta un bambino, può ricordare questa forma di infantilizzazione e non sempre essa è assente nella vita adulta. Se le persone vengono in- formate della stessa cosa ogni ora o anche ogni giorno (per esempio, dal loro partner, dal loro medico o da qualche ufficiale pubblico), po- trebbero legittimamente avvertire che la loro dignità non è rispettata51.

La ripetizione (di avvertimenti, di promemoria e di usi delle norme sociali) sfrutta l’euristica della disponibilità: la ripetizione rende cer- ti messaggi più disponibili di altri. Ma anche le regole di default pos- sono essere percepite come mezzi che ottengono gli stessi effetti. Qui Sunstein cita Mill, insistendo sul fatto che la conformità e il costume possono impedire agli esseri umani di sviluppare le loro qualità pe- culiari, perché solo l’esercizio ripetuto della libertà di scelta consente di far prosperare le loro facoltà. Mill tracciava un paragone istruttivo

tra la natura umana, che come un albero è bisognoso di cura e atten- zione ma anche di crescere e svilupparsi in ogni direzione, e la mac- china, il cui agire è sospinto soltanto dalla programmazione che ha ricevuto. La natura umana non è una macchina e per questo la liber- tà è il carburante fondamentale per alimentare il benessere dell’indi- viduo52. La citazione da Mill serve a Sunstein per concludere che si

possono immaginare situazioni tanto estreme da rendere le regole di default un affronto alla dignità umana, perché prevengono il libero sviluppo individuale, ma, in generale, l’uso di queste e di altre spin- te non ha effetti così devastanti sulla dignità e sull’auto-percezione degli individui. Inoltre, poiché le spinte gentili non pregiudicano la libertà di scelta per definizione, non rappresentano di per sé un pe- ricolo sotto questo punto di vista. L’obiezione della dignità può fun- zionare molto bene in astratto, per stabilire eventualmente i limiti oltre i quali l’azione del governo non può legittimamente spingersi ma non costituisce un affidabile metro di valutazione per giudicare lo status morale delle spinte nelle situazioni concrete.

L’obiezione in astratto mantiene però la sua forza se diretta verso un programma politico che sistematicamente fa uso di spinte gentili e altri strumenti manipolatori per orientare le scelte dei cittadini. Ammesso che le singole spinte non siano lesive della dignità umana perché non pregiudicano l’agentività, un programma politico che incardini questi strumenti come mezzi da impiegare su vasta sca- la per ottenere certi scopi potrebbe essere, nel complesso, giudica- to moralmente sospetto. Luc Bovens ha sottolineato questo aspetto paragonando il nudging al nannying, cioè l’atteggiamento da balia, da sorvegliante benevolo che alcuni governi hanno nei confronti dei loro cittadini (Sunstein si interroga se le decisioni del sindaco di New York Bloomemberg di limitare la vendita di bibite gassate rispecchiassero un intento paternalistico di questo tipo). Scrive Bo- vens:

Un effetto collaterale che merita particolare attenzione è il problema dell’infantilizzazione e dell’ostacolo allo sviluppo morale. Sia il nan-

nying sia il nudging potrebbero avere questo effetto. Sia la regolamen-

tazione sia le spinte ambientali per scoraggiare o incoraggiare certi

52 Ivi, pp. 71-72. Cfr. anche Sunstein, Effetto nudge, cit., pp. 76-78. Per il

comportamenti potrebbero deprivare l’agente di forza morale per im- plementare il comportamento desiderato, una volta che la regolamen- tazione o le spinte ambientali non sono più presenti53.

Sebbene nei singoli casi questo effetto potrebbe non realizzarsi, su un piano più generale e di lungo periodo il ricorso ripetuto all’archi- tettura della scelta in aree sensibili della vita umana potrebbe avere l’effetto non desiderato di “indebolire” la capacità delle persone di sostenere nel lungo periodo e in assenza di spinte il comportamento verso cui l’intervento mite del paternalismo libertario le ha sospinte. Sarah Conly tenta di arginare questa critica sostenendo che il pa- ternalismo (in qualunque forma) non mortifica le capacità agentive degli individui. È vero che il soggetto sottoposto a spinte potrebbe tendere a ripetere le azioni imposte o suggerite dalle leggi o dall’ar- chitettura della scelta ma nella misura in cui esse sono buone o bene- fiche non si snatura completamente l’agire umano. È l’aristotelismo d’altronde a insegnare che per prendere decisioni buone occorre sot- toporsi a processi di abituazione e ripetizione, in modo da acquisire con la pratica, con l’insegnamento o con qualche altro aiuto esterno un orientamento al bene54. Questo tentativo di respingere l’accusa

di infantilizzazione non è efficace. In primo luogo, un’abituazio- ne inconsapevole, che non coinvolge in nessun modo l’attenzione del soggetto, può produrre tendenze comportamentali e istintive ma non perfeziona le capacità che Mill aveva in mente. Quello che Conly presenta è più un tipo di “addestramento” (in senso lato) che può funzionare per soggetti non ancora maturi, ma che non sembra compatibile con il senso di autonomia che contraddistingue le scelte di persone adulte. Inoltre, il processo di abituazione è finalizzato a

53 L. Bovens, “Real Nudge”, European Journal of Risk Regulation, 3, 1,

2012, pp. 43-46, p. 44.

