• Non ci sono risultati.

Fini, mezzi e valor

Gran parte della plausibilità del paternalismo libertario si basa sull’assunto fondamentale secondo cui le spinte gentili non fanno altro che assistere gli individui nel perseguire i fini che essi scelgono liberamente e autonomamente. La frase chiave è ripetuta a oltranza e viene identificata come il fulcro della particolare forma di pater- nalismo proposta: «un provvedimento è “paternalistico” se cerca di influenzare le scelte in modo da migliorare il benessere di coloro che scelgono, secondo il giudizio di questi ultimi»1. Una definizio-

ne di questo tipo consente infatti di qualificare l’intervento politico proposto come mite e diretto ai mezzi, in quanto il paternalismo libertario non è interessato a suggerire alle persone quali fini adot- tare ma intende solo fornire strumenti efficaci affinché esse riescano a perseguire gli scopi autonomamente scelti. Controbilanciando o utilizzando il potere delle distorsioni cognitive, gli architetti della scelta potenziano i mezzi, lasciando intoccati i fini.

Occorre allora analizzare quali sia il significato della clausola «secondo il loro giudizio», intendendo per ‘loro’ quello degli agenti stessi, e successivamente se essa sia sufficiente per smorzare l’intru- sività del paternalismo nei percorsi di scelta delle persone.

Una prima tensione, in realtà, si affaccia già nella pagina de La spinta gentile da cui abbiamo preso la definizione di paternalismo. Come abbiamo già avuto modo di notare nel capitolo preceden- te, subito dopo la riga citata, Thaler e Sunstein aggiungono che le scienze sociali, i cui risultati costituiscono la base delle spinte gentili, hanno mostrato che le persone prendono «cattive decisioni», defi- nite come «decisioni che non avrebbero preso se avessero prestato piena attenzione e se avessero posseduto informazioni complete,

capacità cognitive illimitate e totale autocontrollo»2. La presenza

di distorsioni comportamentali sembra quindi impedire la genesi di due tipi di scelta: una scelta in linea con il benessere così come viene giudicato dall’agente stesso e una scelta in linea con uno standard ideale, rappresentato dalla decisione che prenderebbero gli agenti se si trovassero in condizioni ideali (sostanzialmente, la decisione che prenderebbe un econe). Niente suggerisce che la prima e la se- conda scelta siano coincidenti; si potrebbe anzi pensare che, anche quando fossero eliminate o depotenziate le distorsioni cognitive e comportamentali, gli agenti potrebbero scegliere secondo la propria concezione del benessere senza che la decisione presa fosse quella che avrebbero preso in condizioni ideali, poiché le spinte gentili non creano una situazione in cui è possibile attingere a informa- zioni complete, capacità cognitive illimitate e totale autocontrollo. Come ripetono più volte i paternalisti libertari, una delle virtù del loro approccio è di riuscire a preservare la libertà di scelta perché l’agente non è costretto a subire costi aggiuntivi, qualora prenda una decisione diversa da quella verso cui orienta la spinta gentile, e non è meccanicamente costretto a comportarsi in un dato modo. Le spinte gentili si limitano a rendere più probabile che l’agente si compor- ti effettivamente così: la probabilità indica un’incertezza (in prin- cipio addirittura misurabile) e quindi un persistere di condizioni che possono rendere imprevedibile l’esito del processo decisionale. Diversamente dagli esseri umani, gli econi godono di condizioni in cui difetti, distorsioni, influenze non possono intaccare la “purezza” della decisione. Per questo in una certa situazione la scelta di un es- sere umano sottoposto a una spinta gentile che funziona a dovere potrebbe essere molto diversa dalla scelta di un econe che gode di risorse informative, cognitive e volizionali perfette.

Il problema è ben noto e consiste nella differenza esistente tra le preferenze reali che le persone hanno e le preferenze ideali che dovrebbero avere. Definire il benessere nei termini delle prime o delle seconde comporta una notevole differenza, perché implica adottare una concezione descrittiva o prescrittiva delle preferenze. Nel primo caso il benessere delle persone è realizzato quando le loro preferenze sono soddisfatte, a prescindere dalla natura e dalle carat-

