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Il programma di ricerca HB e il programma di ricerca FFH dis- sentono sulle premesse empiriche e descrittive della mente umana e, di conseguenza, sugli strumenti più adeguati per raggiungere l’o- biettivo di mettere le persone nella migliore condizione possibile per fare scelte. Ma quale tipo di scelte? Entrambi gli approcci sottoline- ano che non è loro intenzione intromettersi nei fini che gli agenti scelgono di perseguire, ma di voler solo valorizzare i mezzi migliori per farlo. Sotto questo profilo sono entrambe teorie della razionalità strumentale. Ciò che distingue il programma FFH dal programma di HB e anche dalla teoria tradizionale della scelta razionale è che gli imperativi ipotetici ricavabili non dipendono solamente dagli scopi e dai vincoli a cui è soggetto l’individuo, ma anche dall’am- biente in cui si trova ad agire e, quindi, anche da condizionamenti

46 Cfr. Sunstein, The Ethics of Influence, cit., pp. 141-145. Tutto il capitolo

6 di questo libro di Sunstein è dedicato alla discussione dell’aspetto empirico (cfr. anche le appendici a pp. 203-213). Cfr. anche G. Felsen, N. Castelo, P.B. Reiner, “Decisional Enhancement and Autonomy: Public Attitudes towards Overt and Covert Nudges”, Judgment and Decision Making, 8, 3, 2013, pp. 202- 213; W. Hagman et al., “Public Views on Policies Involving Nudges”, Review of

Philosophy and Psychology, 6, 3, 2015, pp. 439-453; L.A. Reisch, C.R. Sunstein,

“Do Europeans Like Nudges?”, Judgment and Decision Making, 11, 4, 2016, pp. 310-325.

e aspettative sociali che caratterizzano quell’ambiente47. Ciò che le

persone “devono” fare dipende sostanzialmente da tre fattori: (1) gli scopi dell’agente; (2) i limiti e i vincoli a cui comunque l’agente è sottoposto; (3) il tipo di ambiente in cui l’agente si muove. La scelta migliore consiste quindi nel seguire l’euristica che, rispetto alle tre condizioni esplicitate, riesce a realizzare gli scopi dell’agente nella situazione data.

In questo capitolo si è cercato di mostrare che esiste un’alter- nativa alla descrizione della mente su cui si basano i paternalisti li- bertari e questa diversa base empirica genera un approccio diverso alle scelte degli individui. Il programma FFH e l’idea di razionalità ecologica a esso connessa sembra differenziarsi nettamente dal pro- gramma HB e dal paternalismo libertario che su questa base viene costruito per un ulteriore aspetto. La teoria della scelta razionale e il programma HB si basano sull’idea che una teoria normativa debba indicare quale sia la scelta che riesce a soddisfare in modo ottimale le preferenze razionali o autentiche degli agenti (sia concesso man- tenere per il momento questa ambiguità semantica nel caratterizzare la natura delle preferenze, ma vedremo che questo aspetto genera problemi notevoli per il paternalismo libertario). Il programma FFH e la teoria del boosting, pur condividendo un approccio strumentale e condizionale alla razionalità, sembrano adombrare un orizzonte più ampio, che non contempla come unico fine quello di garantire la soddisfazione delle preferenze. In primo luogo, infatti, la caratte- rizzazione del comportamento razionale non è data rispetto a una norma che vale per tutti i casi, ma è contingente rispetto all’ambien- te e alla situazione che sono di volta in volta considerate. Ma la sod- disfazione di preferenze e desideri risulta eccessivamente angusta, perché non riesce a esaurire la gamma di scopi nell’azione che gli agenti possono darsi. Scrivono ad esempio Gerd Gigerenzer e Tho- mas Sturm:

47 Su questo tema cfr. D. Wade Hands, “Normative Ecological Rationality:

Normative Rationality in the Fast-and-Frugal-Heuristics Research Program”,

Journal of Economic Methodology, 21, 4, 2014, pp. 396-410. L’autore conclude

comunque che il modello della razionalità ecologica e delle euristiche semplici non costituisce un’alternativa radicale alla teoria dominante della scelta razio- nale.