54 Cfr. S. Conly, Against Autonomy, cit., pp. 67-69. Kamtekar ha sottolineato

che l’interpretazione delle risposte automatiche sostenuta dai fautori della teoria del nudge si distingue da quella aristotelica proprio per lo spazio conces- so alla possibilità di “educare” consapevolmente le reazioni spontanee. Cfr. R. Kamtekar, “Becoming Good: Narrow Dispositions and the Stability of Virtue”, in J. Annas, D. Narvaez, N.E. Snow (eds.), Developing the Virtues. Integrating

Perspectives, Oxford University Press, Oxford, 2016, pp. 185-186. Cfr. anche

quanto abbiamo detto sulle possibilità di “educare” il Sistema 1 nel par. 5 del secondo capitolo.

formare un “carattere” ed è curioso che l’autrice sfrutti questa idea aristotelica nell’ambito di una proposta paternalistica che, come lei stessa sostiene, non ha mire perfezionistiche (come abbiamo detto a inizio capitolo).

In generale è però la stessa assunzione che anima l’approccio delle spinte a presuppore la natura dei soggetti destinatari in un certo modo. Nessun contrasto è più netto di quella che potremmo definire una ‘differenza antropologica’ tra il liberalismo classico e il paternalismo libertario. I paternalisti libertari accettano l’idea che gli agenti umani siano talmente limitati dal punto di vista cognitivo nella loro costituzione naturale da continuare a compiere scelte irra- zionali anche in contesti per loro importanti; sono quindi bisognosi di una guida strutturata e proveniente dall’alto che li orienti costan- temente e sopperisca a questa carenza naturale, consentendo loro di selezionare i mezzi più idonei per realizzare i propri fini. A rigore, l’accusa di infantilizzazione non riesce a catturare il vero limite del paternalismo libertario. Se gli individui fossero considerati in questo modo, essi ricadrebbero a buon diritto nella categoria dei bambi- ni dipendenti e passivi a cui Kant assimila i cittadini di uno stato che paternalisticamente impone il giudizio di quale debba essere la loro felicità, perché essi non sono in grado di porsi fini e quindi di individuare quali obiettivi contribuiscono a realizzare il loro benes- sere. Per continuare a usare un linguaggio kantiano55, i loro deficit

cronici sotto l’aspetto della razionalità strumentale non consentono di annoverarli nemmeno nella categoria delle persone capaci, illu- ministicamente, di sottrarsi allo stato di minorità e di sbarazzarsi di tutori che decidano al loro posto o li orientino nella vita quo- tidiana. La creatura antropologica del paternalismo libertario è un essere “neotenico”56, un ibrido che è abbastanza cresciuto da poter

scegliere liberamente tra le opzioni che si presentano, ma costituti- vamente incapace di esercitare questa libertà in modo consono. In

55 Cfr. I. Kant, Risposta alla domanda: Cos’è l’Illuminismo?, in Id., Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp.

45-52; Id., Sul detto comune: Questo può essere giusto in teoria ma non vale per

la prassi, ivi, pp. 123-161.

56 Riprendo il concetto da alcune conferenze di Marco Mazzeo, che rin-

grazio per avere attirato la mia attenzione su un impiego “politico” e critico del termine.

questo modo si aprono diversi problemi. Alcuni di carattere mera- mente descrittivo, visti nel secondo capitolo, sulla presunta carenza di razionalità nelle strutture psicologiche che caratterizzano l’agente umano; altre perplessità riguardano invece il modo in cui è possibile definire ‘il modo consono’ in cui la libertà deve essere esercitata.

Il paternalismo libertario non è un progetto che ha come fine il tentativo di superare lo stadio di “dipendenza” degli agenti, non cerca di fornire i mezzi più idonei perché gli individui riescano, nei limiti del possibile e certamente con variazioni individuali forti, ad affrancarsi e migliorare, perché più consapevoli dei propri limiti e delle sfide che gli ambienti di scelta pongono. Quando il paterna- lismo libertario rinuncia a ricorrere alle spinte educative e prova a orientare il comportamento individuale verso certe mete sfruttan- do le debolezze e le distorsioni cognitive, manifesta la sua difficoltà nel trovare un equilibrio tra la componente paternalistica e la com- ponente libertaria e, al tempo stesso, il bisogno di mantenere viva questa difficoltà. Dietro la facciata rappresentata da architetti della scelta che, seppure in assenza di intenzioni patentemente inaccet- tabili, si sforzano di garantire un’effettiva libertà di autodetermi- nazione alle persone si cela in realtà il tentativo di occultare con la maschera “libertaria” un volto dispotico che cerca di manipolare gli individui verso fini più razionali, ma probabilmente in alcuni casi eteronomi rispetto alla volontà degli individui. Se così fosse, la rappresentazione neotenica svolgerebbe la funzione di premessa necessaria all’attuazione di un programma politico che, complessi- vamente, non può che produrre attrito con una certa declinazione della dignità.