teristiche che queste preferenze hanno, mentre nel secondo caso il benessere dipende da preferenze che le persone dovrebbero avere a prescindere da quelle che effettivamente contemplano. Per fare un esempio banale, se ho una preferenza adesso per mangiare una va- schetta di gelato, l’incremento o la realizzazione del mio benessere dipenderebbe dalla disponibilità di risorse necessarie perché possa fare una scelta in linea con questa preferenza: fondamentalmente la presenza di un gelataio nelle vicinanze e nel portafoglio i soldi suf- ficienti per acquistare una vaschetta di gelato. Potrei però sostenere che se prestassi effettivamente attenzione alle conseguenze di una tale scorpacciata di gelato, allora capirei che mangiarsi una vaschetta mi farebbe stare male. Poiché in generale amo essere in buona salu- te ed evitare indigestioni e altri fastidi, dovrei idealmente preferire la rinuncia all’acquisto per tutelare la mia salute e il mio benessere sarebbe quindi realizzato dall’esaudire questa preferenza. In questo caso l’idealità è concepita in modo più accettabile, in quanto non è definita facendo riferimento a capacità irrealizzabili dagli agenti umani ma a condizioni che prevedono l’acquisizione di informazio- ni rilevanti. Sunstein sottolinea bene questo punto quando afferma che «se siamo genuinamente interessati a far sì che le persone stiano meglio secondo il loro giudizio, potremmo voler vedere cosa fanno quando sono ben informati, quando scelgono in modo attivo, quan- do i loro giudizi sono ponderati (nel senso che stanno riflettendo su tutte le proprietà rilevanti di un prodotto o di un’attività) e quando non sono impulsive o imprudenti»3.

La riconciliazione tra la formula “secondo il loro giudizio” e le condizioni ideali viene ottenuta abbandonando la prima formula- zione, che attribuiva all’idealità caratteristiche sovraumane. In que- sta prospettiva è intellegibile il confronto riproposto più volte tra l’azione della spinta gentile e un navigatore GPS. Il GPS non stabi- lisce la meta del viaggio, ma ha il compito di individuare il tragitto più breve e conveniente per arrivarci. Così le spinte gentili non in- fluiscono sui fini ma agiscono soltanto sui mezzi: migliorano la “na- vigabilità sociale ed esistenziale” senza dettare quale obiettivo valga maggiormente la pena di essere raggiunto, ma orientando i soggetti verso le scelte che meglio realizzano le loro preferenze ideali.

L’idealità delle preferenze viene sempre definita in riferimento a due variabili: l’informazione e il controllo. Per essere ideale, una pre- ferenza necessita di essere supportata da un’adeguata informazione che consente di fare scelte genuinamente autonome. Da questo pun- to di vista, in alcuni casi l’utilizzo di spinte educative ha un effetto positivo sulle decisioni delle persone. Quando, ad esempio, gli ar- chitetti della scelta inseriscono un promemoria che attrae l’attenzio- ne sul momento in cui occorre fare un pagamento non fanno altro che allineare le scelte con le preferenze; oppure quando introducono etichette alimentari che specificano i contenuti calorici danno infor- mazioni utili perché gli agenti scelgano secondo le loro preferenze. Un problema nasce quando si riflette su quale tipo di informazione comunicare.

Come ben mostra lo stesso effetto framing, utilizzare una for- mula o un’altra può avere un impatto sulle decisioni e orientare gli agenti verso comportamenti diversi. Scelte di diverso tipo incarnano fini o valori tra loro differenti, per cui la dicotomia tra preferenze reali e preferenze informate non è sufficiente per risolvere il proble- ma sollevato dal paternalismo. Una preferenza informata potrebbe non rispecchiare pienamente i valori o i fini che la persona considera come importanti e realizzare invece i fini e i valori che gli architetti della scelta considerano importanti. Occorre pertanto distinguere due preoccupazioni che sono comunque correlate tra loro:

(1) Le scelte devono essere informate. Perché esse lo siano gli architetti della scelta devono comunicare le informazioni pertinenti e farlo in un certo modo.

(2) Le scelte devono essere autentiche. Perché esse lo siano de- vono dipendere dai valori di chi sceglie e non da quelli degli architetti della scelta.

Il paternalismo libertario si gioca la sua credibilità sull’effettiva ca- pacità di garantire sia (1) sia (2), o meglio di assicurare che le scelte informate siano rispondenti ai valori dell’agente. Scrive Sunstein:

In alcuni casi, l’assenza di evidenze affidabili su cosa i decisori informa- ti farebbero solleverà seri problemi. Nondimeno, i giudizi informati di chi sceglie sono la stella polare e impongono una disciplina reale. Cer- tamente gli architetti della scelta dovrebbero concentrarsi sul benes-

sere di chi sceglie piuttosto che sul proprio (in un sistema di mercato ben funzionante, questa attenzione è promossa da forze competitive, almeno secondo alcune premesse ottimistiche)4.