Si noti che, sebbene la razionalità ecologica sia definita latamente in termini di successo e quindi implichi la ricerca di mezzi adatti per certi scopi, non sosteniamo che il ragionamento riguardi solo la soddisfa- zione di desideri, senza che si ponga cura a ciò che è realmente vero o corretto. Per esempio, l’euristica “prendi-il-meglio” ha formulato in media previsioni corrette, più spesso di quanto non abbiano fatto le strategie di ottimizzazione. Per questo misuriamo il successo di questa euristica rispetto a scopi epistemici standard48.

Gli autori sottolineano che il successo di un’euristica non si misura soltanto con il grado in cui il suo utilizzo riesce a garantire la soddi- sfazione degli scopi soggettivi dell’agente, ma dipende anche da altri scopi o valori epistemici. L’euristica “prendi il meglio” funziona in questo modo: il soggetto stima quale opzione tra quelle disponibili in una situazione abbia maggiore valore, dato un certo criterio, sulla base di un attributo che il soggetto percepisce come quello maggior- mente in grado di discriminare tra le opzioni. Il successo di questa euristica è valutato anche rispetto alla sua capacità di fare previsioni corrette, ovvero sia in base a quanto la sua applicazione riesce a ge- nerare previsioni corrette su quale sia davvero la migliore scelta49.

Questo allargamento dell’orizzonte degli scopi e dei valori segna sicuramente una differenza tra il modello della razionalità ecologica e quello delle spinte gentili, ma nondimeno risulta ancora troppo li- mitato rispetto alle spiegazioni delle scelte che è possibile fornire. Si riprenda quanto suggerito riguardo all’effetto framing. In quel caso due descrizioni logicamente equivalenti possono non avere lo stesso valore informativo, nello stesso modo in cui due descrizioni della stessa azione possono comunicare qualcosa di diverso rispetto al rapporto tra il comportamento e la scelta dell’agente. L’atto di apri- re un rubinetto può essere descritto come un comportamento non intenzionale, se si cita il meccanismo muscolare in cui consiste, ma può essere descritto come un’azione intenzionale se si cita la mia in- tenzione di riempire d’acqua la ciotola del mio cane. In questo caso il mio desiderio o la mia intenzione sono fattori esplicativi peculiari

48 G. Gigerenzer, T. Sturm, “How (Far) Can Rationality Be Naturalized?”, Synthese, 187, 1, 2012, pp. 243-268, p. 255.

49 Cfr. ad es. G. Gigerenzer, Decisioni intuitive. Quando si sceglie senza pensarci troppo, Raffaello Cortina, Milano, 2009, pp. 146-150.

del mio movimento perché chiamandoli in causa si chiama in causa una particolare ragione per agire o un fine in vista del quale certi movimenti corporei vengono eseguiti.

Questo punto acquista una certa consistenza nell’ambito delle descrizioni del comportamento di cui ci stiamo occupando. Il mo- dello tradizionale della scelta razionale equipara la scelta a una sele- zione dei mezzi più idonei a soddisfare le nostre preferenze, dati due vincoli fondamentali: l’informazione di cui è in possesso l’agente e le risorse (tempo, denaro, energia, ecc.) a sua disposizione. L’assun- to è che sia la prima che le seconde sono in genere scarse e da qui derivano le scelte sub-ottimali. Il modello dell’homo oeconomicus, che contraddistingue questa teoria, si esaurisce in questa triangola- zione (preferenze, risorse, informazione) e implica che la scelta sia un’esperienza contraddistinta da vincoli e contrattazioni, imposti dalla scarsità dei beni a disposizione. Siamo limitati dalle informa- zioni che abbiamo e poiché non possiamo realizzare sempre tutte le preferenze dobbiamo “venire a patti” con i nostri desideri, per così dire, creando scale di priorità per decidere quali realizzare e a quali rinunciare: l’esempio perfetto è costituito dalle negoziazioni nell’ac- quisto di beni, in cui le scelte sono condizionate dalle informazioni a disposizione del consumatore sui beni da acquistare, il tempo da dedicare a reperire ulteriori informazioni, il denaro da consumare in questi acquisti, ecc. Date tutte queste variabili, si può calcolare il costo di ogni scelta, che contemplerà sia il consumo di risorse che essa richiede, sia la perdita che si registra rinunciando alle altre op- zioni disponibili (tecnicamente detto costo opportunità della scelta: se opto per spendere il mio denaro andando a cena fuori non potrò andare al cinema domani). In questo schema, quindi, è fondamenta- le il riferimento alle preferenze, considerando che esse possono esse- re sia auto-centrate, sia etero-centrate; possono cioè riguardare sia la soddisfazione di interessi personali (mangiare un buon pasto oppu- re godersi un bel film?) oppure riguardare gli interessi altrui, come nel caso delle preferenze benevolenti o altruistiche. Si può quindi so- stenere che per la teoria della scelta razionale le sole ragioni per agire ammesse nella spiegazione del comportamento sono le preferenze.

