Il cosiddetto boost approach assume una premessa potenzial- mente problematica. Come sottolineano T. Grüne-Yanoff e R. Hertwig, l’approccio delle spinte gentili non ha bisogno di postulare che le persone siano motivate a trarre benefici dagli interventi di po- tenziamento cognitivo e deliberativo. Al massimo, per i paternalisti libertari è sufficiente che siano motivate a prendere decisioni otti- mali dal punto di vista razionale. L’approccio del boost è invece più esigente, perché mette a disposizione strumenti per attivare, amplifi- care o creare competenze nei soggetti e in questa cornice la premessa sulla motivazione appare cruciale: essa però «sembra rappresentare una fiducia nella cittadinanza illuminata e autonoma che potrebbe
o non potrebbe essere giustificata»44. Questa osservazione è interes-
sante, perché in realtà l’approccio delle spinte gentili ha proprio bi- sogno di pensare il contrario. Se la cittadinanza fosse così illuminata e autonoma come la tradizione liberale postula, allora il paternali- smo mite di cui si fanno promotori Sunstein e Thaler mancherebbe totalmente della base empirica che (in parte) lo legittima.
Si noti che però questa specie di “auto-denuncia” di Grüne-Ya- noff e Hertwig può essere letta sia in chiave descrittiva, sia in chiave valutativa. L’interpretazione descrittiva denuncia la mancanza di fondamento empirico di questa ulteriore premessa (tacita) dell’ap- proccio del boost: potrebbe essere empiricamente dubbio che la citta- dinanza sia così illuminata e autonoma da desiderare che le istituzio- ni pubbliche mettano all’opera interventi che instillano competenze e abilità cognitive e spingono a utilizzarle. Il complesso di conoscen- ze empiriche che caratterizzano il programma SH non contiene dati che riescano a suffragare la fiducia nel fatto che i cittadini, in quanto esseri umani, sono autonomi e interessati al miglioramento. Si noti che questo argomento è diverso da quello usato da Sunstein per cri- ticare il classico argomento epistemico del liberalismo (cfr. capitolo 4, par. 2). In quel caso, il liberalismo difende la tesi secondo cui la scelta su questioni che attengono la propria vita e la propria salute sia fisica sia mentale e spirituale (per riprendere la nota espressio- ne di Mill) debba essere in capo all’individuo, perché l’individuo è l’unico ad avere un accesso epistemico privilegiato al suo bene. Il giudice ultimo di quale sia il contenuto del benessere per una data persona non può che essere la persona stessa, dato che qualsiasi altro soggetto potrebbe inferire il contenuto di questo giudizio solo grazie a un’osservazione indiretta ed esterna alla prospettiva individuale. La replica di Sunstein si basa principalmente sulla constatazione dei limiti epistemici a cui va incontro anche la prospettiva dell’indivi- duo, il quale incorre in errori e debolezze (di carattere cognitivo e motivazionale) quando si tratta di scegliere i mezzi più idonei per realizzare il benessere personale (ovviamente tanto per il liberalismo quanto per Sunstein rimangono validi i vincoli imposti dal principio del danno, qualora si tratti di azioni che hanno conseguenze negati- ve per il benessere altrui). Ma l’argomento che ora si sta prendendo
in considerazione non riguarda la capacità degli individui di sapere cosa costituisca il proprio benessere o di tenere fede a questo giudi- zio scegliendo le opzioni in grado di realizzarlo, ma l’interesse delle persone a giudicare in modo più competente sulle situazioni in cui sono chiamati a scegliere e ad avere istituzioni pubbliche che intro- ducono interventi per attivare o creare le competenze necessarie per farlo. Non ci sono evidenze empiriche sufficienti che questo interes- se sia realmente diffuso tra la popolazione delle democrazie liberali. Di questa osservazione si può dare un’interpretazione valutativa, che forse rovescia il dubbio espresso da Grüne-Yanoff e Hertwig. Secondo questa lettura non meramente descrittiva, non si tratta di sapere se l’ulteriore premessa tacita della diffusione dell’interesse sia verificata empiricamente, ma di stabilire se sia desiderabile, o addi- rittura doveroso, offrire strumenti che affinano autonomia e com- petenze nel giudizio. La desiderabilità può prescindere dall’effettivo interesse riscontrabile in una data popolazione perché di “interesse” si danno due possibili versioni. Come è noto, infatti, si può sostenere che X (un determinato trattamento, bene o servizio) è nell’interesse di un soggetto Y intendendo che Y desidera ricevere X o lo preferisce a qualche altra alternativa disponibile. Si può generalizzare dicen- do che X è nell’interesse di Y quando Y mostra un atteggiamento favorevole di qualche tipo nei confronti di Y ed è questo il senso soggettivo del termine ‘interesse’. Esiste anche un senso oggettivo del termine, in base a cui X è nell’interesse di Y a prescindere dall’at- teggiamento soggettivo di Y e, anche nelle situazioni in cui Y ha o esprime un atteggiamento nettamente negativo nei confronti di X, si ritiene che ricevere X sia per lui benefico nel medio o nel lungo periodo, a prescindere dai suoi desideri e alle sue preferenze attuali. L’esempio classico di questo secondo senso di ‘interesse’ è rappre- sentato dal bambino che rifiuta un farmaco, anche se giudichiamo che somministrarglielo sia per lui benefico nel lungo periodo. An- che se egli mostra un interesse soggettivo attuale a non ricevere la medicina, riteniamo che sia nel suo interesse oggettivo assumerla adesso45.