Secondo Sunstein il problema della riconciliazione tra (1) e (2) si presenta in realtà solo in alcuni casi, quando non esistono prove decisive che permettono una ricostruzione affidabile di quali siano i giudizi ponderati (ossia, le preferenze informate) delle persone. Come vedremo, tuttavia, le difficoltà della ricostruzione sono ende- miche al paternalismo libertario.

Il secondo tipo di preferenze ideali riguarda invece la capacità di controllo delle persone. Sunstein sostiene che le preferenze ponde- rate sono quelle che scaturiscono dal giudizio delle persone quando sono libere dai fattori che inibiscono la loro capacità di auto-con- trollo. Questo significa che le preferenze ideali sono quelle formate precedentemente al momento in cui l’agente si trova nella condizio- ne di non riuscire a controllare il proprio comportamento. Mi metto in testa di dimagrire, ma nel momento in cui dovrei iniziare la dieta cedo alla tentazione e alle mie debolezze e ingurgito cibi grassi. In questi casi la preferenza ideale è l’impegno insito nel mio proposito di perdere peso, non la preferenza della torta che si manifesta nella mia scelta di prendere l’ennesima fetta di dolce. Anche in questo caso, molte spinte possono essere utili, come i sistemi che consento- no di tenere fede ai propri impegni affidando una somma di denaro a terzi che non sarà restituita qualora gli obiettivi non siano rag- giunti5. Ma, ancora una volta, ci sono limiti alla capacità degli archi-

tetti della scelta di ricostruire le preferenze ponderate delle persone e potrebbero indulgere in un’attribuzione di giudizi ponderati che rispecchia i loro valori e non quelli delle persone.

Il paternalismo libertario non è perfezionista, perché rinuncia a realizzare forme di vita oggettivamente buone, come attestato dall’adozione della formula “secondo il loro giudizio”. Il giudizio sul benessere delle persone non dipende dai valori abbracciati dagli ar- chitetti della scelta ma è rispettoso di quelli che le persone scelgono

4 Ivi, p. 46.

5 Ivi, pp. 46-48. Sunstein riprende una divisione gerarchica delle pre-

ferenze sul modello introdotto da H. Frankfurt. Cfr. anche C.R. Sunstein, E. Ullmann-Margalit, “Second-Order Decisions”, Ethics, 110, 1, 1999, pp. 1-31.

autonomamente6. Su questo punto i paternalisti libertari concorda-

no con alcuni paternalisti coercitivi. Sarah Conly, ad esempio, di- fende una forma di paternalismo che considera il vincolo della legge il mezzo più efficace per fare in modo che le persone scelgano in accordo con i loro fini. Tra Conly e Sunstein c’è una totale sintonia sugli obiettivi generali del paternalismo e un totale disaccordo sui mezzi per realizzarli: in entrambi i casi, il paternalista non è interes- sato a costringere o indurre le persone ad agire secondo scopi ogget- tivamente buoni o desiderabili, ma a massimizzare il loro benessere rendendo più facile il perseguimento dei fini che essi si scelgono7. Le

convergenze però finiscono qui, perché Conly ritiene che le spinte gentili siano manipolatorie e inefficaci nell’ottenere i risultati ricor- dati.

Sulla distinzione mezzi/fini e sulle sue implicazioni assiologiche vorremo limitarci, in questo capitolo, a sottolineare che il paternali- smo libertario non coglie in generale alcune sfumature importanti, rimandando alla seconda parte del volume una più accurata discus- sione del modo in cui la dicotomia viene impiegata dai paternalisti libertari.