In un volume fortemente critico nei confronti del paternalismo libertario (intitolato significativamente La manipolazione della scel-

ta), Mark White ha mostrato che il principale difetto della teoria della scelta razionale è proprio la riduzione delle ragioni per agire alle sole preferenze, perché fornisce uno schema angusto per spiega- re il comportamento. Esistono situazioni in cui la scelta degli agenti non può essere ricondotta a una preferenza, intesa come «ciò che vogliamo e di cui abbiamo bisogno, sotto forma di gerarchie in cui sono inserite le cose che ci piacciono di più»50. White presenta que-

sto esempio:

Jodi normalmente dona 100 dollari al mese a un rifugio per animali, perché prova amore ed empatia per gli animali domestici abbandonati. Se questa scelta fosse basata su una preferenza [sc. così come definita dalla teoria della scelta razionale], diremmo che ha scelto di donare 100 dollari perché il valore della donazione per lei è più grande del suo costo opportunità (il valore di qualunque altra cosa potrebbe scegliere con quel denaro). Se le circostanze in cui si trova Jodi cambiassero e lei volesse (o avesse bisogno) di usare il denaro per qualcos’altro (o sem- plicemente avesse meno denaro da donare) questa negoziazione non sarebbe per lei così allettante. Potrebbe donare solo 75 dollari al rifugio il prossimo mese, perché ora ha necessità più urgenti per cui spendere i rimanenti 25 dollari. Certamente potrebbe accadere anche il contrario e, se avesse meno necessità di spendere l’ultima quota di denaro rima- stale (o avesse più denaro da usare per soddisfare le sue preferenze), potrebbe aumentare la sua donazione a 150 dollari. Qualora il costo opportunità della sua donazione cambiasse, cambierebbero anche la migliore negoziazione possibile e l’importo della donazione51.

Questa è la spiegazione classica delle possibili scelte di Jodi, qua- lora la considerassimo un’agente razionale. Ma, propone White, immaginiamo una variazione alla storia. In questa versione Jodi ha promesso di donare 100 dollari e secondo le sue convinzioni morali ogni promessa è debito. Inoltre la sua devozione verso la causa ani- malista rende per lei una priorità sostenere iniziative come il rifugio per animali abbandonati. Tutti questi fattori generano un impegno da parte di Jodi di rispettare quanto promesso e di trovare il modo di non alterare la cifra usualmente donata al rifugio. Ma, sostiene White, questo tipo di spiegazione non è disponibile allo schema del-

50 White, The Manipulation of Choice. Ethics and Libertarian Paternalism,

cit., p. 3.

la scelta razionale, dove solo le preferenze sono considerate fattori capaci di motivare e spiegare le decisioni individuali. Variazioni an- che minime nelle risorse a disposizione possono avere un impatto sulla gerarchia delle preferenze, mentre ciò non accade nel caso degli impegni (commitment). Se la disponibilità di Jodi a non alterare la somma promessa fosse una mera preferenza, una diminuzione del budget a sua disposizione la indurrebbe a modificare la quantità di soldi donata. Il fatto che invece sia un impegno (che secondo Whi- te deriva da un principio morale) rende la volontà di Jodi immune alle variazioni accidentali nelle risorse disponibili; ovviamente ciò non significa che la promessa di Jodi svolge il ruolo di un vincolo così rigido da non poter mai essere violato. Se la nostra protagonista dovesse pagare un certo debito di 100 dollari, pena la perdita della casa, probabilmente troverebbe una ragione per non donare i soldi al rifugio questo mese, venendo meno al suo impegno. Ma questo non sarebbe irrazionale, alla luce di tutte le cose che stanno a cuore a Jodi. In definitiva, White usa il concetto di ‘interesse’ per indicare tutta la gamma di possibili ragioni che possono motivare e spiegare una scelta:

Le persone hanno una gamma molto più ampia di possibili motiva- zioni per le loro decisioni, che include le preferenze, il loro benessere personale e il benessere degli altri, i principi morali o ideali sociali più generali come la giustizia, l’equità o l’uguaglianza, e questo solo per nominare quelli positivi! Più in generale, uno qualsiasi di questi fattori può essere considerato una ragione per compiere una scelta e possiamo chiamare ‘interessi’ le ragioni che le persone hanno per prendere deci- sioni, a prescindere da ciò che sta loro a cuore52.