45 Per questa distinzione, cfr. J. Feinberg, Filosofia sociale, Il Saggiatore,
Milano, 1996, pp. 50-51; R.G. Frey, “Rights, Interests, Desires, and Beliefs”,
Si potrebbe sostenere che, a prescindere da quali siano gli inte- ressi soggettivi della popolazione nei confronti degli esiti attesi degli interventi del programma di boosting, rientra comunque nell’inte- resse oggettivo degli individui che la loro capacità di giudicare e di scegliere venga potenziata. E in fondo è questa la stessa aspirazione dei paternalisti libertari, i quali sostengono di non volere orientare le scelte degli individui verso particolari valori o concezioni sostan- ziali della vita buona, ma solo mettere a disposizione interventi che consentano di scegliere i migliori strumenti per realizzare gli scopi complessivi che il soggetto stesso desidera raggiungere. Alfine, la di- sputa è sui mezzi: per i paternalisti libertari il metodo più efficace è il ricorso a un’architettura della scelta che fa un uso preponderante di spinte gentili, dati i limiti cognitivi degli agenti; per i sostenitori del programma di boosting è più efficace disegnare ambienti di scel- ta che attivano, allenano o creano competenze nel giudizio e nella scelta, date le potenzialità cognitive degli agenti. In entrambi i casi, però, c’è una presunzione su cosa rientri nell’interesse oggettivo de- gli individui e, si potrebbe sostenere, si tratta di una presunzione minimamente paternalistica. Si configurano due possibilità. La pri- ma opzione consiste nello stabilire ulteriori condizioni d’uso di que- sti strumenti che, se soddisfatte. consentono di neutralizzare questa premessa (ad esempio, il requisito di pubblicità delle spinte gentili potrebbe andare in questa direzione). Oppure si accoglie la premessa (e si argomenta questa accettazione) e si cerca di valutare se i diversi strumenti a cui i due approcci ricorrono non suggeriscano ragioni ulteriori per ritenere in un caso ma non nell’altro perlomeno tolle- rabile questa presunzione (minimamente) paternalistica. Ma questo sarà lavoro per i prossimi capitoli.
Da un punto di vista empirico-descrittivo, i paternalisti libertari sostengono che, in generale, le persone apprezzano le spinte gentili più delle misure di boosting. Esistono ricerche empiriche che attesta- no la preferenza delle persone per interventi che incidono sul Siste-
Being. Its Meaning, Measurement, and Moral Importance, Clarendon Press,
Oxford, 1986, pp. 40-42. Per alcune riflessioni sulla complessità filosofica del rapporto tra desideri, preferenze e interessi, cfr. G. Thomson, “Fundamental Needs”, in S. Reader (ed.), The Philosophy of Need, Cambridge University Press, Cambridge, 2005, pp. 175-186.
ma 1 rispetto a quelli che operano sul Sistema 2 perché in generale i primi sono considerati più efficaci nel conseguire gli effetti che si propongono e meno “costosi” da un punto di vista psicologico e mo- tivazionale46. Da un punto di vista valutativo, tuttavia, paternalismo
libertario e approccio del boost sembrano condividere una stessa assunzione sul fatto che rientra nell’interesse degli individui (a pre- scindere dalle loro effettive preferenze in merito) essere messi nella migliore delle condizioni per scegliere i mezzi più idonei a realizzare i loro scopi. Lo strumento utilizzato dai due approcci è ovviamente diverso, pur nella condivisione di questo presupposto, e per valu- tarne l’accettabilità occorrerà fare riferimento a criteri valutativi di vario tipo.