Conly presenta alcune riflessioni sui limiti dello strumento della coercizione (quando usata con fini perfezionistici) che potrebbero valere anche per l’uso delle spinte:

Si potrebbe pensare che, se leggere poesie è oggettivamente migliore di giocare con le puntine da disegno, allora possiamo proibire il gioco con le puntine da disegno e rendere obbligatorie le letture di poesie nelle piazze ma, ancora, è apparentemente improbabile che questa scelta dia i risultati voluti. Non è sufficiente che le nostre orecchie ascoltino il suono delle poesie; dobbiamo goderne realmente e trarne visioni. Chi è predisposto ad amare la poesia potrebbe goderne se le letture di po- esie fossero obbligatorie e questa è una ragione per dare alle persone l’occasione di partecipare a simili attività, cosicché chi le apprezza pos- sa goderne. Altri, tuttavia, proveranno indifferenza verso la poesia o la odieranno del tutto. Costringere tutti a impegnarsi in quell’attività non raggiunge il fine desiderato. Così, dal punto di vista pratico, pro- vare a imporre valori non ha i risultati voluti: potrebbe produrre certi

6 Sunstein, The Ethics of Influence, cit., pp. 51-52. 7 Cfr. Conly, Against Autonomy, cit., pp. 29-32, 102-103.

comportamenti ma, se ciò che vogliamo sono gli stati interni tipici del coinvolgimento, l’attività forzata non li produce8.

La conformità esteriore del comportamento non è sufficiente affin- ché una scelta possa incrementare genuinamente il benessere delle persone. Se il comportamento non è conforme ai gusti e ai deside- ri della persona, allora non sarà possibile un reale coinvolgimento nell’attività imposta. Alcune persone godranno della lettura della poesia, perché predisposte ad amare questa attività, ma chi prova indifferenza o odio sarà penalizzato dall’imposizione pubblica. Essi non potranno goderne realmente e resteranno spettatori passivi del- la lettura pubblica. L’aspetto della passività ha una certa assonanza con il funzionamento di alcune spinte gentili. Abbiamo già avuto modo di sottolineare che l’uso di bias e di limiti cognitivi, soprat- tutto quando viene impiegato senza rispettare condizioni esigenti di pubblicità e trasparenza, induce certi comportamenti senza che gli agenti siano messi nella condizione di apprezzare le ragioni per agi- re in quel modo. Regole di default e altri mezzi sortiscono lo stesso effetto del paternalismo perfezionista, anche se il mancato coinvol- gimento non riguarda i fini ma i mezzi utilizzati. Questo problema nasce sia per la concezione ristretta delle ragioni per agire del paterna- lismo libertario, sia per il meccanismo in base a cui funzionano alcune spinte gentili9.

Infine il perfezionismo non riguarda soltanto il dominio dei fini. Come è stato fatto notare, la scelta dei mezzi (la dimensione stru- mentale) non è, per sua natura, completamente esente dalla valuta- zione e sostenere che un dato sistema non prevede un’intrusione del dominio dei fini non esclude automaticamente che sia presente un intento comunque perfezionistico. Anche se il paternalismo liberta- rio non prevede un’imposizione di valori come fini potrebbe imple- mentare mezzi carichi di valore. Questo rischio è particolarmente ricorrente soprattutto quando l’intervento preveda la comunicazio- ne di informazioni, la cui formulazione può (anche velatamente) contenere giudizi di valore. Scrive ad esempio Conly:

8 Ivi, p. 112.

9 Per ulteriori riflessioni in merito, vedi il secondo capitolo 2, par. 7, e il

Non è sempre semplice evitare di imporre valori. Dan Wikler sottoli- nea che, anche riguardo alla salute, potremmo essere moralisti invece che genuinamente interessati al benessere: se parliamo di leggi riguar- do alla salute che scoraggino la “gola” e l’“accidia”, stiamo usando con- cetti moralmente carichi. Il nostro giudizio su ciò che si dovrebbe fare potrebbe riflettere valori molto personali: potrei dire che ovviamente le persone dovrebbero smettere di mangiare patatine fritte e cibo spaz- zatura, ma allo stesso tempo sostenere che l’apprezzamento del vino è realmente costitutivo del benessere, a prescindere dai costi che può avere per il corpo. Così, dobbiamo sospettare della presenza di un pre- giudizio culturale anche quando stiamo formulando giudizi che, se- condo la nostra opinione, riguardano i mezzi e non ciò che ha valore come fine in sé10.

La razionalità strumentale non è value-free e sostenere che una for- ma di influenza riguarda esclusivamente i mezzi non mette al riparo dall’accusa di perfezionismo. Però, anche ammettendo che il pater- nalismo libertario riesca a mantenersi neutrale dal punto di vista as- siologico riguardo ai mezzi scelti, occorre valutare se effettivamente riesca a vincere la sfida anti-perfezionistica riguardo ai fini.