Compiere scelte non consiste sempre in decidere quale preferenza ha la precedenza nella situazione data, secondo un ordinamento co- sti/benefici, ma può significare prende in considerazione una gam- ma più ampia di esigenze, desideri, impegni, cure. Il modello della scelta razionale compie l’errore di semplificare, per esigenze di mi- surabilità economica, la ricchezza della vita mentale degli individui: in questo senso è esposto alla stessa critica rivolta da Bernard Wil- liams a certe teorie etiche rigidamente razionalistiche e imparziali- ste: seguire le richieste di una moralità astratta e imparziale significa

essere costretti a tradire se stessi, a dover conformare le proprie scel- te a un modello che aspira a una tale generalità da non riconoscere le differenze tra le persone e il valore conferito da ciascun individuo a certi comportamenti. Significa sostanzialmente tradire la propria integrità, abdicare alla propria identità pratica e alienarsi dalle mo- tivazioni personali53.

Questo confronto con la critica di Williams è istruttivo anche per un altro motivo. La teoria della scelta razionale non ha solo un’ambi- zione descrittiva, ma vuole anche dettare metodi di comportamen- to. White circoscrive le debolezze del modello tradizionale alla sua incapacità di riconoscere la complessità delle scelte, alla presenza di vincoli diversi da quelli dettati dalle risorse e, infine, dal fatto che talvolta le persone non agiscono nel loro migliore interesse54. Oltre

a ciò, però, il modello della scelta razionale genera anche prescri- zioni: la scelta ottimale è quella che riesce a soddisfare al meglio le preferenze del soggetto. Ciò significa che l’individuo deve scegliere e agire secondo un modello di razionalità che contempla solo la soddi- sfazione delle preferenze. Ne consegue che se gli agenti seguissero in ogni circostanza i dettami della teoria, si troverebbero nella condi- zione di dover ignorare i propri interessi, nel senso ampio introdotto da White, e quindi una parte importante della loro identità di agenti. Ed è su questo piano che il parallelismo con la difesa dell’integrità fatta da Williams è calzante.

Secondo White, comunque, anche i paternalisti libertari si tro- vano nella stessa condizione dei teorici della scelta razionale per- ché in realtà non si propongono di modificare sostanzialmente il paradigma classico, ma solo di «stiracchiare» il modello della scelta razionale. Il comportamento viene questa volta analizzato in termi- ni di limiti e difetti cognitivi per cui la storia causale di ogni scelta che non sembra conformarsi a un modello di razionalità pura viene ricondotta a un complesso di bias. Di fatto la loro spiegazione del comportamento amplia la platea dei vincoli materiali alla scelta, in- cludendovi anche i difetti cognitivi che contraddistinguono soprat-

53 Tra gli scritti di questo autore dedicati a questo tema, cfr. B. Williams,

“Persone, carattere, moralità”, in Id., Sorte morale, Il Saggiatore, Milano, 1987, pp. 9-31.

tutto il Sistema 1, ma ignora, al pari del modello della scelta razio- nale, i molteplici fattori che possono spiegare le azioni individuali: «Gli economisti, sia tradizionali sia comportamentali, […] trattano le scelte come se fossero dominate completamente da preferenze e vincoli e quindi non riescono a prendere in considerazione le opzio- ni o i processi di scelta che non si conformano al modello che hanno scelto: i principi e le idee a cui teniamo, il giudizio per cui dobbia- mo fare scelte difficili e la forza di volontà necessaria per metterle in atto»55.

Un esempio illuminante è fornito dal consumo di cibo non sano. Sappiamo che certi cibi contengono troppi grassi, troppo sale o troppi zuccheri, eppure molte volte non resistiamo alla tentazione di ingurgitare dolci, snack e bevande gassate. Gli strumenti dell’eco- nomia comportamentale tendono a interpretare l’assunzione di cibi “spazzatura” come una conseguenza delle debolezze tipiche della mente umana che danno luogo a un comportamento non autono- mo, non dominato cioè dal Sistema 2 ma dal Sistema 1. Cadiamo in tentazione perché questi alimenti attivano processi inconsapevoli e automatici, stimolano il sistema delle ricompense del nostro cervello e molto spesso sono presentati in modi e confezioni tali da attirare la nostra attenzione e innescare la motivazione a consumarli. Proba- bilmente questa spiegazione del perché (in genere) non riusciamo a resistere è corretta e riesce a rendere conto di molti comportamenti che osserviamo ma, come è stato sottolineato, non è probabilmente adeguata per tutta la variegata casistica. Talvolta il consumo di cibi spazzatura non è il prodotto di meccanismi inconsci ma è connesso a un particolare valore che l’individuo conferisce all’esperienza del consumare certi prodotti, perché legata a occasioni speciali, a condi- visioni con altre persone, a riti e altri momenti importanti. La scelta è cioè motivata da ragioni per agire, non da processi automatici e fuori controllo.

È del resto significativo che anche Sunstein riconosca parzial- mente questo punto. Discutendo la decisione del sindaco di New York, Michael Bloomberg, di proibire la vendita di bevande analco- liche zuccherate in contenitori superiori a circa 470 millilitri, Sun- stein sostiene che l’iniziativa è difficilmente giustificabile invocando

il fatto che essa promuoveva i fini delle persone. Nessuno vuole es- sere obeso, commenta l’autore, ma questo argomento risulta trop- po semplice. Perché? Perché i fini delle persone non sono limitati alla salute. In controluce, l’affermazione di Sunstein può essere letta come una concessione all’idea che le ragioni per scegliere una be- vanda o un alimento insano possano essere diverse e connesse ad altri fini che la persona può coltivare (ossia, a interessi che denota- no un valore) 56. Questo non significa negare o sottostimare il fatto

che l’assunzione smodata di questi prodotti costituisce un problema. L’OMS riporta che dal 1975 il tasso di obesità nel mondo è triplicato; che nel 2016 circa 2 miliardi di persone (39%), dai diciotto anni in su, erano sovrappeso e di questi 650 milioni (13%) erano obese. È superfluo aggiungere che l’obesità causa svariati problemi di salute e può anche portare alla morte e occorre quindi non minimizzare i danni che provoca. Le osservazioni fatte hanno il solo scopo di in- dicare un limite nella spiegazione che si può dare dalla prospettiva del programma HB: essa tende a uniformare tutti i comportamenti, ma non è sempre detto che la scelta di mangiare cibo spazzatura sia dovuta a difetti cognitivi o debolezze motivazionali.

Il discorso fatto riguarda con tutta probabilità una percentuale esigua delle scelte che sono compiute, perché poche persone scel- gono consapevolmente di consumare cibo insano per ragioni che hanno a che fare con la sfera dei valori personali. Nella maggior par-

56 Sunstein, Effetto nudge, cit., pp. 60-63. Si noti che Sunstein fa questa

osservazione per sottolineare un punto di forza del paternalismo libertario: chi sceglie di mangiare cibo insano perché considera l’esperienza dotata di qualche valore difficilmente sarà indotto a scegliere altrimenti dal fatto che, ad esempio, il menù riporta i cibi sani per primi. Sul valore del consumo del cibo insano, cfr. A. Barnhill, K.F. King, N. Kass, R. Faden, “The Value of Unhealthy Eating and the Ethics of Healthy Eating Policies”, Kennedy Institute of Ethics Journal, 24, 3, 2014, pp. 187-217. Per interventi di paternalismo libertario per preve- nire l’obesità, cfr. P. Rozin et al., “Nudge to Nobesity I: Minor Changes in Ac- cessibility Decrease Food Intake”, Judgment and Decision Making, 6, 4, 2011, pp. 323-332; E. Dayan, M. Bar-Hillel, “Nudge to Nobesity II: Menu Positions Influence Food Orders”, Judgment and Decision Making, 6, 4, 2011, pp. 333- 342; G. Boniolo, V. Rebba, “Cancer, Obesity, and Legitimation of Suggested Lifestyles: A Libertarian Paternalism Approach”, ecancer, 9, 588, 2015, https:// ecancer.org/journal/9/full/588-cancer-obesity-and-legitimation-of-suggested-